Tempo per la lettura: 8 minuti
Come e perchè la meditazione funziona

Di seguito la trascrizione del contributo video.

La percezione si differenzia dalla mera sensazione, allora la percezione cosa significa?

È il processo di risalire dalla sensazione alle cause nel mondo esterno che l’hanno generata. È un’operazione complessa perché non abbiamo accesso diretto alle cause nel mondo; siamo sempre separati da esso dal velo sensoriale. Attraverso il nostro apparato sensoriale non abbiamo accesso diretto, quindi dobbiamo compiere un processo inferenziale, ovvero fare un’inferenza probabilistica su quali siano le cause che possono aver generato la sensazione. Non abbiamo mai la certezza assoluta.

Questa idea della percezione come inferenza risale a Helmholtz, che cercava di capire come gli apriori kantiani, ovvero le categorie che utilizziamo per interpretare il mondo, potessero rimanere ancorati alla realtà del mondo e non essere completamente arbitrari. Helmholtz propose per la prima volta quest’idea della percezione come processo inferenziale.

Facciamo un esempio: supponete di essere nella vostra sala di notte e, all’improvviso, sentite un rumore. Nella vostra mente si affacciano immediatamente alcune ipotesi sulla causa di quel rumore, come l’idea che ci siano dei ladri oppure che sia caduto un ramo sul tetto. Come fate a giudicare quale ipotesi è più probabile? Vi sono due tipi di informazioni importanti: quanto bene combaciano le prove (ovvero l’evidenza sensoriale) con l’ipotesi scelta e quanto è probabile l’ipotesi in sé stessa.

Quanto bene combacia l’evidenza sensoriale con l’ipotesi? Ad esempio, se scegliete l’ipotesi che un ramo sia caduto sul tetto, il suono che avete sentito corrisponde bene a quello dell’infrangersi del vetro del lucernario. Quanto è probabile l’ipotesi in sé stessa? Ad esempio, se il giorno prima avete sentito dire che ci sono stati dei ladri nel vicinato, l’ipotesi che ci siano ladri nella vostra casa avrà già una maggiore probabilità a priori prima di aver sentito il rumore.

Questi due tipi di informazioni sono chiamati in gergo statistico “verosimiglianza dell’evidenza” (cioè quanto l’evidenza è verosimile data l’ipotesi) e “probabilità a priori” dell’ipotesi. Questo modo di procedere, questo processo inferenziale, era stato descritto già nel 1700 da un prete presbiteriano, filosofo e matematico di nome Thomas Bayes e va sotto il nome di “teorema o regola di Bayes”.

Introduzione al Concetto di Probabilità a Posteriori

Il concetto che abbiamo visto nello schema precedente riguarda la probabilità a posteriori di un’ipotesi sulle cause di una sensazione. “A posteriori” significa “dopo aver ricevuto il dato sensoriale”. Questa probabilità è proporzionale al prodotto della probabilità a priori dell’ipotesi e della verosimiglianza dell’evidenza. In altre parole, se una di queste componenti è forte, aumenta la probabilità a posteriori. Sembra che il processo della percezione funzioni proprio in questo modo, in maniera iterativa: dopo aver ricevuto l’evidenza sensoriale, la probabilità a posteriori diventa la nuova probabilità a priori, che viene confrontata con nuove evidenze sensoriali.

Questo processo è simile a quello che avviene in un procedimento giuridico. I testimoni forniscono le loro testimonianze e, ogni volta, l’ipotesi sulla colpevolezza di un imputato viene aggiornata sulla base delle nuove evidenze, diventando la nuova probabilità di partenza. Il contenuto della percezione diventa così l’ipotesi che in quel momento ha la maggiore probabilità a posteriori.

Tuttavia, c’è un problema: il cervello, per come è costruito e per una serie di problemi intrinseci alla corrispondenza tra stati del mondo e sensazioni generate, non può avere una corrispondenza biunivoca (una cosa corrisponde a una sola cosa). Matematicamente, il problema è mal posto e non è pensabile che l’architettura neurale del cervello possa risolverlo in questo modo.

Il cervello trova una soluzione approssimata al problema del riconoscimento delle cause tramite la costruzione di un modello interno generativo a struttura gerarchica. Questo modello si sviluppa con l’esperienza e si deposita attraverso la forza delle connessioni sinaptiche. La rappresentazione delle cause esterne, costruita nel cervello, fornisce previsioni riguardo ai segnali sensoriali che arrivano, in modo proattivo. La struttura gerarchica è molto importante perché i livelli più elevati forniscono previsioni per gli stati dei livelli inferiori e, viceversa, il livello più basso (quello dei recettori sensoriali) calcola la discrepanza tra la previsione e il dato sensoriale effettivo.

Il Processo di Percezione e Azione

Quindi, sulla base della nostra ipotesi iniziale e della nostra previsione, chiediamo qualcosa al mondo e il mondo ci risponde con dati che di solito non combaciano perfettamente con ciò che avevamo previsto. La discrepanza è l’unico segnale che viaggia all’indietro verso i livelli superiori del nostro cervello; quindi, l’unica informazione importante è l’errore. L’unica informazione che arriva dai recettori sensoriali verso l’alto è un errore. Filosoficamente, questo è interessante.

Fino ad ora abbiamo trattato l’idea della mente predittiva da un punto di vista percettivo e del tutto passivo. Tuttavia, gli organismi viventi hanno una caratteristica che li distingue dalla materia inerte: la capacità di azione. Questa capacità di agire aggiunge una grande efficacia al processo inferenziale. Consideriamo l’esempio precedente: se abbiamo ipotesi in competizione, potremmo sederci e aspettare che arrivi altra informazione per aiutarci a decidere. Ma, di solito, quando l’informazione è insufficiente, rumorosa o ambigua, agiamo. Teniamo per buona un’ipotesi, facciamo una previsione su cosa dovrebbe succedere in base a essa e andiamo a verificare agendo se è effettivamente così.

Se pensiamo che ci siano dei ladri, potremmo andare a controllare la porta sul retro. Prevediamo che, se ci sono ladri, vedremo segni di scasso. Se il segnale sensoriale conferma la presenza dei segni, l’ipotesi è confermata. Questo approccio è molto più efficace per selezionare tra le ipotesi rispetto a stare fermi ad aspettare. Se c’è un errore di previsione, come l’assenza di segni di scasso, questo errore diventa un segnale che insegna al nostro modello interno, riducendo la probabilità e la credibilità della prima ipotesi e aumentando quella dell’ipotesi alternativa, che poi guiderà una nuova azione.

In questa figura aggiornata del processo, ci sono due aspetti: l’aspetto attivo dell’azione, in cui cerchiamo nel mondo il segnale sensoriale che abbiamo previsto (una sorta di profezia autoavverante), e l’aspetto percettivo, che si basa sul cambiamento delle ipotesi, favorendo una delle ipotesi alternative. In effetti, ci sono due modi per minimizzare l’errore di previsione: possiamo cambiare lo stato del modello interno, rivedendo le nostre ipotesi o credenze iniziali, che è il meccanismo della percezione; oppure possiamo mantenere l’ipotesi iniziale e cercare dati sensoriali che confermino la nostra previsione, che è la modalità dell’azione.

Nello schema precedente, la probabilità, o verosimiglianza, è la probabilità che il dato sensoriale sia quello osservato data l’ipotesi.

Nella percezione si interviene revisionando l’ipotesi, mentre con l’azione si interviene selezionando un altro dato sensoriale. La modalità attiva, come ho detto, è un po’ il campo delle profezie autoavveranti. Noi andiamo proprio a cercare ciò che abbiamo predetto, ciò che conferma le nostre aspettative. Potreste pensare che questo sia problematico, ma è anche molto utile, specialmente in contesti ambigui o quando i segnali sono rumorosi. Ad esempio, se vi trovate in una fitta nebbia come in una scena di “Amarcord”, per tornare a casa vi affidereste più alla vostra mappa mentale, costruita camminando tante volte dalla scuola a casa, piuttosto che al segnale visivo, che è molto degradato e fornisce poca informazione.

In questa teoria che abbiamo esposto, manca un tassello molto importante, che ha una rilevanza particolare per quanto riguarda la meditazione. Le previsioni del modello non riguardano soltanto l’entità del segnale sensoriale, ma anche la sua affidabilità o precisione. Se ci aspettiamo un segnale sensoriale preciso, l’errore di previsione viene amplificato, perché significa che quel segnale è considerato affidabile dal nostro cervello. Ad esempio, il segnale visivo in condizioni normali è considerato molto preciso, dato che siamo animali prevalentemente visivi e abbiamo una grande corteccia visiva. Quindi, un errore di previsione su un segnale visivo va tenuto in grande considerazione per revisionare la nostra ipotesi iniziale.

Se invece ci aspettiamo un segnale sensoriale impreciso, l’errore di previsione viene attenuato. In questo caso, l’informazione che dovrebbe aiutarci a revisionare l’ipotesi è povera dal punto di vista informazionale, e quindi è meglio non modificarla in base a tale segnale, poiché porterebbe a revisioni casuali. Il meccanismo che guida l’amplificazione selettiva dell’errore di previsione a seconda del contesto è l’attenzione. Prestare attenzione a un certo aspetto o stimolo sensoriale significa aumentare l’amplificazione dell’errore di previsione relativo a quel segnale.

Questo processo ha senso anche dal punto di vista neurobiologico.

L’Influenza della Precisione e dell’Attenzione

Ogni neurone ha delle connessioni auto-inibitorie che possiamo modulare in senso discendente per aumentare o diminuire l’amplificazione del segnale in uscita, il quale costituisce l’errore di previsione. Notate che la previsione o la costruzione di una buona stima della precisione di un segnale è molto più difficile rispetto alla stima dell’entità del segnale, poiché dobbiamo raccogliere molti più campioni per stimarne la variabilità dal punto di vista statistico. Per stimare l’entità di un segnale si calcola la media, mentre per stimare la precisione si calcola la varianza, e quest’ultima è un compito molto più complesso. Non solo è più difficile imparare la stima della precisione o affidabilità di un segnale, ma è anche molto difficile modificarla una volta appresa.

Implicazioni della Stima della Precisione nella Psicopatologia

Recentemente, alcune proposte concettualizzano molte patologie psichiatriche come fenomeni dovuti a stime di precisione aberranti. Ad esempio, si è ipotizzato che nell’autismo ci sia una stima di precisione del segnale sensoriale anormalmente elevata, il che significa che il paziente fa affidamento sul dato sensoriale molto più di quanto farebbe una persona sana. Questo lo rende schiavo delle sensazioni e lo porta a ricapitolare ossessivamente il dato sensoriale per ridurre l’incertezza. Questo comportamento è problematico perché, man mano che il modello diventa più preciso grazie al campionamento costante del dato sensoriale, diventa anche più fragile. Appena cambia il contesto, il modello non funziona più, le previsioni sono fuori luogo e questo genera ansia, spingendo il paziente autistico a rinchiudersi in un ambiente prevedibile e circoscritto.

Situazioni inferenziali che richiedono un grande contributo di previsioni apprese, come le interazioni sociali e il linguaggio, sono particolarmente difficili per i pazienti autistici. Ad esempio, salutare un vecchio amico con un epiteto offensivo può essere interpretato come un segno di affetto, ma se rivolto a una persona sconosciuta, l’interpretazione sarà completamente diversa. La schizofrenia rappresenta il caso opposto: l’influenza delle credenze pregresse diventa molto forte e l’errore di precisione dovuto alla risposta del mondo viene attenuato. Questo rende i sintomi positivi della schizofrenia, come le allucinazioni, refrattari all’azione correttiva dell’errore di previsione.

Facciamo una piccola digressione per concludere. Sembra che lo scopo della codifica predittiva sia costruire una percezione fedele del mondo, ma in realtà la percezione è subordinata all’azione e al mantenimento in vita dell’organismo. Non ci interessa una rappresentazione perfetta del mondo, ma sapere abbastanza per mantenere in vita l’organismo. In altre parole, un organismo vivente riesce a isolarsi temporaneamente dalla dissoluzione entropica prescritta dal secondo teorema della termodinamica, mantenendo un ordine interno rispetto al disordine dell’universo.

Questo contrasto tra ordine e disordine è presente anche in molte religioni. Ad esempio, in sanscrito, la radice “rta” significa ordine e ha la stessa radice di parole come “arte”, “ritmo” e “rito”. Nell’iconografia indù, l’antagonista dell’ordine “rta” è “mirti”, spesso raffigurata come una dea dall’aspetto terribile con la bocca spalancata, sempre pronta a inghiottire l’ordine. Curiosamente, gli emissari di “mirti” erano considerati i dadi e le donne.

Il punto fondamentale è che l’organismo, per mantenersi in vita, deve minimizzare la probabilità a lungo termine di trovarsi in stati sorprendenti. Ad esempio, un pesce vorrà minimizzare la possibilità di trovarsi fuori dall’acqua. Questo concetto è stato formalizzato dal neuroscienziato Karl Friston attraverso il principio dell’energia libera, che afferma che la caratteristica distintiva del vivente è la minimizzazione a lungo termine dell’errore di previsione. Questo unico principio è in grado di spiegare diversi fenomeni: percezione e azione su scale temporali diverse, apprendimento e attenzione, sviluppo neurale ed evoluzione.

Nella filogenesi di una specie, l’evoluzione tende a rispecchiare nella struttura morfologica dell’organismo alcune caratteristiche della sua nicchia ecologica. In pratica, l’organismo non ha un modello interno del mondo, ma diventa esso stesso il modello del suo mondo e tende continuamente alla conferma di sé per mantenersi vivo.

Il Ruolo della Meditazione nella Percezione e nell’Azione

Passiamo ora al campo della meditazione, utilizzando come esempio la meditazione Zen. Gli elementi fondamentali della meditazione includono l’immobilità della postura e dello sguardo, il non inseguire né sopprimere pensieri e sensazioni spontanee, e un’attenzione elevata con forti componenti propriocettive, ossia riguardo alla posizione del corpo e ai segnali viscerali ed emotivi. Le prime due caratteristiche riguardano l’aspetto della non-azione, mentre l’attenzione elevata si riferisce all’assegnazione di un’aspettativa di precisione ai segnali corporei, rendendosi conto delle azioni della mente attraverso le conseguenze sul corpo.

La meditazione promuove l’abitudine ad assegnare una forte aspettativa di precisione ai segnali corporei e a diminuire l’influenza dei pensieri spontanei. Questo approccio ha due valori importanti. Il primo è epistemico, cioè la familiarizzazione con i propri schemi abituali di pensiero e comportamento. Prestare attenzione al corpo permette di riconoscere immediatamente l’emergere di pensieri ansiogeni e di interrompere il loro ciclo, evidenziandoli alla nostra mente. Il secondo valore è pragmatico, in quanto riconoscere l’impermanenza dei fenomeni mentali riduce la loro influenza sulle nostre traiettorie mentali, permettendo una maggiore flessibilità e creatività nelle nostre azioni e pensieri.

Un altro aspetto pragmatico della meditazione riguarda la normalizzazione degli aspetti corporei ed emotivi della cognizione, particolarmente rilevante per operatori sanitari. In situazioni che attivano una risposta simpatica aumentata, come il rilascio di cortisolo e l’aumento della pressione arteriosa, l’attenzione elevata ai segnali corporei durante la meditazione amplifica l’errore di previsione e corregge il pensiero iniziale, interrompendo il ciclo di auto-conferma. Questo porta a una normalizzazione delle risposte corporee e a un decorso più fisiologico.

 

Pubblicato il
30 Luglio 2024

Potrebbe interessarti