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È il cervello a determinare la coscienza?
Nel mondo contemporaneo, è quasi dato per scontato che la coscienza derivi dal cervello, secondo un modello neurobiologico largamente accettato che vede la coscienza come emergente dall’attività sinaptica e dai processi elettrochimici cerebrali.
Autori come Francis Crick e Christof Koch hanno sostenuto questa visione nei loro studi sul “problema difficile” della coscienza. Tuttavia, non tutti nel panorama scientifico sono concordi, e il dibattito resta aperto. Molti scienziati affermano senza esitazione: “Non c’è alcun dubbio”. Eppure, esiste una tradizione filosofica che mette in discussione questa supposizione. Una figura emblematica di questo pensiero è Dharmakirti, filosofo e logico buddhista vissuto in India nel VII secolo, il cui lavoro è sorprendentemente attuale.
Dharmakirti e la logica della coscienza
Dharmakirti sostiene che se il cervello fosse davvero la causa speciale e indispensabile della coscienza, allora qualsiasi danno o beneficio al cervello dovrebbe influenzare la coscienza in modo proporzionale.
La relazione sarebbe unidirezionale, come quella tra una lampada e la sua luce: distruggendo la lampada, la luce scompare; ma coprendo la luce, la lampada resta intatta.
Secondo questa logica, ci aspetteremmo che ogni intervento sul cervello si rifletta direttamente sulla coscienza e che non esistano esperienze coscienti in assenza di attività cerebrale. Ma è davvero così?
Esperienze di premorte e anomalie cliniche
Il cardiologo olandese Pim van Lommel ha condotto uno studio pionieristico su pazienti sopravvissuti a infarti, pubblicato nel 2001 sul The Lancet. Durante una fase di morte clinica – nessuna attività cerebrale misurabile, nessuna respirazione, nessuna risposta riflessa – alcuni pazienti riportavano esperienze coscienti vivide. Una delle testimonianze più sconvolgenti è quella di una donna cieca dalla nascita, documentata nello stesso studio di van Lommel pubblicato su The Lancet nel 2001 che, durante il coma, “vide” il proprio corpo dall’esterno e riconobbe un anello grazie alla memoria tattile.
Il potere della mente: placebo e compassione
Un altro esempio emblematico è quello di un giovane coinvolto in una sperimentazione clinica, che, dopo una lite sentimentale, assunse tutti i farmaci in suo possesso. In pronto soccorso presentava sintomi gravi, ma migliorò drasticamente appena gli venne detto che aveva assunto solo placebo. Questo caso, documentato in riviste mediche, mostra l’influenza della coscienza sul corpo.
Anche nel campo della guarigione interiore, esistono testimonianze sorprendenti. Lama Zopa Rinpoche, nel suo libro Guarigione definitiva: il potere della mente, racconta di uno studente affetto da HIV che, praticando per soli quattro giorni una meditazione sulla compassione (Tong Len), riuscì a guarire completamente. I medici non trovarono più tracce del virus.
Zopa Rinpoche, L. (2009). Guarigione definitiva: Il potere della mente. Chiara Luce Edizioni. Sebbene il caso sia riportato nel libro con grande dettaglio, non risultano al momento pubblicazioni scientifiche o verifiche cliniche indipendenti che confermino il fenomeno descritto.
Coscienza e influenza sul mondo
Il potere trasformativo della mente non si limita all’individuo. Una ricerca negli Stati Uniti ha osservato che la pratica collettiva della meditazione trascendentale, condotta nel contesto del cosiddetto “International Peace Project”, ha coinvolto un gruppo numeroso di meditatori in una pratica quotidiana e continuativa. Gli effetti sono stati valutati confrontando i dati sulla criminalità durante e dopo il periodo di meditazione, rilevando una riduzione del 23% nei crimini gravi a Los Angeles. Lo studio è stato pubblicato su una rivista scientifica peer-reviewed, ma ha suscitato dibattito nella comunità accademica, e i tentativi di replicazione in altri contesti hanno prodotto risultati variabili. ha ridotto del 23% i crimini gravi a Los Angeles durante il periodo dello studio.
Conclusione
Secondo Dharmakirti, se il cervello non è la causa pervasiva della coscienza, come dimostrato dai casi clinici in cui la coscienza si manifesta nonostante l’inattività cerebrale (ad esempio, le esperienze di pre-morte) o viene potenziata grazie alla meditazione e all’effetto placebo, allora tale relazione univoca deve essere rivista alla luce di queste eccezioni significative, e se la coscienza può influenzare il cervello e il corpo, allora il paradigma materialista deve essere messo in discussione.
Le esperienze riportate dalla ricerca scientifica moderna sembrano supportare questa visione non-dualistica: la mente non è semplicemente un prodotto del cervello, ma un fenomeno con una propria dimensione, capace di influenzare la realtà in modi ancora da comprendere appieno.

Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo