Sempre più spesso si sente parlare di anoressia in adolescenza. L’adolescenza è un periodo critico nella vita di un essere umano, un periodo di grandi rivoluzioni che investe l’individuo con cambiamenti significativi sia dal punto di vista corporeo, legati soprattutto allo sviluppo sessuale, che dal punto di vista psichico: il bambino che si avvia verso l’emancipazione dal nucleo famigliare.
Per compensare la naturale criticità del momento, gli adolescenti alternano fasi di evoluzione a fasi di involuzione. In questa oscillazione fisiologica può accadere che si vada a cronicizzare un desiderio stabile e inconscio di non voler diventare adulti. Il soggetto tende a un regressione involutiva bloccando completamente il suo sviluppo, così il corpo viene deprivato degli investimenti pulsionali e torna a assetti emotivi e configurazioni più antiche (infantili).
Nell’articolo Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): un’introduzione, abbiamo visto come la tematica del cibo e del mangiare possa diventare una modalità di relazione tra bambino e genitori.
Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): un'introduzione
Lo scorso 12 Dicembre 2020 è cominciato un nuovo camminoAll’interno di rapporti famigliari originariamente disfunzionali, il cibo diventa per il bambino un catalizzatore dell’attenzione dei genitori. In questo contesto, il cibo per l’adolescente assume un’iniziale significato di emancipazione: l’adolescente controllando l’assunzione di cibo mostra al nucleo famigliare che è autonomo e capace di controllare il suo corpo. Paradossalmente però si rimette al centro dell’attenzione dei genitori che vanno in allarme per lo scarso nutrimento.
In questo articolo
Come intervenire sull’anoressia in adolescenza
Come per ogni malattia, anche per l’anoressia intervenire in maniera precoce è fondamentale a ottenere in tempi rapidi cambiamenti positivi e sensibilmente concreti.
La ricerca in questo ambito ha messo in luce aspetti prognostici sia positivi che negativi.
Fattori prognostici positivi:
- sintomi di breve durata
- esordio recente della sintomatologia
- diagnosi precoce
- buona relazione genitori/figlio
- tratti isterici della personalità
- maternità
Fattori prognostici negativi:
- vomito
- bulimia
- uso di lassativi
- anomalie dello sviluppo della personalità premorbosa
- presenza di disturbi alimentari nell’infanzia
- problemi psicologici e sociali
- tratti autistici
- bambini iper-cinetici
- alessitimia
- difficoltà intersoggetive
- scarsa empatia cognitiva
Intervenire in modo precoce evita che i fattori di mantenimento negativi, sia biologici che comportamentali, si cronicizzino.
I fattori di mantenimento negativi dell’anoressia
Fattori di mantenimento come digiuno e denutrizione hanno effetti dannosi per tutti gli individui, a maggior ragione per l’adolescente che si trova in un periodo di grandi cambiamenti corporei.
L’anoressia precoce si sviluppa proprio in un periodo nel quale il cervello deve ancora evolvere e ha bisogno del giusto nutrimento per portare a termine le sue funzioni.
Il cervello consuma il 20% del fabbisogno calorico (P. Strata, Professore emerito di Neuroscienze Università di Torino), e se non riceve il giusto apporto energetico rischia di non svilupparsi in modo ottimale. I pazienti DCA (Disturbo del comportamento alimentare) seppur contenti della loro magrezza, lamentano problemi relativi all’attenzione e alla concentrazione (F. Scita, medico psichiatra).
La denutrizione incide anche sull’ormone della leptina (l’ormone della fame) che regola il rapporto fame e sazietà, il peso corporeo, l’assunzione del cibo e il dispendio energetico. Altro ormone coinvolto è la grelina che viene prodotto soprattutto dallo stomaco e stimola l’appetito.
Se l’intero organismo viene deprivato della corretta nutrizione anche il ritmico avvicendarsi degli ormoni regolatori di fame, sazietà e appetito viene meno.
Un impoverimento della mielina allenta inoltre il legame tra sotto-corteccia e corteccia, quindi il processo tra impulso, pensiero e rappresentazione.
Un altro fattore di mantenimento negativo è l’iperattività, il soggetto anoressico trae giovamento dalla smodata attività fisica che provoca un calo dell’appetito e un aumento di endorfine. Il soggetto diventa dipendente dal benessere che percepisce dal continuo esercizio fisico.
L’iperattività diventa anche un fenomeno per controllare l’ansia, i pazienti stanno bene quando fanno attività fisica che diventa un vero e proprio sedativo per l’ansia.
La terapia famigliare, per un’efficace trattamento dell’anoressia in adolescenza
La terapia famigliare è efficace quando la malattia è di breve durata e viene identificata ai suoi esordi, in ogni caso l’ambiente famigliare deve comunque essere reso più adeguato anche quando la malattia è più lunga.
La prima operazione da intraprendere è sempre quella della sensibilizzazione del soggetto e della famiglia al problema che fino a un determinato momento è rimasto sommerso, perché inconscio.
Occorre informare con chiarezza che proprio durante i primi momenti della terapia il peso del soggetto potrà calare. Il terapeuta deve operare al contenimento dell’angoscia famigliare, mantenendo alta la fiducia circa la bontà dell’intervento.
Il periodo sensibile al trattamento non sono le prime settimane, ma i primi 3-4 mesi, e gli indicatori non solo il peso corporeo, ma anche precisi atteggiamenti e comportamenti che in modo sottile tendono a cambiare.
I genitori devono capire che il figlio anche se vuole, non è ancora in grado di poter mangiare come si aspettano. Se genitori e figli rimangono in opposizione non sarà possibile passare agli step successivi che prevede la cura, e la parte sana del paziente rimane isolata.
La seconda parte dell’intervento, che si attiva dopo aver acquisito la consapevolezza della malattia e averla accettata, consiste nell’aderire al processo terapeutico (compliance).
Soprattutto nei primi momenti di questa fase ci può essere un conflitto interno al soggetto che deve essere accolto: da una parte il soggetto vuol proseguire la cura, mentre dall’altra potrebbe non volerlo.
È importante riscontrare quanto l’Io del soggetto sia allineato consapevolmente alla parte di sé che si vuole curare, o quanto colluda con quella malata.
Chi soffre di anoressia in genere ha difficoltà a sviluppare il pensiero simbolico e può non arrivare a “vedere” cosa sta accadendo all’interno della sua psiche. Purtroppo spesso le famiglie si sentono giudicate e responsabili di quanto sta accadendo, si possono mostrare ostili alla terapia, o vi prendono parte solo in modo passivo.
Il terapeuta deve partecipare in modo pragmatico, mostrando appena possibile i primi risultati dell’intervento, al fine di mantenere attivo il coinvolgimento di tutti i soggetti.
Tutta la famiglia è coinvolta e chiamata a comprendere il significato del sintomo, perchè un sintomo è sempre vettore di significato. Inoltre la famiglia deve imparare a contestualizzare il figlio come soggetto autonomo e non più dipendente.
Uno dei pericoli principali del lavoro con le famiglie è che ogni sistema, e quello famigliare non fa esclusione, tende sempre all’omeostasi, alla ricerca dell’equilibrio perduto anche se patologico; con le giuste cautele la famiglia deve essere responsabilizzata circa l’esistenza di questa variabile inconscia.
Anoressia: la ri-significazione del sintomo
Smettere di mangiare ha simbolicamente il significato di smettere di crescere, di non diventare adulti, di non assumersi le proprie responsabilità come soggetti autonomi.
Attraverso il sintomo si ritorna ad assetti psichici arcaici, un ritorno all’infanzia, una fuga autistica verso il grembo materno ormai da tempo abbandonato. La ri-significazione del sintomo attiva la capacità riflessiva che può innescare un cambiamento significativo dell’atteggiamento. La narrazione che fa l’adolescente, aiuta e libera indirettamente tutta la famiglia da fenomeni transgenerazionali coagulatisi nel figlio.
Qualsiasi significato, attraverso la riflessione, deve poter essere espanso, andando oltre l’aspetto letterale del sintomo le cui storie non devono mai essere banalizzate.
Il terapeuta deve sempre rimanere nell’area prossimale nella quale si trova il paziente, deve rimanere al suo fianco.
Sandra Maestro, Neuropsichiatra Infantile
Linee guida dell’intervento sull’anoressia in adolescenza
Sia i manuali DSM-5 che l’ICD-11 classificano l’anoressia come un disturbo dell’alimentazione e nutrizione.
Il termine nutrizione è stato inserito perché multidisciplinare, infatti per affrontare il disturbo è richiesto un trattamento integrato determinato dalla presenza di nutrizionista, psicoterapeuta e psicofarmacologo (l’equipe minima).
L’intervento può essere svolto sia presso pubbliche strutture che presso privati, in ogni caso si raccomanda il mantenimento del contatto con il pediatra o medico di base per ripetere con regolarità le analisi.
Ingenuamente possiamo ritenere che analisi a distanza di 4 mesi possano essere considerate “recenti”, in realtà quando c’è vomito le analisi andrebbero ripetute ogni 14 giorni perché il potassio, insieme a sodio, calcio e magnesio, è un’importante elettrolita (ione) che serve a regolare le funzioni sia nervose che muscolari dell’organismo (A. Senzacqua, Dott.ssa in chimica e tecnologie farmaceutice), purtroppo l’arresto cardiaco è una delle principali cause di morte nei gravi pazienti anoressici.
Tra le linee guida è indicato di contemplare da subito l’ipotesi di un ricovero come livello più intensivo di cura, la chiarezza iniziale scongiura il fraintendimento del concepire il ricovero, quando richiesto, come il fallimento del percorso di cura.
Oltre al ricovero è possibile la permanenza presso strutture residenziali che sono efficaci a interrompere i fattori di mantenimento negativi e a far cadere i valori identitari che la malattia arreca.
Spesso gli adolescenti in cura si trovano senza identità e la malattia offre loro una subdola forma d’identità, seppur mortifera e distruttiva.
Ricordiamo che gli adolescenti si ammalano di anoressia, proprio nel momento di separazione dalle istanze genitoriali interne, rinunciando così alla conquista di una propria identità.
Ringrazio la Dott.ssa Sandra Maestro, Neuropsichiatra Infantile e Ricercatore dell’IRCCS Stella Maris, per le importanti informazioni che questo articolo ha raccolto.
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Alla fine dell’intenso percorso di studi relativo al master sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), ho pubblicato un volumetto per approfondire e comprendere il problema dell’anoressia.
Passa per di qua, tra mente e corpo, la via della cura verso il recupero degli opposti, scissi e in lotta tra loro, nella trasformazione salvifica di un pensiero concreto desiderante un corpo astratto (etereo, asessuato, effimero, leggero) nel pensiero astratto di un corpo concreto (solido ponte e tramite efficace, fucina, laboratorio creativo).
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Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo