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Bodhicaryavatara un’introduzione

Questo scritto vuole essere una sintesi dei passi che mi hanno personalmente interessato.

Sono venuto a conoscenza del Bodhicaryavatara di Santideva dopo aver ascoltato le lodi che il Dalai Lama ha fatto di questo testo.
Un testo difficile, un testo che ve letto con molta calma; meditato.

La tradizione di Nālandā

Avevo sentito parlare della tradizione di Nālandā, ma non sapevo che Nālandā fosse una vera e propria università dell’India antica (Stato di Bihar, India nord-orientale) datata dal III secolo a.C. al XIII secolo d.C.
In questo monastero buddhista nel II secolo d.C. fiorì la corrente buddhista detta Mahāyāna che avremo modo di affrontare in seguito.

 Excavated Remains of Nalanda Mahavihara: View of Site no. 03 and structure to north of Site no. 1B from East © Rajneesh Raj

Excavated Remains of Nalanda Mahavihara: View of Site no. 03 and structure to north of Site no. 1B from East © Rajneesh Raj

Santideva, autore del Bodhicaryavatara, fu un monaco estremamente dotto esponente dell’intenzione Mahāyāna, intenzione che si costituisce di due duplici aspetti:

  • raggiungere l’illuminazione (la libertà dalla sofferenza della vita, Nirvana)
  • mettere questa buddhità al servizio di tutti gli esseri

Chi segue il Mahāyāna è un bodhisattva, colui che ha generato la mente del risveglio (bodhicitta).

ManjushriPuja

Manjushri bodhisattva – un degli otto Figli Prossimi o Vicini (Grandi esseri)

Tutti coloro che sono sofferenti nel mondo lo sono per desiderio della propria felicità. Tutti coloro che sono felici nel mondo lo sono per desiderio della felicità altrui. (8.129)[1]

Per Santideva ‘io’: è semplicemente un’imposizione su un flusso sempre cangiante di elementi psico-fisici.[2]

Se la sofferenza di uno dissolve la sofferenza di molti, allora faccia sorgere quella sofferenza colui che ha compassione per gli altri e per sé. (8.105)[3]

Meditare su queste brevi parole, dense di significato, aiuta a sostituire l’interesse egoico, vera causa della sofferenza, con un altruismo che conduce alla vera felicità, alla realizzazione delle proprie aspirazioni.

Approccio di Madhyamaka

L’approccio perseguito da Santideva è quello di Madhyamaka (‘Via di Mezzo’), la verità non arriva per visione mistica, ma investigando i fenomeni per scoprirne la loro vera natura.

In questo modo ‘Io’:

Non sono altro che un flusso sempre mutevole di materia fisica, sensazioni, idee, altri contenuti mentali come volizioni e così via, e coscienza, ovvero gli ‘aggregati’.[4]

La mente di chiara luce, o mente primordiale, che abita tutti gli esseri senzienti liberata dall’ignoranza che grava sulle 6 coscienze (vista, udito, tatto, gusto, olfatto, mente) percepisce la verità assoluta come tutto ciò che di vero in assoluto viene detto a proposito della verità convenzionale; ovvero che le cose non sono come appaiono, non sono dotate di esistenza intrinseca, piuttosto determinate dal sorgere dipendente la cui natura risiede nella vacuità.

La vacuità

Se proviamo attaccamento o avversione verso un fenomeno, crediamo di provare una precisa emozione come conseguenza della natura intrinseca di quel fenomeno che per noi esiste o in modo intrinsecamente ripugnante, o in modo intrinsecamente appagante.

In realtà quel fenomeno è vuoto di esistenza intrinseca, ed è la nostra mente a proiettarne l’aspetto di attaccamento o di avversione.

Lettura consigliata

Per questo motivo la natura di tutti i fenomeni i fenomeni del Samsara è la vacuità.

La qualità stessa dell’essere vuoto di un’esistenza intrinseca è una vacuità, una negazione di esistenza intrinseca.[5]

Secondo Santideva la verità assoluta intesa come “acqua che penetra nell’acqua” è al di là della portata dell’intelletto; raggiungibile solo negli stadi di meditazione più avanzati, in cui la mente rimane assorta nell’assoluto stesso.

Bibliografia

1 – Santideva, Bodhicaryavatara, Ubaldini Editore, 1998, p. 17.
2 – Ibidem.
3 – Ibidem.

4 – Ibidem, p. 19.
5 – Ibidem, p. 20.

Pubblicato il
17 Novembre 2020
Ultima modifica
14 Dicembre 2023 - ora: 13:24

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