Condivido questo prezioso contributo offertoci dal Centro Culturale Junghiano Temenos che ben rappresenta il significato psicologico del mito di Narciso.
Dall’introduzione dell’intervista
Oggi si parla molto di narcisismo, ma il più delle volte ci si limita a considerare gli aspetti più direttamente visibili: la grandiosità, l’autoreferenzialità, l’inaccessibilità nella relazione. Ma cosa si nasconde dietro questa apparenza? Qual è il significato profondo sotteso alle dinamiche più evidenti? Il mito di Narciso ci offre una narrazione archetipica che consente di dare senso, individuando il nucleo di sofferenza della personalità narcisistica ed al contempo immaginando possibili soluzioni terapeutiche.
Narciso, chinandosi su una fonte di acqua limpida, vede riflessa la propria immagine e se ne innamora perdutamente: suscitando e subendo la fiamma della passione, si strugge per un amore impossibile da vivere.
Forse proprio in questo rispecchiamento, in questo bisogno di riconoscimento di se stessi e del proprio nucleo individuativo (bisogno che ci accomuna tutti), può essere rintracciato il senso profondo delle vicende di Narciso e del narcisismo.
In questo articolo
Significato psicologico del mito di Narciso
Seguono alcuni appunti del dialogo tra Carla Stroppa, psicoanalista junghiana, e Andrea Graglia, psicoanalista junghiano.
La grande narrazione (il mito) è stata veicolata e tradotta dalla psicologia del profondo. Il mito di Narciso ci porta il tema spinoso della mancanza di autostima. Il pensiero psicoanalitico ha affrontato quelli che vengono detti i marker, aspetti spiacevoli della sindrome narcisistica, come l’incapacità di rapportarsi all’altro oppure l’autoreferenzialità.
Narciso è un po’ un funambolo dell’autostima, rappresenta colui che si mantiene su una corda difficile, tesa sulla necessità di avere un rispecchiamento identitario personale.
Nell’esperienza clinica si parla di una ferita radicale della propria identità, una impossibilità di dare la risposta a quella domanda straziante che ci riguarda tutti:
Chi sono io e cosa ci faccio qui?
Sotto quelle che sono le degenerazioni patologiche del narcisismo, si trova sempre una struggente e straziante ricerca di identità.
Ricerca condotta in grande solitudine, anche l’immagine di Narciso che si rispecchia nella fonte dà subito l’idea di una grande solitudine. Questo distacco dagli altri, dal mondo, si manifesta come incapacità di amare.
Anche il mito di Eco può rappresentare un aspetto scisso dell’io sognante. Il grande discorso del rispecchiamento mancato del femminile nella nostra società contemporanea che non si può eludere, per la donna è più difficile trovare autostima in un mondo che rispecchia soprattutto delle qualità maschili.
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Giocare è una delle attività che appartengono al genere umano a qualsiasi età, è una forma di comunicazione, è uno stare nella relazione, con noi stessi oppure in due, in
C’è un bisogno primordiale di non soccombere nel nulla, un bisogno che poi degenera, diventando una richiesta di rispecchiamento infinita che mette anche a dura prova il narcisismo dell’analista.
Una straziante mancanza di identità
Una straziante mancanza di identità, quella che costringe il soggetto narcisista a cercare sempre l’autoreferenzialità nella fonte che è una fonte originaria.
Il soggetto si istituisce come tale, solo se viene rispecchiato nello sguardo di un altro, il soggetto si istituisce come tale solo se è guardato dallo sguardo di un altro.
L’Io viene alla luce così: letteralmente fotografato
Fa subito pensare a come l’ambiente possa essere mancante di questa capacità di rispecchiamento. Vedere il soggetto per quello che è nella sua identità profonda. Vederlo nell’archetipo di fondo che sostiene il suo essere.
Ciascuno di noi ha degli archetipi più costellati di altri. Il fatto di poter essere visti, percepiti in questa dimensione, con uno sguardo archetipico, può determinare lo sviluppo armonico dell’identità.
Non essere percepiti può creare quel deragliamento dell’io dal senso dell’Io, dal profondo, che può dar luogo a patologie, è importante recuperare l’attenzione su quanto l’ambiente possa rispecchiare, perché qui parlando di Narciso, ovviamente parliamo di specchio di rispecchiamento.
Vedere riconosciuto il centro vitale della propria individualità e della propria personalità è un’esperienza fondamentale.
La fonte originaria, le origini della narrazione
Oltre l’elenco dei marker narcisisti si vede il dolore, la sofferenza, le immagini che compaiono in questa narrazione sono lo specchio, la soglia fra il mondo esterno e il mondo interno, la bellezza, la solitudine.
Kalsched si è occupato molto dei traumi, ha annoverato negli effetti del trauma anche quello del non essere stati rispecchiati che provoca poi anche la sindrome narcisistica.
Per Kalsched se non c’è stato questo rispecchiamento è l’anima che non si incarna, se l’anima non si incarna anche l’io rimane dis-incarnato.
Un blocco affettivo che diventa anche blocco cognitivo, non a caso Narciso richiama il significato narcotico, sonnolento, inebetito. A partire sempre da questa mancanza di rispecchiamento originario.
Tra i primitivi l’ombra, l’immagine riflessa, è proprio considerata come l’anima, quella dimensione transpersonale.
Aiutare una persona che non è stata vista, rispecchiata, deve essere veicolato da un rapporto affettivo, la mancanza di rispecchiamento e di amore si guarisce solo con un rinnovato sguardo d’amore.
Per Widmann: il narcisismo può essere l’antitesi e nello stesso tempo la premessa del processo di individuazione, la possibilità di riprendere il discorso proprio laddove si è interrotto: chi sono io e cosa ci faccio qua?
Il mito ci parla di una trasfigurazione, nasce il fiore, nasce un simbolo
La ricerca in solitudine, l’individuazione, rinasce un simbolo, la visione simbolica che ha a che fare con l’individuazione.
Il fiore è un qualcosa che si rinnova ad ogni primavera, ci parla della circolarità, del tempo, ci parla di bellezza e stupore, di narcosi, di tutto questo.
Il mito non finisce con la morte, ma con una morte che si trasfigura in qualcosa d’altro. Alla morte dell’io, troppo centrato sulla dimensione personale, subentra un occhio aperto alla dimensione poetica, sacrale, simbolica della vita.
Nel fiore qualcosa viene ritrovato, tratto fuori dall’acqua, trasfigurato riconosciuto, un ricordo essenziale riaffiora, diviene immagine, bellezza, emozione, invenzione, libertà di pensiero, poesia, anima.
La prima costruzione, quella originaria ed essenziale del mondo, che si riaffaccia è il primo solitario e segreto monologo che riprende forma e vita nell’immagine di Narciso.
Sant’Agostino diceva: «Ti ho amato bellezza, tanto antica e tanto nuova. Alla fine ho scoperto che eri dentro di me e non fuori».
Il video dell’intervista per scoprire insieme il significato psicologico del mito di Narciso
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo