I pensieri, dunque, precedono il «pensare» e aspettano un pensatore che sia in grado di «pensarli» utilizzando un adeguato apparato per pensare.
In queste poche parole dell’articolo “Pensare in gruppo, pensare con l’altro”, di Cosimo Maria Gentile e Maria Antonietta Diana disponibile in questo volume, è sintetizzato magistralmente sia il disagio che la cura dei pensieri disturbanti tra cui si annoverano anche i pensieri ossessivi.
In questo articolo
Il pensiero disturbante
Il pensiero ossessivo rientra in quello che la nosologia definisce un DOC un Disturbo Ossessivo Compulsivo, diverso dal DOCP ovvero dal Disturbo Ossessivo di Personalità.
Nel caso del DOC si tratta di un disturbo egodistonico, ovvero che va in conflitto con l’io, mentre nel caso del DOCP si parla di disturbo egosintonico che quindi è in sintonia con l’io, non è un qualcosa di cui la persona vorrebbe liberarsi, ma risulta integrato alla personalità (patologica).
Chiariamo questo aspetto con un esempio
Passeggiando Antonio, appena vede un albero, compie un giro intorno all’albero per poi proseguire. Ogni volta che incontra un albero sente l’esigenza di ripetere questo gesto. Quando questo comportamento disturba lo stesso Antonio, siamo in presenza di un DOP.
Se Bruno, padre di famiglia, impone al figlio che ogni sera debba fargli un report alla tal ora di cosa ha fatto durante la giornata, invece siamo in presenza di un DOCP.
Nel primo caso Antonio vorrebbe liberarsi del pensiero ossessivo, che lo costringe a compiere il rituale.
Nel secondo caso Bruno è assolutamente in “pace” con se stesso, non rendendosi conto di quanto in realtà sia lesivo nei confronti del figlio.
La natura del pensiero disturbante
Come un pensiero possa divenire disturbante lo abbiamo chiarito con l’esempio di cui sopra, ripetiamolo nuovamente: il pensiero disturba perchè la persona lo percepisce come un’invasione nel campo della coscienza, un’invasione che ha la forza di costringere il soggetto a seguire il pensiero, come un cane con il suo padrone.
Cane e padrone sono due soggetti di una relazione, l’essere umano, per sua natura, è nella relazione con l’altro prima ancora di nascere, già all’interno del grembo materno.
La relazione madre-bambino è una relazione fondamentale al corretto funzionamento fisiologico, emotivo e cognitivo della persona.
Aver fatto esperienza di quanto la psicologia dello sviluppo definisce un “attaccamento sicuro” è una base solida che consente al bambino, futuro adulto, di poter contenere le angosce della vita che va sperimentando. Nel caso dell’attaccamento sicuro quindi, la madre ha svolto opportunamente la funzione di “contenitore di angosce” e ha consentito al bambino di sviluppare, a livello intrapsichico e per rispecchiamento, un corretto apparato per pensare i pensieri.
L’apparato per pensare
Nel suo articolo Diana fa riferimento al modello metaforico, utilizzato da Bion per esplicitare la costruzione dell’apparato per pensare i pensieri, nella relazione intersoggettiva e dinamica fra madre e bambino:
Il bambino proietta le sue proto-emozioni grezze nel suo contenitore materno che, in uno stato meditativo di rêverie (fantasticare sullo stato interno del figlio), assorbe, vaglia, disintossica, trasduce gli elementi beta dall’infinito alla finitezza, riflette su queste comunicazioni emotive proiettate e consente loro di entrare in risonanza con le proprie emozioni originali. […] Da questa incubazione e scambio in risonanza affiora spontaneamente un fatto prescelto che conferisce coerenza alla comunicazione nel suo insieme. Nel frattempo gli elementi beta originali (proto-emozioni) del bambino si sono trasformati in elementi alfa, adatti alla mentalizzazione. La madre allora risponde in modo idoneo al bambino o lo informa (interpretazione) rispetto a ciò che egli prova (Grotstein 2007).
Senza questo apparato il bambino (prima), l’adolescente (dopo), l’adulto (poi), potrà fare esperienza della vita come una fonte di continue angosce e anche reagire sviluppando patologie come quella del disturbo narcisistico di personalità.
Infatti tale patologia può avere come comorbilità (la presenza contemporanea nello stesso soggetto di due o più malattie) anche quella del disturbo ossessivo-compulsivo.
Quando non si è capaci di pensare
La persona può chiudersi in sé nei confronti della vita, ridurre al minimo l’interazione con l’altro, la socialità (narcisismo dalla scorza morbida), oppure mostrare arroganza, considerare la vita scontata, in qualche modo già conosciuta e quindi inutile da sperimentare (narcisismo dalla scorza dura).
Senza un corretto apparato psichico che consenta di pensare i pensieri e, in senso lato, di pensare la vita, il pensiero non evolve.
Il pensiero rimane concreto e non evolve verso quella modalità alta del pensiero: l’astratto e/o il simbolico.
Ti sarà sicuramente capitato di poter sentire persone che dicono “quello che penso, io lo dico”, e dichiarazioni simili. Sono modalità di porsi all’altro che denotano una scarsa capacità riflessiva. Al pensare infatti manca la capacità di rappresentare e rappresentarsi. In questo modo la persona non accede né alla vita esteriore, né alla vita interiore. Si è completamente incapaci di riflettere, di rappresentare, di toccare i propri stati interiori, quindi i significati che derivano da tali stati o esperienze.
Toccarli significherebbe anche viverli e doversi confrontare con il dolore e con l’angoscia; ecco che per difesa il pensiero rimane assolutamente concreto.
Vale la pena ricordare anche come il disturbo anoressico-bulimico sia caratterizzato dalla presenza di un pensiero concreto.
Disturbi del comportamento alimentare: la funzione simbolica come via per la cura
Giocare è una delle attività che appartengono al genere umano a qualsiasi età, è una forma di comunicazione, è uno stare nella relazione, con noi stessi oppure in due, in
Come imparare a pensare i pensieri che disturbano
Per imparare a pensare, a non aver paura dei propri pensieri, per non temere la vita, ma anzi imparare dalla vita a fare esperienza e crescere come persona, occorre avviare un processo di crescita interiore. Occorre incontrare l’Altro psichico, con il quale entrare in relazione e recuperare quella funzione madre-bambino, così fondamentale allo sviluppo di un corretto apparato predisposto a pensare i pensieri.
Chi è l’Altro?
L’Altro è un “tu” che nella psicoterapia dinamica, o psicoanalisi, viene vissuto tramite il transfert tra terapeuta e paziente, l’Altro è il “tu più autentico” che ogni essere umano proietta esternamente, nei primi anni di vita sul care giver e poi più avanti verso gli altri significativi (mentori, maestri, etc…).
Nella relazione terapeutica, dopo aver instaurato un setting adeguato, accompagnati dal terapeuta torniamo nuovamente a contattare quelle angosce ataviche che innescano i meccanismi difensivi con i quali ci siamo adattati al mondo, ma che possono anche, come abbiamo visto, ingabbiarci in una “vita a metà” o “non vita”.
L’Altro nel gruppo
Possiamo fare esperienza dell’Altro anche attraverso la psicoterapia di gruppo, il gruppo può rivelarsi un ottimo contenitore per imparare a pensare.
L’aspetto fondamentale è la relazione, è nella relazione che l’Io si costituisce, e sempre nella relazione si costituisce patologia e cura.
Grazie alla cura possiamo tornare a dare senso alla vita, ai significati che ci attendono per imparare a strutturare forme di conoscenza più profonda.
Come ci ricorda Enrique Pichon-Rivière, la conoscenza nasce da tre fondamentali fattori quali:
- l’esperienza
- la riflessione
- la trasformazione
Senza questi passaggi, consequenziali e circolari, la psiche umana difficilmente potrà evolvere. Ogni esperienza è fonte di conoscenza, ma deve poter essere pensata (riflettuta), altrimenti non fornirà alcuna trasformazione (crescita). Da una sana trasformazione ne consegue un altrettanto sano adattamento alla vita.
La meditazione per calmare la mente e i pensieri che disturbano
Quando la mente si affolla di pensieri, la meditazione può essere un ottimo strumento per disintossicarla. Bastano pochi minuti al giorno: la ripetizione degli esercizi di focalizzazione rende la mente più stabile e quieta. Lo stato di allerta tende a scemare, il metabolismo mentale ritorna in condizioni fisiologiche. Anche i pensieri disturbanti, che si attivano come difese, hanno meno ragione di esistere.
L’importanza del silenzio per spegnere i pensieri disturbanti
In questo video Lama Paljin Tulku Rinpoche illustra come il silenzio possa essere la medicina della mente, contro i pensieri disturbanti.
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo