La scelta anoressica
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Da “L’uomo senza inconscio” di Massimo Recalcati: l’anoressia

Condivido in questo post alcuni frammenti del volume di Massimo Recalcati “L’uomo senza inconscio, figure della nuova clinica psicoanalitica” (Raffaello Cortina Editore)

Il tema affrontato in questi frammenti è quello dell’anoressia trattato nelle pagine da 73 a 138 (capitoli 4, 5, 6 e 7).

La separazione agita in anoressia

Seguendo l’autore, cominciamo con il dire che l’anoressia non è una malattia, ma una scelta del soggetto, esattamente come Freud ci parla di una scelta della nevrosi o della psicosi, l’anoressia è una scelta per il rifiuto.

C’è un esigenza del rifiuto da parte del soggetto in rapporto ad un’altra esigenza: quella della separazione.

La scelta dell’anoressia mira a governare disciplinarmente, attraverso il potere della volontà, il carattere ingovernabile del proprio corpo. (p. 73)

Tale scelta e la sua perseverazione è fonte di entusiasmo e godimento (una vertigine della dominazione, Kestemberg), se il soggetto nevrotico è perturbato dall’Altro che lo rende “non padrone in casa propria”, l’anoressia si colloca esattamente all’opposto verso una dominazione totale dell’Altro che tende ad annullare la divisione soggettiva (castrazione). Ecco che l’anoressia si colloca come tendenzialmente egosintonica e non egodistonica come le nevrosi.

La follia dell’anoressia è la follia di una volontà che intende costituire un soggetto non intaccato dalla castrazione. (p. 75)

Come abbiamo sopra accennato il tema di fondo è quello della separazione, tale fenomeno implica irrimediabilmente una perdita di un frammento di sé (per Lacan l’alienazione del soggetto nella catena significante), nell’anoressia il fenomeno della perdita viene negato a pro di un rafforzamento identitario dell’Io (un compattamento narcisistico del soggetto); il rifiuto è la prima difesa agita contro la separazione, contro la perdita di un frammento di sé (una separazione dissociata dal lavoro del lutto.

Tuttavia mentre le perdita ha che fare con il lutto, il rifiuto ha che fare con l’odio incarnato dalla modalità primordiale di differenziazione che è lo “sputare” (l’espellere qualcosa di perturbante che identifica l’Altro), tale modalità recuperata dall’anoressia blocca ogni forma di assimilazione, di inghiottimento, di annullamento dei confini: l’Uno nell’Altro.

Così l’anoressica, pur aspirando alla relazione, teme ogni forma di relazione con l’Altro, teme di perdersi nell’Altro, nell’essere inghiottita, divorata, quando invece, un effettivo movimento di separazione comprende il fatto che si possa ricercare nell’Altro ciò che si è perduto di se stessi a causa proprio di questa relazione.

Ci si apre verso l’Altro alla ricerca della propria mancanza, del proprio desiderio, assumendone il debito; l’anoressia cancella a priori l’esistenza di questo debito.

L’anoressia mantiene un rapporto privilegiato con l’adolescenza

È durante l’adolescenza che scatta in modo evidente il meccanismo della separazione alla ricerca di una propria identità.

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L’ipertrofia anoressica della volontà nasconde un aspetto di profonda passività

Abbiamo visto come l’anoressia spinga in modo folle a “sputare via” ogni forma di relazione, dalla relazione con il nutrimento a quella con gli altri e l’Altro, tuttavia a questo aspetto di estrema e ostinata attività se ne contrappone un altro di altrettanta passività.

Il soggetto che decide per l’anoressia è un soggetto situato dall’Altro nella posizione di oggetto, consegnato a una posizione passiva, è un soggetto dipendente dall’Altro. (p. 79)

L’Altro dell’anoressica è un Altro che non considera il soggetto come un soggetto di desiderio, piuttosto come un oggetto che deve essere curato secondo i suoi bisogni primari. Primariamente è proprio l’Altro che non è in grado di distinguere la sua esperienza interna tra bisogno e desiderio.

L’Altro del soggetto anoressico risponde alle cure materiali, ma non a quelle umane del desiderio come desiderio di amore e riconoscimento, come desiderio del desiderio dell’Altro.

“Per mia madre sono solo una bocca aperta da riempire”; per i miei genitori sono solo un “tubo digerente”; “si interessano a me solo se ho mangiato e che cosa ho mangiato!”. Così si lamentano i soggetti anoressici. (p. 80)

Secondo Lacan l’angoscia subentra ogni qualvolta che un soggetto si trova nella posizione di oggetto nelle mani dell’Altro.

A partire da questa angoscia a divenire oggetto, l’anoressia attiva il rifiuto come difesa, come manovra di separazione.

Il rifiuto anoressico

Il bambino tende sempre a corrispondere alla domanda dell’Altro, così pone la sua soddisfazione nel soddisfare tale domanda, da ciò acquista una posizione di passività, questo vale anche per le bambine che saranno future anoressiche.

Nell’adolescenza questa tendenza si oppone drasticamente, il o la giovane si ribellano per esser stati schiacciati dalla domanda di soddisfazione dell’Altro.

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Più in generale, nell’anoressia come manovra di separazione il rifiuto del soddisfacimento del bisogno – mangiare il “niente” – tende a difendere il soggetto nella sua singolarità consentendogli di separarsi dalla domanda asfissiante dell’Altro (“mangia!! “). Solo la separazione dal bisogno può, infatti, fare esistere il soggetto come soggetto del desiderio. (p. 82)

Il corpo dell’anoressica diventa un corpo-muro (muto) che va opponendosi al muro del linguaggio, al contrario nell’isteria il corpo diventa corpo-teatro (parlante), ma nell’anoressia il corpo viene rifiutato perché Altro che si oppone alla volontà di dominio della coscienza, soprattutto in quanto corpo sessuale, ovvero diviso dopo la castrazione simbolica in maschile o femminile.

L’anoressia non tollera la divisione, vuol preservare l’Uno, indivisibile, indistruttibile, pietrificato. La castrazione simbolica al momento della pubertà implica il lutto del corpo infantile che l’anoressia tenta di preservare per non divenire corpo del godimento dell’Altro sessuale.

L’anoressica lotta strenuamente nel non divenire oggetto dell’Altro in quanto teme per la sua soggettività già schiacciata nell’infanzia. Quando era divenuta oggetto del godimento dell’Altro e ridotta a oggetto. Così durante l’adolescenza gli oggetti pulsionali interni (seno, feci, voce, sguardo) diventano angoscianti, nella clinica dell’obesità invece è il rovescio tali oggetti diventano indispensabili a mantenere attiva la domanda dell’Altro e quindi a rimanerne dipendente, diventando oggetti da accumulare.

Il rifiuto anoressico è una domanda che il soggetto fa all’Altro chiedendo non qualcosa che l’Altro ha (il cibo), ma qualcosa che l’Altro non ha (l’amore, il desiderio), solo con il segno dell’amore dell’Altro il soggetto può percepirsi tale e non oggetto della domanda dell’Altro (mangia, prendi il mio latte così che io esito grazie a te in quanto oggetto); la mancanza dell’Altro, ciò che l’Altro non ha, viene trasformata in un dono d’amore.

La negazione anoressica nega l’oggetto del bisogno per far sorgere il soggetto del desiderio. (p. 84)

La bulimia funziona all’inverso, l’oggetto (cibo) viene consumato compulsivamente per riempire la domanda d’amore, così mentre bulimia o l’obesità compensano con il cibo una domanda impossibile da compensare, l’anoressia rifiuta ogni forma di compensazione esigendo il segno d’amore a costo di rinunciare a soddisfare il bisogno biologico dell’oggetto.

Ciò che conta è la negazione dell’oggetto, è la separazione assoluta dalla domanda, è l’affermazione del soggetto come indiviso, è l’annullamento dell’alienazione significante e del debito simbolico. (p. 85)

Rifiutando il cibo l’anoressia provoca angoscia nell’Altro, diventando così un fondamentalismo, l’anoressica esercita un potere sull’Altro, un dominio, un controllo, l’Altro diviene oggetto, ostaggio. Per questo Charles Laségue includeva tra i sintomi anoressici anche la “disperazione dei genitori”.

La volontà di volontà è sempre una volontà di morte. E questo mi sembra essere uno degli insegnamenti più fondamentali dell’anoressia: una separazione senza lutto, senza debito, senza alienazione, può produrre solo catastrofe. Una identità senza divisione può generare solo follia. Una libertà che nega l’esistenza dell’Altro può provocare solo distruzione. Un governo di sé che vuole eliminare il desiderio può provocare solo la morte. (p. 89)

Nella società dei legami “liquidi”, la soggettività si fa “dura”

La soggettività compatta, dura, pietrificata dell’anoressia, si configura oggi in netta opposizione alla liquidità dei legami, dei confini, dell’identità, una riposta “religiosa” al panico epidemico della società ipermoderna.

Il corpo magro diventa un culto, un idolo, si parla di “igienismo”, di una cura maniacale del corpo così esaltato da divenire corpo morto, un eccesso di così tanta igiene da avvicinarsi alla morte.

Secondo Recalcati nell’anoressia non si può parlare di fuga mistica, piuttosto di fuga autistica in una ripiegamento narcisistico su di sé.

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L’icona del corpo magro si pone in se stessa come un assoluto in una totale evidenza che esclude l’incontro con l’alterità dell’Altro. Piuttosto, l’anoressica ricerca allo specchio lo Stesso; la propria identità ingessata nel sembiante sociale del corpo magro. (p. 93)

 

Lo staccarsi dagli interessi sensibili non avviene – come invece accade nell’ascesi mistica – nel nome di una disidentificazione dall’Io e dai suoi prestigi immaginari, ma nel nome di un suo rafforzamento estremo. Il Nirvana anoressico è godimento del dominio sulle passioni, è godimento della privazione, godimento dell’annullamento di ogni godimento. Ma esasperando la passione di non avere più passioni l’anoressia finisce per diventare prigioniera della sua stessa volontà di dominio. E ciò che nota Freud quando mostra come la pulsione di controllo conduca a una vertigine, a una esperienza di spossessamento, di smarrimento: nell’apice del governo di sé, il soggetto si sente come trascinato via, perduto, rapito. L’idolo della sua ipnosi lo cattura e lo sequestra; il soggetto appare come ridotto a oggetto ipnotizzato dal suo stesso ideale. (p. 94)

Non dimentichiamoci che l’anoressia si innesca come un fanatismo del soggetto che non vuol divenire in nessuna situazione oggetto dell’Altro, che non accetta la castrazione, la perdita, che vuol conservare ostinatamente il suo essere soggetto, e in tutta questa follia diventa un corpo anoressico, universale, come solo gli scheletri sono, tutti uguali.

In questo senso l’anoressia è una patologia dell’immagine del corpo che mostra il punto dove l’immagine si scuce dal corpo divenendo essa stessa la manifestazione del reale osceno, del brutto dell’esistenza, dell’oggetto (a) secondo Lacan. Non è più il soggetto che viene riunito dalla buona forma dell’immagine, ma è l’immagine che, divenendo persecutoria nel suo carattere superegoico, guarda il soggetto riducendolo a oggetto, assediandolo, imponendosi come sguardo assillante, come una concrezione dell’oggetto piccolo (a), dunque frammentando, sfibrando, devastando e non unificando il soggetto. (p. 99)

Due corpi

A partire da Freud e a partire dallo studio dell’isteria l’essere umano è costituito da un corpo-cosa che risponde alle leggi universali dell’organismo macchinico e un corpo-vita che invece risponde allo psichico.

Nello studio dell’isteria Freud vedrà come il corpo-psichico può produrre un eccesso pulsionale di energia libidica (eccesso di piacere) e sfociare nel corpo-cosa bloccandone le normali funzioni di organo-macchina (sintomo isterico, esempio la vista che scompare in assenza di problemi all’apparato oculare).

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A partire da questa esperienza di Freud, Lacan postulerà l’esistenza di due corpi: uno biologico, l’altro incorporeo del linguaggio: un corpo dell’organismo, un corpo del linguaggio.

Il corpo vivente viene cioè modellato dall’azione culturale del significante che lo snatura imponendogli appunto i suoi caratteri più umani (taglio del cordone ombelicale, dei capelli, svezzamento, educazione sfinteriale, cure igieniche ecc.). Più precisamente, la relazione tra questi due corpi è pensata da Lacan come una relazione di incorporazione, il corpo-organismo incorpora il corpo simbolico del linguaggio. Questa incorporazione mette in opera quella alienazione significante alla quale è obbligato l’essere parlante e che ha come uno dei suoi effetti maggiori la produzione del corpo pulsionale: il corpo naturale è obbligato a perdere la sua unità e a lasciare il posto al corpo pulsionale, ovvero a un corpo frammentato, snaturato, costituito come localizzazioni plurime (perverse e polimorfe per Freud) del godimento. (p. 105)

Il linguaggio che agisce su l’essere umano taglia via qualcosa dalla Cosa che siamo quando veniamo al mondo, il buco che si genera viene riempito dal corpo pulsionale a ricordare una perdita di godimento che si iscrive nel corpo (il significante negativizza il corpo pulsionalizzandolo, p. 106); il corpo diventa quindi con Lacan: il luogo dell’Altro.

Lungo le zone erogenee si situa il corpo pulsionale, zone dove l’oggetto è stato perduto. Dal vuoto del buco, si produce un resto che Lacan chiama oggetto (a) che si localizza nel quadrilatero degli oggetti pulsionali (orale, anale, scopico, vocale) che si basa sulla rinuncia al godimento totale e incestuoso della Cosa che eravamo.

Miller distingue due processi: attraverso la “significantizzazione” (il significante che negativizza il corpo) il corpo-organismo viene spinto al desiderio attraverso la perdita di godimento (buco), con la “corporeizzazione” il significante che entra nel corpo lo trasforma in un corpo-desiderante (godimento); con la prima operazione si svuota e con la seconda si riempe dall’azione stessa del significante che lo attraversa rendendolo un corpo che gode.

Freud individua nel corpo pulsionale il soggetto dell’inconscio che anziché rispondere a criteri dell’organismo naturale è interamente organizzato dalla rimozione. La rimozione per l’isteria si manifesta proprio attraverso il corpo, mentre nel disturbo ossessivo compulsivo e proprio la rimozione che alimenta il pensiero coatto, la ruminazione del cogitare; in entrambi i casi il significante si impone su un significato rimosso.

Il corpo isterico è imbevuto di senso e per questa ragione è sensibile alla parola. (p. 110)

Mentre il corpo isterico sfida il sapere universale attraverso metafore corporee indecifrabili, andando quindi a stuzzicare il desiderio dell’Altro, il corpo anoressico si mura in sé stesso andando a escludere proprio l’Altro.

La scelta anoressica può configurarsi anche come una scelta di difesa dall’angoscia esattamente come la tossicodipendenza, il soggetto anoressico diventa indivisibile.

Sul cardine opposto alla scelta anoressica si situa il panico, l’attacco di panico è invece una domanda di ricerca dell’Altro come difesa dall’abbandono. Così nel trasfert della cura analitica il soggetto DAP (Disturbo da Attacco di Panico) trova facilmente sostegno nell’Altro che cerca, mentre per l’anoressia è sentito come minaccia alla propria solidità, che invece il DAP ha perduto.

Pubblicato il
26 Ottobre 2022
Ultima modifica
1 Dicembre 2022 - ora: 21:50

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