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MECHRÍ a TOWARDS CONSTELLATIONS 2020

Come socio di Mechrí (Laboratorio di filosofia e cultura) lo scorso 23 settembre 2020 ho partecipato alla conversazione online dal titolo:

LE COSE, LE PAROLE, LA VERITÀ IN COMUNE

con Mario Biagini, Florinda Cambria, Carlo Sini – ciclo di conferenze ideato da Towards Constellation

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Le cose e le parole: ogni comunità umana del presente e del passato ha avuto e ha le sue cose e le sue parole, per dirsi le cose e per intendersi. Anche noi non facciamo eccezione, ma quali sono le cose e le parole che definiscono in generale la comunità umana della quale siamo oggi partecipi? E possiamo (o dobbiamo) parlarne appunto in generale? È questo il cammino che nel presente, per molte ragioni, ci caratterizza: uno schermo universale e il linguaggio delle immagini telematiche e dell’inglese internazionale? C’è qualcosa di radicalmente nuovo in tutto ciò o è la ripetizione, in forme nuove, di un antico destino? Di perdizione o di salvezza?

È stato un incontro che ha offerto molti spunti su cui riflettere, in questo articolo riporto alcuni passaggi che reputo particolarmente interessanti:

Carlo Sini: «Il mondo biologico e il mondo tecnologico si rispecchiano, non risolviamo il primo problema con il secondo, ma dal fatto che l’ambiente è determinato da elementi naturali e sociali. Perché se dico Virus dico una parola e se uso una parola uso il mio corpo. Allora questo fatto pubblico non è un fatto, è un destino e un compito.
Esattamente come corrispondere al sorriso del bambino se non gli rispondo non diventerà mai un essere pubblico, cioè un essere umano, nel suo corpo proprio e nelle relazioni costitutive di quel corpo.»

Florinda Cambria: « Cosa è comune in questi linguaggi diversi? Cosa succede quando si è davanti allo schermo connessi da remoto? Circa 90 persone connesse.
Ciò che manca è la percezione viva della presenza del corpo dell’altro, i neuroni a specchio si attivano, eppure a me lo stesso manca qualcosa, quando guardo l’immagine del compagno nello schermo c’è un livello di esperienza di fondo al di là delle parole e degli schermi.
Il primo schermo sono proprio le parole, primo schermo e primo luogo pubblico, questa differenza tra pubblico e privato, tra corpo e parole, nasce quando si è già dentro alle parole quando si è già avvertita una differenza quella che poi individuiamo tra pubblico, privato, corpo, parola.
Ecco perché un bambino quando vede uno schermo acceso è attratto dallo schermo, come da un corpo di un altro, perché quella soglia non l’ha ancora passata del tutto; tutte le cose sono corpo e per lui e tutte le parole sono corpo e dico corpo, ma è già una parola. »

Carlo Sini: « Il desiderio dell’artista, dell’uomo comune, è quello della costituzione di una vita eterna che non si limita al genitore e al figlio e figli, ma a quel desiderio comune illustrato da Florinda e da Mario. Il che significa che la comunità umana non è fatto nata dal bisogno, ma dal desiderio di vita eterna che è già iscritto nelle parole che sto usando. Trasmettere un messaggio che va al di la del mio corpo, in questo senso tutti i problemi della pedagogia che sollevava Florinda vanno riconsiderati, ma senza condannare la relazione a distanza di per sé, perché questa è propria già del discorso comune, della scrittura o delle scritture, allora il problema è che tipo di comunità nascerà dall’esplosione di questa distanza.
Io penso che sia possibile un incremento del desiderio, non una cancellazione, questo è già presente dal fatto che stiamo traducendo in inglese, a prima vista sembra una perdita, il compito di tutti gli essere umani in quanto artisti, è di fare di questo contenitore comune, l’inglese internazionale, un luogo di richiamo di attrazione di rinascita di tutte le lingue della terra. Questo era già alle origine, quando le origini furono il primo canto e la prima danza.
In questo senso parlo di “compito di destino“, dobbiamo creare la comunità di una distanza nuova rendendola vicina, non abbiamo fatto altro da quando si è inventato l’alfabeto; quella tradizione di testi che attraversano spazi e tempi. »

Florinda Cambria: «Le parole che traducono, devono tornare nel fatto, sono le parole a creare l’infinito l’immenso, il lontanissimo, la rete, e tutte queste sono traduzioni.
Gli umani hanno da sempre tradotto, ma lo strumento di traduzione cambia, e questo fa differenza.
Secondo me si tratta di tenere assieme la continuità e la differenza.
Noi siamo natura, vita, che sa questo.
Poiché la vita umana è vita traduttrice, di conseguenza la vita umana è vita che ha da tradurre, trasformare, non necessariamente da ripetere.
Questo doppio movimento è il destino dell’essere umano, portare l’immenso nel minuscolo e il minuscolo nell’immenso, è un compito e una possibilità, tutta umana.
L’essere umano desidera vita eterna, desidera cioè portare la sua singolarità fuori dalla singolarità, e l’infinito nella sua singolarità.
È questo il doppio movimento che io vedo come compito. Il problema per me è vedere la differenza degli strumenti di traduzione di cui disponiamo, gli strumenti di traduzione modificano sempre quello che viene tradotto quindi il nostro compito e la nostra possibilità è di capire come veniamo modificati dallo strumento di traduzione che usiamo.
Potrà sembrare strano, ma questo doppio movimento inteso come esercizio, per me ha a che fare con quello che alcuni hanno chiamato il lavoro su di sé: fare esperienza che il tuo sé piccolo si può dilatare in un sé infinito, e il contrario

Carlo Sini: «Penso che quello che voi chiamate essere qui, ha il suo significato in quello che produce altrove. Se avesse un significato solo per me, allora sarebbe la morte, perché il significato che guarda al passato ha un futuro e una vita solo nelle interpretazioni degli altri.»

Pubblicato il
30 Settembre 2020
Ultima modifica
13 Novembre 2020 - ora: 22:29

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