Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un termine relativamente recente, è stato coniato negli Stati Uniti intorno agli anni ’30 del novecento.
Il disturbo borderline di personalità fu introdotto come termine per indicare quelle patologie che non potevano intendersi delle vere e proprie psicosi, né delle comuni nevrosi.
In Italia, secondo alcuni clinici, il termine più opportuno sarebbe: “patologia degli stati limite”, in effetti il termine risulta più chiaro; stato “limite” come psichismo al “limite” di essere trattato.
In questo articolo
Borderline: un termine relativamente recente
Tornando alla genesi del termine, Hoch e Polatin (1949) definirono il disturbo borderline di personalità (DBP) come una “schizofrenia pseudonevrotica” caratterizzata da pan-nevrosi, pan-ansietà, pan-sessualità.
Knight (1953) fu uno dei primi a isolare le caratteristiche del disturbo borderline di personalità (DBP):
- difficoltà nella gestione della rabbia
- difficoltà nella gestione dei processi di pensiero primario rispetto a quelli di livello secondario
- incapacità di programmare realisticamente
Intorno agli anni ’60 divenne importante poter avere una categoria diagnostica cui far rientrare il disturbo, ma non era facile perché il disturbo borderline di personalità (DBP) poteva manifestare una semiosi che andava dal tipo 1 al tipo 4, passando per gli stati intermedi 2 e 3:
- 1: psicosi
- 2: incapacità di mantenersi all’interno di relazioni affettive stabili
- 3: incapacità di avere un’immagine integra di sé
- 4: nevrosi
Ancora altri clinici individuarono altre caratteristiche, Grinker (1968) individuo 4 caratteristiche ritenute principali, quali:
- depressione pervasiva
- rabbia
- assenza di un’immagine di sé coerente
- difficoltà nelle relazioni
Da tenere presente che secondo Grinker il paziente rimane stabile all’interno del quadro del disturbo borderline di personalità (DBP), non scivola nella schizofrenia (psicosi).
Il nucleo della patalogia nel legame di attaccamento
Gunderson (1990) offre un quadro della patologia che per la prima volta guarda al passato della storia del paziente.
Il soggetto, affetto da disturbo borderline di personalità (DBP), mira a creare con l’altro significativo (es: il proprio partner) una relazione diadica esclusiva, come se volesse ricostruire qualcosa che nella sua infanzia non c’è stato.
Il paziente tende quindi a creare una relazione che ricorda la relazione dell’attaccamento (madre-bambino), tuttavia proprio perché non c’è stato un attaccamento sicuro, il soggetto vive nella paura di essere fagocitato dall’altro (alienazione nell’altro) e cerca di allontanarsi (separazione), temendo però di venire abbandonato.
Per prevenire la solitudine e l’abbandono queste persone possono arrivare a compiere atti autolesionistici.
Kernberg portando avanti un approccio di tipo psicoanalitico ha cercato di fornire una caratterizzazione basata sui sintomi quali:
- rabbia
- ansia
- ipocondria
- paranoia
- sintomi ossessivo compulsivi
- uso di stupefacenti
Volendo riassumere quanto fino a qui indicato, nel disturbo borderline di personalità (DBP) l’Io risulta debole e incapace di fronteggiare l’impulsi primitivi che lo angosciano, impulsi prevalentemente aggressivi, di rabbia verso l’altro.
Il paziente è bloccato a processi di livello di pensiero primario, le cui difese sono: scissione, comportamenti contraddittori visti con leggerezza.
Cosa nasconde l’aggressività del paziente borderline?
Per il soggetto affetto da disturbo borderline di personalità (DBP) il mondo è diviso in due, da una parte ci suono i buoni, dall’altra i cattivi, e soprattutto il paziente è bloccato all’interno di un pensiero non evoluto: quello dell’equivalenza psichica (la realtà risulta identica a come viene percepita); si tratta di un tipo di pensiero che i bambini già a tre anni cominciano ad abbandonare.
L’eziologia del fenomeno borderline ci conduce alla prima infanzia, alla relazione di attaccamento che non è stata quella di un attaccamento sicuro. Nella storia del paziente possono esserci fenomeni di traumi (come gli abusi sessuali infantili) all’interno di un ambiente famigliare caotico.
Il soggetto, alla ricerca della “madre”, è bloccato all’interno di un pensiero infantile (equivalenza psichica), teme e anela l’incontro con il mondo, cercando non più la “cura”, ma una “iper-cura”.
È incapace di “mentalizzare”, ovvero è impossibilitato a riflettere sui propri stati interni, non è in grado di dare un significato alla proprie emozioni; l’attivazione emozionale lo angoscia, non la comprende perché è incapace di riflettere sui propri stati interni.
L’incapacità di riflettere nel disturbo borderline di personalità (DBP)
Mentalizzare, riflettere sui propri stati emotivi: sentire quanto si pensa e pensare quanto si sente, è una conquista evolutiva che si presenta nello fase dello sviluppo intorno ai 3-4 anni di vita.
Prima dei 3 anni il funzionamento psichico è appunto quello dell’equivalenza psichica che non distingue: tra come le cose sono e come le cose appaiono; tutto è come appare.
Verso i 4-5 anni la modalità dell’equivalenza psichica viene integrata con quella “immaginativa”, subentra nella vita del bambino il gioco “al far finta”; la vita comincia ad avere prospettive diverse.
Intorno ai 6 anni il bambino, che ha seguito un normale sviluppo, comprende perfettamente che la percezione della realtà dipende da fattori soggettivi.
Il paziente affetto da disturbo borderline di personalità (DBP), non è arrivato a compiere questi passaggi, la sua mente è ancorata al meccanismo dell’equivalenza psichica.
L’evoluzione psichica si è arrestata perché nella sua infanzia non ha incontrato un caregiver (figura di attaccamento) che lo abbia aiutato a prendere contatto con i propri stati interni.
Imparare a riflettere, non aver timore di accedere alla propria interiorità psichica è una capacità che una madre “sufficientemente buona” è in grado di insegnare al proprio figlio/a.
I pensieri disturbanti come mai disturbano?
I pensieri, dunque, precedono il «pensare» e aspettano un pensatore che sia in grado di «pensarli» utilizzando un adeguato apparato per pensare. In queste poche parole dell’articolo “Pensare in gruppo,
Nella storia del paziente borderline può esserci stata una madre che non abbia saputo tradurre le angosce del bambino (pensieri alfa), che in altre parole non sia riuscita a mentalizzare tali angosce.
È probabile che la madre stessa sia stata angosciata a sua volta dalle angosce del bambino.
Così il bambino che si riflette negli occhi della madre, impara a scartare frammenti di sé che, come la madre, considera negativi.
È proprio in questa circostanza che viene a formarsi quell’aspetto del Sé che la persona stessa percepisce come “alieno” e non potendo attribuirlo a sé stesso, per sue incapacità, lo proietta sull’altro.
Il soggetto tenderà a instaurare rapporti nei quali si sente una vittima perseguitata, in realtà l’elemento persecutorio non è fuori, all’esterno, ma è all’interno della psiche stessa.
Neurobiologia del disturbo borderline di personalità (DBP)
Come nel caso del PTSD (Disturbo Post traumatico da Stress), anche nel DBP, si riscontra a livello neurobiologico un iperattivazione del sistema limbico (amigdala, ippocampo, ipotalamo) a scapito della neocorteccia.
La neocorteccia è quella parte del nostro cervello adibita all’elaborazione del pensiero, mentre il sistema limbico, è un sistema più primitivo: ruota intorno al funzionamento dell’amigdala. L’amigdala regola le reazioni di attacco/fuga sulla base degli stimoli che sono percepiti dall’ambiente.
Il Disturbo Post traumatico da Stress (PTSD)
Il Disturbo Post traumatico da Stress (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) è una sindrome che si manifesta a seguito di un evento traumatico che ha coinvolto la persona in prima
Il quadro neurobiologico coincide su quanto appena descritto a livello delle funzioni cognitive: il paziente non è in grado di riflettere sui propri stati interni (mentalizzazione promossa dalla neocorteccia). Piuttosto è messo in scacco da impulsi primitivi e aggressivi (attacco/fuga innescato dal sistema limbico).
Esiste un ulteriore parallelismo tra aspetti cognitivi e neurobiologici. In uno esperimento di Shiffrin e colleghi due gruppi sono stati sottoposti alla visione di immagini: 10 soggetti con trauma infantile (DBP) e 10 soggetti per il gruppo di controllo.
Attraverso la risonanza magnetica funzionale è stato visto che mentre il soggetto di controllo fa uso di entrambi gli emisferi durante il processamento dell’immagine. Il borderline utilizza l’emisfero sinistro per le immagini neutre, mentre usa l’emisfero destro per le immagini che inducono paura.
Una scissione quindi sia neurobiologica che cognitiva che ricorda anche come il paziente DBP divida il mondo tra persone buone e persone cattive.
Come trattare il paziente DBP
La cura del disturbo borderline di personalità non è semplice, il paziente si sente vittima e perseguitato, è angosciato dal mondo e dai suoi stessi impulsi aggressivi. Inoltre è incapace di riflettere, quindi elaborare, perché bloccato all’interno dell’equivalenza psichica.
Non è facile stabilire un buon setting terapeutico con questo tipo di pazienti, il rapporto è molto fragile, proprio perché il paziente tende a proiettare il “Sé alieno e persecutorio” sul terapeuta stesso, il quale deve muoversi con molta cautela.
Da un lato il terapeuta deve essere in grado di accogliere l’aggressività che sente arrivare tramite il controtransfert, dall’altra deve poter scendere insieme al paziente nel suo mondo interiore.
Proprio perché non ha avuto un esperienza di un legame di attaccamento positivo, il paziente tenterà di stabilire con il terapeutica quella diade del rapporto madre-bambino.
Tenterà di richiamare l’attenzione con atti autolesionistici e minacce di suicidio. Il terapeuta in questi casi non deve né rimanere del tutto indifferente, né diventare “colui che salva” perché è proprio questo che il paziente va cercando; qualcuno a cui consegnare la responsabilità della propria vita.
È opportuno impegnarsi a creare un buon setting e portare avanti una terapia che favorisca lo sviluppo della capacità di mentalizzare. L’interpretazione del transfert è molto rischiosa, con pazienti così suscettibili potrebbe costare l’interruzione della terapia, ma se operato con estrema cautela a precisione, l’interpretazione del transfert, è in grado di far compiere un balzo in avanti alla terapia.
L’impiego di farmaci del disturbo borderline di personalità
I farmaci possono essere prescritti per un tempo limitato, questo può aiutare a creare un clima di tranquillità, di distensione che aiuta a creare il giusto setting operativo.
Dopo qualche mese però i farmaci devono essere interrotti, quelli più indicati nella cura del paziente DBP sono:
- Lamotrigina (antiepilettico)
- Litio (agisce sulla bipolarità, aspetti maniacali, disturbo ossessivo compulsivo)
- inibitori della ricaptazione della serotonina (antidepressivi)
- no all’uso di antipsicotici
Gli approcci psicoterapeutici più impiegati
Nella cura del disturbo borderline di personalità ci sono diversi approcci che possono portare a esiti favorevoli:
- Trattamento Basato sulla Mentalizzazione (MBT)
- Psicoterapia dinamica decostruttiva
- Psicoterapia dialettico-comportamentale
- Terapia centrata sul transfert (TFP)
Tutte queste forme di psicoterapia hanno il comune obiettivo di promuovere lo sviluppo della mentalizzazione, mentalizzare permette al paziente di poter entrare in contatto con sé stesso.
Il terapeuta può favorire la mentalizzazione chiedendo al paziente cosa immagina il terapeuta stia provando in un determinato momento. Oppure può favorire esperienze che possano portare il paziente stesso a rivedere le sue convinzioni.
L’interpretazione del transfert è contemplata all’interno della Terapia centrata sul transfert proposta da Kernberg. Tale approccio terapeutico prevede l’impiego di tecniche precise quali: chiarificazione, confrontazione, interpretazione:
- La chiarificazione consiste nel dare un nome ben preciso a quello che sta succedendo tra paziente e terapeuta nel momento presente es: il terapeuta guarda l’orologio e il paziente si spazientisce
- La confrontazione consiste nel domandare al paziente chiarimenti in merito a contraddizioni tra la comunicazione verbale e quella non verbale
- L’interpretazione ha come scopo l’integrazione di aspetti dissociati dell’esperienza, sostituire le difese primitive, risolvere la diffusione dell’identità, promuovere la capacità di autoriflessione
Il disturbo borderline di personalità (DBP) è una patologia dei nostri tempi, così come la grande isteria lo è stata tra ottocento e novecento. Una patologia, quella DBP, che affonda ha radici nella società e nella cultura di oggi dove la figura del padre, quindi del limite, è “evaporata” per lasciare spazio a una nostalgia della madre che apre ad un godimento senza desiderio.
La cura del desiderio di Massimo Recalcati
https://youtu.be/sMReYx6qrfo Nell’edizione di Festivalfilosofia 2020 dedicata al rapporto uomo-macchina, Massimo Recalcati ci parla di come prenderci cura del proprio desiderio, al fine di uscire da ogni automatismo. «Il desiderio è
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo