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Neuropsicologia classica
Per quanto riguarda la neuropsicologia classica la nascita di questo ambito di ricerca si identifica con la localizzazione della funzione del linguaggio verbale da parte di Broca nel 1861 a Parigi. Anno a partire dal quale in maniera molto rapida si susseguono una serie di ricerche sperimentali e cliniche e anche di scoperte, fra le quali va ricordata la localizzazione dell’area motoria da parte di Fritsch e Hitzig che sono due neurofisiologi tedeschi.
- Quello che Broca localizza nel 1861 è l’afasia cosiddetta motoria, cioè l’impossibilità di produrre il linguaggio verbale pur mantenendone la comprensione.
- Quello che realizzano negli anni ’70 Fritsch e Hitzig è la localizzazione di una specifica area motoria nel cervello, sulla corteccia.
A seguire Wernicke localizza l’altro aspetto della funzione del linguaggio verbale e scopre la cosiddetta afasia di Wernicke che si caratterizza per essere un’afasia sensoriale.
Mentre Broca determina la impossibilità di produrre il linguaggio verbale pur mantenendone la comprensione, il disturbo localizzato da Wernicke, sempre nel nostro emisfero sinistro, si chiama afasia sensoriale perché le persone che ne sono affette possono parlare senza impedimento, cioè non hanno difficoltà di articolazione e quindi hanno una produzione molto fluida del linguaggio verbale, ma del tutto sconnessa dall’elaborazione del significato.
Nella afasia di Broca è come se si inceppasse l’aspetto motorio di questa funzione, mentre nell’afasia di Wernicke ad incepparsi è l’aspetto sensoriale.
Wernicke nel 1874, Wundt nel 1879 con il quale abbiamo la nascita della psicologia scientifica – Wundt è considerato tradizionalmente il padre della psicologia come scienza autonoma, fonda nel 1879 il laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia e ne fa un luogo di rapida ed entusiastica convergenza di studiosi anche molto diversi fra di loro, a vario titolo interessati alla psicologia e al funzionamento della mente, un luogo che fa da Hub e da incubatore per tutte quelle intelligenze lavorano sulle nostre funzioni cognitive.
In questo senso nel 1879 il laboratorio di Lipsia fondato da Wundt diventa il luogo di origine di tutta una serie di riflessioni, speculazioni, programmi teorici, di impostazione metodologica che si andranno rapidamente diffondendo nel mondo, e non solo in Europa, e produrranno la nascita delle singole scuole psicologiche: con il 1879 segniamo la legittimazione scientifica e autonoma della psicologia come scienza.
I primi modelli connessionistici
Nel primo Novecento ci troviamo di fronte ai primi modelli connessionistici, si è visto come sia stata localizzata la funzione del linguaggio verbale in una prima fase in termini motori e in una seconda fase in termini sensoriali, questo conduce a delle ipotesi interpretative dei modelli teorici di riferimento che prevedono che la doppia natura funzionale del sistema nervoso, cioè l’aspetto sensoriale e l’aspetto motorio costituiscano nel loro insieme la funzione cognitiva e che quindi l’aspetto sensoriale e l’aspetto motorio siano necessari, ma anche sufficienti a ipotizzare la struttura e lo svolgersi nel tempo di una funzione cognitiva.
L’idea è che la capacità di sensazione e la capacità di movimento si integrino e si combinino a rendere possibile la funzione nel suo insieme, e quindi il nostro parlare, il nostro comprendere il parlato altrui.
Primo Novecento: varietà di ipotesi interpretative
Nel primo Novecento l’entusiasmo è destato dal fatto di essere riusciti a localizzare il linguaggio, la funzione cognitiva per eccellenza, che caratterizza dal punto di vista specie-specifico gli umani rispetto al resto del mondo animale.
Un fervore generato anche dall’aver localizzato in luoghi specifici del cervello la radice genetica di questa nostra capacità e anche le condizioni di possibilità per cui un’area sensoriale che in caso di lesione rende impossibile la comprensione, è un’area motoria che in caso di lesione rende impossibile l’articolazione, cioè la produzione motoria.
Si scopre che il cervello è organizzato per aree sensoriali e motorie, aree di associazione, ma soprattutto che la parte sinistra del nostro cervello svolge una serie di compiti e la parte destra ne svolge altri che scopriremo solo in un secondo momento perché l’emisfero destro è muto e quindi è stato più difficile da esplorare.
Il linguaggio è a sinistra e quindi il cervello non è simmetrico, si pensava che il valore più alto della cultura occidentale tradizionalmente fosse stata quella della simmetria, gli umani si sono sentiti per secoli animali più simmetrici presenti in natura. Invece, si scopre che siamo asimmetrici e siamo asimmetrici proprio sul linguaggio verbale, e potremmo aggiungere che siamo asimmetrici anche nella dominanza manuale, perché siamo una specie profondamente destrimane, con una percentuale altissima e lo siamo presumibilmente da sempre.
Fin dalle prime pitture rupestri che riproducono sagome di mani sono tutte sagome di mani sinistre, quindi evidentemente tracciate con la destra e seguendo la sagoma dell’altra mano.
A questa scoperta della asimmetria si lega il concetto di dominanza emisferica, una questione particolarmente controversa in quanto la dominanza emisferica equivale a dire dominanza dell’emisfero sinistro sul destro. A sinistra abbiamo il linguaggio e da sinistra controlliamo la mano destra: la mano con i nostri pollici opponibili e il linguaggio verbale ci caratterizzano.
Tale fenomeno è stato interpretato come segno di una effettiva dominanza della parte sinistra del cervello su quella destra ed è stata formulata l’espressione che lo sviluppo dell’emisfero destro, differenziandosi da quello sinistro, abbia segnato in qualche modo la specificità degli esseri umani.
Una seconda linea speculativa si è sviluppata a partire dal fatto che se abbiamo due emisferi diversi, se hanno capacità funzionali differenti, e anche notevolmente differenti come abbiamo visto, allora forse sarebbe plausibile ipotizzare che ciascun emisfero sia collegato a una certa mente, a uno stile di pensiero, una modalità di elaborare le informazioni, due emisferi, due cervelli, due menti, su questo sono state sviluppate tantissime riflessioni teoriche anche in chiave ideologica perché la supremazia dell’emisfero sinistro è stata considerata un indice di civilizzazione e dunque tanti rapporti ideologici, politici, pensiamo fine ottocento inizio novecento le dinamiche coloniali per esempio, i rapporti di potere, venivano interpretati come legittimati, dettati e generati da questo notevole sviluppo dell’emisfero sinistro che caratterizza la civilizzazione e quindi caratterizza il dominio del forte sull’debole, in termini di minore civilizzazione e quindi chissà che non sia anche una minore differenziazione emisferica, chissà che non sia anche la presenza di emisferi sinistri meno potenti e quindi un funzionamento del cervello più globale nelle circostanze in cui ci si trova in posizioni subordinate.
La dominanza emisferica è stata invocata per la spiegazione dei colonizzatori sui colonizzati ma anche negli uomini sulle donne o anche dei bianchi sulle persone di colore, o degli adulti sui bambini, o dei normali, dei sani sui pazzi.
Un altro tema evidentemente portato dalle riflessioni precedenti è come ci mettiamo allora rispetto all’unità della coscienza.
Se abbiamo due emisferi, se sono così diversi:
- l’emisfero sinistro parla perché ha una modalità di elaborazione dell’informazione fortemente analitica e sequenziale, potremmo dire logico-deduttiva, con catena di informazioni in maniera seriale, le spezzetta e le considera nel loro collegamento
- Invece l’emisfero destro funziona in maniera più olistica, più globale, l’ideale di funzionamento nell’emisfero destro è la nostra percezione di un’immagine visiva o di una melodia musicale.
- l’ideale di funzionamento dell’emisfero sinistro è la nostra capacità di letto-scrittura
Partiamo dall’idea che la nostra è una natura neuro psicologicamente duplice:
- – un emisfero sinistro, analitico
- un emisfero destro sintetico
- un emisfero sinistro che parla
- un emisfero destro silente
Un emisfero sinistro legato a tratti specie-specifici che ci definiscono, cioè il linguaggio verbale e la mano destra che stanno alla base della cultura.
Parlare, poi leggere, poi scrivere, e prima ancora prima di parlare muovere le mani con un certo livello di abilità e di autonomia rispetto all’interazione con l’ambiente.
Imparando a leggere scrivere noi attiviamo un percorso nel nostro emisfero sinistro quindi la cultura entra in qualche modo, ci modifica a partire dalle condizioni di base che la natura ha messo a disposizione.
Tutto questo lo riconduciamo alla neuropsicologia classica distinguendola dalla neuropsicologia cognitiva.
La neuropsicologia cognitiva
La distinzione di fatto segna un momento di demarcazione che si può collocare alla metà del ‘900, una fase diversa nella quale si dispone di modelli cognitivi scientificamente fondati, va di pari passo con l’affermazione del cognitivismo in psicologia, dell’intelligenza artificiale, ma anche di grandissimi sviluppi sul piano delle neuroscienze.
In questo senso la seconda fase che inizia nella metà del ‘900 ed è quella nella quale ancora ci troviamo, quello che cambia con la neuropsicologia cognitiva è il concetto di elaborazione dell’informazione.
L’idea che in realtà sensazione e movimento non siano sufficienti a spiegare le nostre funzioni cognitive, perché fra la sensazione e il movimento interviene l’elaborazione dell’informazione, un momento nel quale colleghiamo, integriamo, proiettiamo all’esterno ipotesi possibili, previsioni dei nostri comportamenti in funzione del raggiungimento dei nostri obiettivi.
L’idea dell’elaborazione dell’informazione che infatti si afferma a partire dagli anni ’50, sostanzialmente è basata su una concezione del sistema cognitivo come complesso dispositivo organizzato in unità funzionali diverse, ovvero, moduli, componenti funzionali dotati di una specificità.
Questo concetto di funzionamento del sistema cognitivo si lega alla teoria dell’informazione, proprio perché prevede che fra la sensazione e il movimento intervengano processi di elaborazione che sono concepiti in termini computazionali.
Come in un computer ci sono componenti specifiche ciascuna dotata di una propria funzione specifica, un proprio ruolo funzionale e poi tutti articolati e organizzati per il funzionamento complessivo dello strumento, nello stesso identico modo si immagina che nel sistema cognitivo e dunque nel nostro cervello esistano dei moduli funzionali specializzati per l’assolvimento di funzioni specifiche, moduli funzionali che possono anche essere selettivamente lesi così da determinare lesioni, deficit funzionali altrettanto specifici.
L’idea è che ci sia un’analogia tra la mente il computer.
Si pensa alla mente in termini di computer proprio immaginandola come un sistema operativo, articolato in componenti differenti e assemblato per l’assolvimento delle funzioni complessive.
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo