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Il mondo greco e il senso della misura
I greci davano alla morte il senso della misura, quando Prometeo ha regalato la tecnica agli uomini li ha resi da indifesi e muti, a padroni delle loro menti. Nella tragedia Il coro chiede non è che hai promesso loro qualcosa che non sei in grado di mantenere. E il riferimento è a una vita oltre la morte. E Prometeo confessa Sì ho dato loro qualche speranza. Allora bene ha fatto incatenare Della Rocca e mandarci un’aquila che ti rode il fegato per l’eternità del giudizio.
I greci opportunamente avevano incatenato il dio della tecnica noi l’abbiamo scatenato. Ma ad un livello tale lo scatenamento della tecnica oggi. Che la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare.
Questo è il risultato dello scatenamento tecnologico. Noi non prevediamo gli effetti del nostro fare tecnico. La tecnica attende il suo auto potenziamento perché tutti lo vogliono tutti lo desiderano e quindi non ha limiti. I greci avevano il senso del limite perché concepiscono la vita a partire dalla natura non a partire dai bisogni umani e la natura prevede al pari di tutti i viventi che tu uomo che non sei al vertice del creato come nella cultura cristiana. E non puoi trattare la natura al di là dell’uso della natura fino alla sua usura.
La natura non è più una terra di abitazione
Oggi noi non abbiamo più la natura come terra di abitazione. Abbiamo la natura concepita non solo come materia prima. Fin quando sarà possibile far questo e già se ne vedono gli effetti abbiamo perso il senso del limite e l’uomo al pari di tutti i viventi nasce cresce genera e muore perché alla natura gli individui interessano unicamente in ordine alla generazione perché solo la generazione continua garantisce la continuità della specie e gli individui che non sono più in grado di generare devono morire in un certo senso la natura è caratterizzata da una sorta di crudeltà innocente.
Per il suo ricambio per la sua continuità gli individui sono semplici strumenti della sua vita. Questo pensava di crescere. I greci poi avevano anche un altro concetto di dolore che è il contrario della felicità. Un concetto molto serio molto interessante. Nella cultura greca il dolore andava sopportato. Bene e la morte era quella dimensione che costruiva l’etica del limite non deve oltrepassare il tuo limite. La morte naturalmente non era la cosa più gradita non è la cosa più gradita dai mortali. Perché è vero che la natura ci fa morire perché non serviamo più alla sua prosecuzione ma gli individui tentano di reagire a questa morte e invece non reagiscono e hanno una visione della vita tragica.
Credo che la parola tragedia non la dovete pensare nella forma da l’infelicità radicale oppure di una drammaticità dolorosa. La parola tragedia viene da dai canti dai pastori, in greco pastore si chiama Tragos e la tragedia nasce dai canti dei pastori.
La tragedia dell’uomo
L’uomo al confronto dell’animale si vanta della sua umanità e tuttavia guarda con invidia alla felicità dell’animale giacché questo soltanto egli vuole vivere come l’animale. L’uomo non può vivere come un animale perché all’animale per vivere basta l’istinto l’uomo invece che non ha istinti vorrebbe la vita dell’animale: senza ieri, senza domani, addormentarsi, svegliarsi, nutrirsi e basta, ma non la vuole così la felicità in quel come sta la disfatta dell’uomo e come costituita dal fatto che l’uomo per vivere ha bisogno di costruire un senso in vista della morte che è implosione di ogni senso.
Qui comincia la tragedia. Un giorno Re Mida incontra il satiro Sileno il saggio Sileno. I satiri erano considerati molto saggi, non erano altro che la raffigurazione del pastore con la sua pecora, avevano le zampe delle pecore e il busto da uomo, era la vita che l’eremita chiedeva al saggio Silone: dimmi cosa posso fare per essere felice.
Cileno lo guardò: perché mi costringi a dire cose che per te non è il caso che tu sappia in fondo appartieni a una stirpe miserabile ed effimera. Meglio sarebbe stato non esser nato e la cosa migliore è che ti possa augurare di morire presto per non assistere a quel disfacimento del senso che costituisce proprio la tragedia della condizione umana.
L’uomo è tragico perché mentre l’animale può vivere senza costruire un senso noi non riusciamo a vivere senza costruire un senso. E se ad attenderci al termine della nostra vita e la morte che è l’implosione di ogni senso è allora la nostra condizione tragica.
L’animale non è tragico, noi si, per quello che traiamo dalla morte e in ciò siamo anche aiutati dalla natura che Freud dice che nessuno di noi sente la propria morte.
Sappiamo che dobbiamo morire, lo sappiamo con la testa, ma non la sentiamo con la nostra psiche dice Freud. La dimensione tragica è proprio questo: l’uomo per vivere ha bisogno di costruire un senso in vista della morte che l’implosione di ogni senso e significato dell’esistere. Per questo l’umanità è una stirpe miserabile ed effimera perché afflitta da questo dolore. Ciononostante non è esclusa la felicità, la definizione che da Aristotele è nella parola greca che sta per felicità e in greco vuol dire “buono e bene”: Damon. Fa riferimento a quello che tu sei, la tua natura la tua vocazione come buona realizzazione della tua virtù, della tua capacità: questa è la felicità. Però sempre il mondo greco dice: stai attento che magari sei un buono scultore, ma se vuoi essere più bravo di Fidia, ecco qui cosa vuol dire oltrepassare il limite. Se pensi di essere più bravo di Fidia crei la tua la tua rovina.
Secondo misura quindi devi prima di tutto conoscere te stesso, perché se uno non conosce se stesso non sa neanche qual è il suo demone.
Quando l’hai conosciuto realizzalo e nella realizzazione non oltrepassare la misura. Compare la dimensione del limite.
Recuperare la grecità
Io penso che la cultura contemporanea dovrebbe recuperare la cultura greca nella accezione del limite. Dovremmo essere davvero più limitati. Dovremmo davvero non guardare verso la meta nelle forme del progresso che poi non è progresso come semplice sviluppo. Non dovremmo esagerare nelle nostre manifestazioni dovremmo mantenere la misura.
I greci ci possono insegnare questo. Ora il limite lo abbandoniamo perché la cultura greca muore nel 33 dopo Cristo. Al tempo di Tiberio. Che coincide con la morte di Gesù. E dice che i marinai che solcano il Mediterraneo fanno un grande grido: Pan è morto e con lui è morta la tragedia.
Pan era il dio dei tragici era il dio dei pastori. Era il dio della sessualità. Si chiama Pan che vuol dire tutto ed è stato accolto nel mondo nell’Olimpo da tutti gli dèi, ecco perché si chiama Pan e il dio della sessualità perché è un dio agreste è un Dio che sta con la specie non con l’individuo e la specie ha bisogno della sessualità per la generazione.
Quindi anche l’iconografia greca che illustra con un lungo fallo non si deve leggere in forma pornografica il fallo di Pan è la generatività della natura.
Nice dice che la tragedia è morta perché il cristianesimo ha avuto un colpo di genio e il colpo di genio del cristianesimo è stato quello di dire agli uomini che non muoiono mai.
A questo punto la cultura greca finisce e con lei la tragedia, attenzione finisce la tragedia.
La tragedia non è un genere letterario, la tragedia è la cifra della grecità, e fuori dalla grecità non c’è tragedia.
Karl Jaspers è stato il più grande psicopatologo del Novecento è anche un grande filosofo. In un libro sulla verità dedica una cinquantina di pagine al tragico. E dice che neppure Shakespeare è un tragico. Perché nella cultura cristiana non c’è tragedia, c’è speranza e quindi si possono narrare situazioni dolorose, tristi, terribili, ma non con lo spirito della tragedia. Perché tu nella cultura cristiana hai la speranza.
Come mai nasce questo concetto di speranza.
Perché il cristianesimo cambia la natura del tempo, il tempo greco è un tempo ciclico, ciclico vuol dire inverno, primavera, estate, autunno e poi il ciclo si ripete è il tempo dei contadini, è il tempo dei pastori.
Il cristianesimo invece inaugura un tempo assolutamente diverso, che è un tempo escatologico. Come lo chiamano loro. E infatti con la nascita di Gesù incomincia un calendario nuovo perché è cambiata la natura del tempo, non è più un ciclo ma è una traiettoria.
Nell’ultimo giorno si realizza quello che all’inizio era stato era stato annunciato. Quindi il tempo acquista un senso. Si capisce questo concetto quando il tempo è scritto in un disegno. Acquista un senso e quando il tempo acquista un senso diventa storia. Anche i ragazzi quando si innamorano dicono che hanno una storia, questo vuol dire che si tratta di un tempo qualitativamente diverso da quello di prima e quello di dopo. Perché è un tempo gravido di senso vedi cristiani in questo senso questo tempo escatologico.
Il tempo a questo punto è questo acquista un senso e diventa storia, i greci non avevano nessuna storia.
Quelli che noi chiamiamo i due storici: Erodoto e Tucidide, non erano per niente storici. Erodoto era uno che girava e raccontava le cose che vedeva, girava il Mediterraneo raccontando quello che aveva visto.
Tucidide, l’altro grande storico della Grecia, non era per niente storico, comincia le sue storie dicendo quel che posso raccontare è quel che ho visto, e quel che ho sentito. Non c’è quindi una storia gravida di senso, perché il tempo è ciclico non è proiettato verso un futuro. Il cristianesimo inaugura un ottimismo grandioso. Il cristianesimo ha tratteggiato il tempo secondo questa modalità: il passato è male, il peccato originale. Il presente è redenzione e il futuro è salvezza, il futuro è sempre positivo.
La scienza si è soliti contrapporla alla religione. Questa contrapposizione non ha senso perché la scienza è profondamente cristiana, a sua volta il passato è ignoranza, il presente è ricerca, Il futuro è progresso; un futuro assolutamente positivo. Abbiamo la laicizzazione della triade cristiana.
Anche Marx sotto questo profilo è un cristiano. Il passato è ingiustizia sociale, il presente è far esplodere le contraddizioni del capitalismo. Il futuro è giustizia sulla terra.
Un futuro sempre al “positivo”?
Ecco cosa ha inaugurato l’Occidente: il futuro sempre positivo.
Anche Freud che scrive un libro contro la religione intitolato “L’avvenire di un illusione” dice che i traumi e le nevrosi nascono nel passato, il presente è terapia, il futuro è guarigione.
Sempre positivo, da qui nascono quelle parole che io chiamo parole della passività come la speranza. Quando sento dire: speriamo, auguriamoci, auspichiamo, queste sono parole della passività. Io sto fermo e vediamo quanto il futuro è positivo, porterà rimedio al presente
Il futuro sempre positivo è stata la molla che ha consentito all’Occidente di proiettarsi in un futuro senza limiti. Senza limiti.
Addirittura si potrebbe dire che la stessa tecnica è di derivazione cristiana, perché il greco non avrebbe mai pensato di poter dominare la natura, perché la natura era lo sfondo immutabile che nessun uomo e nessun Dio fece; era nella misura di tutte le cose.
Invece nella tradizione giudaico cristiana la natura è creata da Dio ed è consegnata ad Adamo per il suo dominio.
Nel Genesi l’uomo domina suo volatili del cielo, sui pesci delle acque marine, sugli animali dalla Terra.
Nel 1600 quando Bacone inventa la scienza moderna dice esplicitamente che attraverso la scienza e la tecnica noi riduciamo le pene del peccato originale, e le pene del peccato originale sono ricordate dalla fatica del lavoro. Bacone pensava che con la scienza e la tecnica si sarebbero ridotte le pene del peccato originale; vedete questa derivazione rigorosa della scienza della religione.
Quando Dio c’è, Dio fa mondo. E il mondo accade come Dio vuole. Se io tolgo Dio dal mondo contemporaneo lo capisco ancora, non lo capirei più se si togliesse la parola denaro che è diventato generatore simbolico di tutti i valori.
Il mondo non accade più come Dio vuole, Dio è morto. Che cosa sono diventati ormai le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?
Crolla la fiducia nel futuro perché Dio era la garanzia che alla fine si sarebbero realizzato le promesse che erano state annunciate all’inizio. Noi oggi non viviamo nella storia.
Non viviamo neanche del tempo, viviamo nella celebrazione del tempo. Non abbiamo più storia perché non abbiamo più religione.
Il nichilismo, l’ospite inquietante
La storia appartiene solo alle religioni perché sono solo le religioni capaci senso alla storia, come si abbandona la religione abbiamo la successione del tempo, ma non abbiamo più storia.
Siamo nel nichilismo che Nietzsche definisce con tre battute: manca lo scopo, il futuro non è più una promessa, manca la risposta ai perché, tutti valori svalutano, in questa terza considerazione secondo me non è interessante perché i valori non sono della metafisica che piovono sulla società, i valori sono dei coefficienti sociali che una società adotta perché le ritiene i più idonei a ridurre la conflittualità. Niente di più e niente di meno. Sono costruzioni troppo umane. I valori non sono valori eterni o cose di questo genere.
Prima della Rivoluzione Francese la società era organizzata secondo valori gerarchici. Dopo la Rivoluzione francese si è organizzata secondo valori di cittadinanza o di uguaglianza, almeno formale; sono cambiati tutti i valori.
Nietzsche dice “è inutile mettere alla porta l’ospite inquietante, il nichilismo, perché già da tempo si aggira per la casa, bisogna guardarlo bene in faccia”.
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo