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La cura psicoanalitica e il mondo
dall’individuo al collettivo, una rivoluzione silenziosa

Introduzione: l’individuo, la psiche e il mondo in crisi

Viviamo in un’epoca di transizione radicale. Crisi ecologiche, disorientamento politico, frammentazione culturale, perdita di senso. Eppure, sotto questa superficie turbolenta, continua ad agire un movimento silenzioso ma potentissimo: il bisogno di comprendere noi stessi, di riconnettere l’esperienza interiore alla complessità del mondo esterno.
È in questo scenario che la cura psicoanalitica — nel suo senso più profondo e simbolico — torna ad assumere una funzione vitale.

Lettura consigliata

Come ricordava Carl Gustav Jung, ogni epoca attraversa un passaggio denso e caotico, ma solo il contatto con la psiche può trasformare il caos in coscienza.

L’uomo in pace con sé stesso, diceva, “dà il suo infinitesimo contributo al bene dell’universo”.

Questa visione, oggi, non è soltanto una metafora spirituale: è una necessità antropologica.

Jung e Neumann: l’individuazione come motore culturale

Jung e il suo allievo Erich Neumann proposero una prospettiva rivoluzionaria: l’evoluzione della cultura collettiva dipende dall’evoluzione della psiche individuale.

Non è soltanto la società a plasmare l’individuo, ma anche l’individuo — attraverso la propria individuazione — a trasformare la società.

La psicologia del profondo come visione “bottom-up”

Le grandi analisi sociologiche, politiche o economiche spiegano il mondo con un approccio top-down, dall’alto verso il basso.
La prospettiva junghiana, invece, parte dal basso: dal mondo interiore, dal sogno, dall’archetipo, dal simbolo.

La cura psicoanalitica, in questo senso, non è soltanto una terapia clinica ma un atto politico nel senso più alto del termine: è la micro-rivoluzione psichica che genera nuovi paradigmi culturali.

Per Jung, l’inconscio non è un deposito di residui rimossi — come pensava Freud — ma una sorgente creativa, la matrice da cui scaturiscono le innovazioni simboliche, etiche e persino scientifiche.
Il processo di individuazione — diventare se stessi nel senso più autentico — è dunque un atto che trasforma non solo l’individuo ma anche la cultura in cui egli vive.

Il caos come creatività: una visione junghiana del cambiamento

Jung anticipa, con sorprendente modernità, concetti che oggi la scienza descrive come “teoria del caos”.
Anche nei sistemi deterministici — quelli dominati da regole e leggi — piccoli eventi possono generare effetti enormi.
L’analogia junghiana è chiara: una piccola trasformazione interiore può scatenare una rivoluzione culturale.

Un esempio contemporaneo è quello di Greta Thunberg: una sola persona, una voce isolata, ha risvegliato la coscienza ecologica di milioni di individui.
L’inconscio collettivo, quando trova un simbolo che lo rappresenta, diventa un’onda di trasformazione.

Bollas e l’età dello smarrimento: il soggetticidio della società orizzontalista

Nel suo saggio L’età dello smarrimento, lo psicoanalista britannico Christopher Bollas descrive la nostra epoca come “orizzontalista”: una società che ha smarrito la verticalità del senso.
Non esistono più gerarchie simboliche: tutto ha lo stesso valore, tutto è intercambiabile.

L’uomo non pensa più, ma trasmette informazioni. la comunicazione sostituisce la riflessione.

L’orizzontalismo e la crisi del soggetto

In questa società orizzontale nasce quello che Bollas chiama “soggetticidio”: la progressiva scomparsa del soggetto profondo, del Sé capace di introspezione e significato.
Il risultato è una collettività iperconnessa ma dissociata, in cui si moltiplicano i sintomi dell’anomia, della depressione, dell’apatia.

Lettura consigliata

La cura psicoanalitica, in questo scenario, diventa allora un atto di resistenza culturale: recuperare la profondità del sentire, riattivare la capacità di pensiero e immaginazione, restituire peso e forma all’esperienza interiore.

Bollas descrive anche la figura della personalità normopatica: persone “anormalmente normali”, incapaci di emozioni autentiche, perfettamente adattate a un mondo privo di interiorità.
Una diagnosi, oggi, più che mai attuale.

Samuels e la politica dell’anima: la stanza d’analisi come laboratorio del mondo

Lo psicoanalista Andrew Samuels, esponente della scuola post-junghiana, propone un’idea audace: la stanza d’analisi può diventare un laboratorio di rivoluzione collettiva.
Egli amplia il concetto di controtransfert — la risposta emotiva dell’analista al paziente — fino a farne una categoria politica.

Il cittadino, dice Samuels, deve imparare a leggere le proprie emozioni nei confronti della società come un analista legge il controtransfert: non come sintomi personali, ma come strumenti di comprensione collettiva.

In altre parole: se impariamo a leggere le nostre risonanze interiori come segnali del mondo, diventiamo soggetti attivi, analisti della civiltà, non più pazienti passivi della storia.

Una visione forse utopica, ma potente: la cura psicoanalitica diventa così un atto politico diffuso, una pedagogia della consapevolezza collettiva.

Zoya e l’etica della cura: autenticità come fondamento

Lo psicoanalista junghiano Luigi Zoja ha spesso sostenuto che la psicoterapia è una prassi etica, non morale.
Etica nel senso greco di ethos: la dimora interiore, l’autenticità del vivere.
Ogni incontro terapeutico è un incontro tra due persone che cercano di diventare più vere, più libere, più consapevoli.

L’etica come ascolto dell’altro

L’analista, in questo senso, non è un tecnico ma un testimone.
Come diceva Winnicott, “la psicoterapia è due persone che si incontrano in un gioco serio”.
L’etica nasce dal rispetto, dal non giudizio, dall’ascolto profondo.

In questo senso, la psicoterapia si fa anche filosofia vissuta: un percorso che, dall’introspezione psicologica, può condurre all’intuizione spirituale, alla comprensione del senso dell’esistenza.
Zoja scrive: “Lo spirituale che non diventa etico è un’illusione; l’etica che non riconosce la sua radice spirituale diventa vuota”.

Una lezione di straordinaria attualità in tempi di smarrimento morale e iperrelativismo.

Neumann e la nuova etica: integrare l’ombra per non distruggere il mondo

Nel dopoguerra, Erich Neumann scrisse un libro profetico: Psicologia del profondo e nuova etica.
Egli affermava che il progresso esterno dell’umanità deve essere accompagnato da un’evoluzione interiore, da una nuova consapevolezza dell’ombra.
Senza questo equilibrio, le civiltà si autodistruggono.

L’irruzione dell’ombra nella società contemporanea

Oggi viviamo esattamente ciò che Neumann temeva: la regressione psichica del collettivo.
Le proiezioni, il bisogno di capri espiatori, la polarizzazione ideologica, il populismo, l’aggressività verbale e digitale sono manifestazioni di un inconscio collettivo in tumulto.
L’ombra non integrata ritorna nel sociale sotto forma di odio e divisione.

Neumann proponeva una nuova etica dell’integrazione, in cui l’uomo riconosce le proprie pulsioni distruttive senza reprimerle né agire.
Solo chi guarda la propria ombra può diventare realmente umano.

Dalla pandemia al post-umanesimo: la memoria che non c’è

L’esperienza della pandemia di Covid-19 è stata un gigantesco esperimento psichico collettivo.
Per qualche mese, sembrò possibile una rinascita: la solidarietà, il silenzio delle città, il ritorno alla natura.
Poi tutto è svanito, e il pendolo è tornato più forte verso l’individualismo, il cinismo, l’oblio.

Questa amnesia collettiva è il sintomo di una psiche che non sa più integrare il trauma, che rimuove anziché elaborare.
Come diceva Jung, “ciò che non viene portato alla coscienza ritorna come destino”.

La conoscenza in prima persona: pensare, sentire, immaginare

Nel mondo contemporaneo, la scienza e la tecnologia hanno sviluppato in modo esponenziale la conoscenza “in terza persona”: oggettiva, misurabile, impersonale.
Ma l’uomo non è solo un oggetto di studio: è anche soggetto di esperienza.
E qui sorge la grande sproporzione della modernità: una mente ipercompetente fuori, ma fragile dentro.

Riprendere la conoscenza in prima persona

Occorre una rivoluzione cognitiva: riabilitare la conoscenza in prima persona, quella che nasce dal sentire, dal riflettere, dal sognare.
Pensare — diceva Bollas — è diventato un atto rivoluzionario.
Ascoltare è un gesto politico.

Il filosofo coreano Byung-Chul Han lo spiega con lucidità: viviamo nell’epoca dell’auto-sfruttamento, dove la repressione non viene più dall’esterno ma dall’interno.
Il motto non è più “devi”, ma “puoi”.
Siamo schiavi della prestazione, prigionieri di una libertà apparente.

Solo una nuova consapevolezza etica — nutrita da introspezione, arte e simbolo — può restituirci un equilibrio tra tecnologia e anima.
Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è psicologicamente sostenibile.

Nichilismo e ricerca di senso: abitare il vuoto

Il filosofo Nietzsche aveva annunciato la “morte di Dio”, e con essa il rischio più grande: il nichilismo, cioè la perdita di ogni fondamento di senso.
Dopo di lui, l’umanità ha tentato di riempire quel vuoto con ideologie, religioni politiche, consumismo, tecnologia.
Oggi il vuoto è tornato, più silenzioso e più profondo.

Piccole comunità di significato

Come uscirne?
Forse non si tratta di “uscire” dal nichilismo, ma di abitarlo consapevolmente.
Costruire piccole comunità di senso, spazi di pensiero e di affetto, luoghi di ascolto e contemplazione.
Progetti culturali come BeenSapiens, dove il dialogo diventa cura, sono esempi di questa resistenza creativa.

Il pensatore Viktor Frankl, sopravvissuto ai campi di sterminio, scrisse che “chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”.
La ricerca di senso non è un lusso filosofico, ma un istinto vitale.

E come diceva James Hillman, le idee davvero terapeutiche non si limitano a consolare: spostano i mobili della mente, cambiano lo spazio interiore in cui abitiamo.

Conclusione: fare anima, fare mondo

Il dialogo tra Andrea Boni e Paolo Severino — da cui questo articolo prende ispirazione — ci restituisce un messaggio chiaro: il cambiamento collettivo inizia dalla cura dell’individuo.
Il mondo cambia quando cambiano le nostre immagini interiori, quando l’inconscio trova voce e il pensiero torna a essere un atto d’amore.

La cura psicoanalitica, dunque, non è un residuo del passato, ma una delle strade più urgenti per il futuro.
Non si tratta di guarire soltanto il sintomo, ma di ricomporre il legame tra l’anima individuale e l’anima del mondo.

Come scriveva Jung:

Non si diventa illuminati immaginando figure di luce, ma rendendo cosciente l’oscurità.

Questo articolo è stato tratto dal seguente video

Pubblicato il
8 Dicembre 2025

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