La gabbia
della famiglia anoressica
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L’anoressia e il potere inconscio della famiglia

La dismorfofobia nella famiglia anoressica

In tutti i processi di sviluppo umano si possono verificare differenza di velocità nell’evoluzione tra soma e psiche.
Nel timing evolutivo può sorgere una sorta di contraddizione, alle volte anche feroce e dolorosa, quando l’assetto mentale e l’organizzazione psichica, che risponde ancora a un’organizzazione legata alle esigenze della fanciullezza, va in crisi rispetto a un corpo che si vede cambiare verso un’identità di genere matura.

Questo processo può dare origine a dismorfofobie ovvero alla dispercezione del proprio sé corporeo: la mente non è ancora pronta a accogliere il proprio corpo, la mente vede e sente in modo distorta rispetto a un dato di realtà.

Si tratta di aspetti patologici che possono accostarsi anche a temporanee psicosi, un periodo di dolore che provoca appunto uno stato dismorfofobico. Fenomeni di sofferenza così complessi necessitano di un’interpretazione olistica multifattoriale e dinamica tra sfere psicologiche, biologiche e sociali.

L’interpretazione sistemica

La lettura sincronica dell’approccio comunicazionalista

Nella storia dell’approccio sistemico il primo orientamento, la prima traiettoria di indagine, è stata quella di tipo comunicazionalista che affondava le sue radici su un piano comportamentista, il classico paradigma stimolo-risposta (SR).

L’approccio prevedeva una terapia di tipo strategica, direttiva, dove il terapeuta rimaneva esterno al sistema mantenendo  una posizione oggettiva, distaccata e neutrale.

Storicamente ci troviamo negli anni ’50 del novecento, questo metodo contemplava un’osservazione delle relazioni, un’attenzione al funzionamento delle relazioni del paziente nel suo stile dominante.

Era posta particolare attenzione all’espressione fisica della gestualità comunicativa, alla qualità delle comunicazioni (da qui il termine comunicazionalista). I primi sistemici si focalizzavano sul dato comunicazionalista della relazione che poteva assumere un tratto patogenico o normogenico. Il presupposto teorico era che una comunicazione sana produce uno sviluppo sano, una comunicazione non lineare da origine a patologia.

Il terapeuta rimaneva su un piano assolutamente sincronico, circa il funzionamento del sistema psichico dell’individuo, costituito da: osservazione, deduzione di funzionamento e intervento.

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Verso l’integrazione della prospettiva diacronica

Con il procedere degli studi della mente sistemica, si andrà a comprendere l’importanza della dimensione diacronica in un primo momento trascurata. Quindi non più soltanto un’analisi del qui e ora, ma un processo che guarda anche al passato, nella storia del paziente, alla ricerca di elementi nucleari di certi comportamenti.

Per Salvador Minuchin, pediatra, psichiatra e psicoterapeuta: «un sistema famigliare con membro anoressico (paziente designato – PD) è un anello del sistema che ha la facoltà di assumere su di sé l’espressione sintomatica. Il paziente si fa carico di essere linguaggio e espressione di tutto il sistema famigliare che risponde a caratteristiche strutturali tipiche della famiglia psicosomatica.

Si noti come la sintomatologia comincia a non essere più cercata solo all’interno dell’individuo (Freud), ma si inizia a indagare in un’organizzazione più estessa al quale appartiene il paziente: la famiglia.

Il sistema della famiglia anoressica

La famiglia di tipo psicosomatico risponde a 4 aspetti principali:

  • Invischiamento: i membri nella famiglia sono come sovrapposti, nessuno è abbastanza libero da avere un suo spazio autonomo, la sovrapposizione determina una confusione dei confini detti “diffusi”. Le identità non sono separate, i ruoli non sono ben distinti. Padre, madre, sorella, fratelli, tutti si occupano ognuno dell’altro. Confusione emotiva e psicologia che va a toccare il processo di sviluppo e di individuazione del sé
  • Iperprotettiva: l’invischiamento provoca una funzione di protezione dell’altro, ognuno è protetto e nessuno è libero
  • Rigidità: si tratta di sistemi che replicano in modo stereotipato nel tempo un sistema di risposte identiche. Il sistema non cambia autonomamente, i sistemi organizzati in questo modo presentano struttura che sempre si ripresenta nel tempo
  • Mancanza di risoluzione dei conflitti: gli esseri invischiati, confusi, iperprotettivi, rigidi, determinano un’impossibilità di risoluzione del conflitto che resta criptato e nascosto per un sistema che risulta confuso

In un sistema famigliare con queste caratteristiche la sintomatologia anoressica è tale da assolvere la funzione di distrattore.

L’anoressia di uno dei membri della famiglia diventa un elemento capace di catalizzare su di sé l’attenzione esterna, distogliendo l’attenzione da altri parti del sistema come ad esempio la coppia genitoriale.

Il sintomo letto in un ottica sistemica porta su di sé la forza del dolore e l’attrazione dell’attenzione che è necessaria a svolgere funzioni, seppur dolorose, che probabilmente si presentano come l’unica possibilità di vivere del soggetto anoressico.

I genitori tendono a presentare la vita della famiglia come più armoniosa di quanto non sia in verità, oppure negano addirittura l’esistenza di qualsiasi difficoltà.

Hilde Bruch

Maria Selvini Palazzoli, psichiatra e accademica italiana, appartenente alla traduzione sistemico-relazionale, è nota per aver esportato in tutto il mondo il modello sistemico nell’interpretazione delle anoressie.
L’autrice sottolinea che nella famiglia anoressica si attuano delle dinamiche di attenzione sul paziente designato (PD) per proteggere parti intoccabili del sistema. La Selvini teorizza 6 stadi di gioco psicotico nella famiglia anoressica.

I sei stadi del gioco psicotico nella famiglia anoressica

  1. Lo stallo nella coppia coniugale
  2. Invischiamento del figlio nel gioco della coppia
  3. Comportamento inusitato del figlio
  4. Voltafaccia del genitore presunto alleato
  5. Esplosione della psicosi
  6. Strategie basate sul sintomo

L’epicentro da cui si origina la famiglia anoressica risiede nella condizione di stallo della coppia coniugale, marito e moglie tendono a identificarsi esclusivamente in padre e madre per evitare di doversi confrontare con la reciproca insoddisfazione della coppia.

I coniugi nella famiglia anoressica si identificano in una forma di cura genitoriale ipercontrollante che ha bisogno che il figlio resti bambino per continuare a esistere.

In questo modello ci troviamo ancora all’interno di un contesto comunicazionalista, caratterizzato da descrizioni di tipo lineare. La famiglia è caratterizzata da un’austerità che ricorda il tipo di famiglia agricolo-patriarcale, in primo piano il sacrificio di sé, legato a senso di colpa, per il bene di tutto il sistema famiglia.
Un retaggio antico, sacrificarsi significava essere per la famiglia, erano braccia per la terra, qualcosa che oggi non esiste più, ma che rimane ancora presente nel mito famigliare.
Un altro valore primario era quello di considerare la famiglia come istituzione, la famiglia è vista e sentita come sacra, l’unità va mantenuta a tutti i costi.

L’aspetto diacronico del mito famigliare

Quando si comincia a considerare il passato, facendo anche utilizzo degli alberi genealogici, andiamo ad adottare un punto di vista diacronico di tipo longitudinale. Il sintomo, in questo caso l’anoressia, assume una veste storica. All’interno di questo quadro di analisi è possibile parlare di mitogenesi e di mandati plurigenerazionali, entriamo quindi in una dimensione di lettura diacronica dei fenomeni.

L’aspetto transgenerazionale, come semantica nascosta nata nel passato, è visto come una trama originaria, trasferito attraverso i pattern genitoriali.

Generalmente l’anoressia è un mandato transgenerazionale di tipo matrilineare che passa nell’identità condizionando l’individuo.

Il mandato per sua natura è acritico, non si mette in discussione e si impone in modo anacronistico, incurante del contesto contemporaneo, agisce autonomamente rispetto al tempo presente.

Una mente antica su un corpo nuovo

Come abbiamo anticipato, nel caso della famiglia anoressica, la famiglia viene prima dei suoi membri, l’unità della famiglia è ciò che deve essere salvato a tutti i costi. In passato la famiglia era fonte di sicurezza, unità significava sopravvivenza.

Il sacrificio per la famiglia si traduce in un annullamento di sé, della propria femminilità, della propria sessualità, della propria autonomia, questo perché il divenire moglie o madre svincolerebbe la donna dalla famiglia. L’emancipazione è impedita da una forza invisibile costituita entro o sotto conflittualità irrisolte.

Tale acriticità è pagata con il prezzo di una coartazione di voce e sentimenti coscienti, tutto è trasferito sulla paziente designata (PD). Il sistema è in questo caso di tipo alessitimico (analfabetismo emotivo) e disfunzionale, il mito del sacrificio è la rinuncia di poter costruire una propria famiglia. Rinuncia così forte che può arrivare fino alla rinuncia della vista stesa, quindi anche alla morte, come sappiamo, per anoressia.

Una duplice pressione agisce sulla paziente anoressica: il rivendicare la propria autonomia, quindi emanciparsi, e la paura di svincolarsi dai genitori. La paziente anoressica è una precoce depositaria del mito famigliare, che assume la forma di un imprinting.

Il mito della famiglia anoressica è acritico, stereotipato, inconscio, ma quando emerge una famiglia dovrebbe avere gli strumenti per riflettere e portarlo a consapevolezza. Purtroppo queste capacità non sono possedute dalla famiglia a struttura neurotica o psicotica, che preferisce mantenere l’invischiamento e altri fattori per ostacolare la messa in luce del mito.

Mandati plurigenerazionali e mitogenesi nel trattamento delle anoressie

La mente sistemica

Nella concezione della mente sistemica, si assume che ogni sistema umano sia composto da elementi interagenti, interdipendenti, con una propria storia e organizzazione, un servo-meccanismo in grado di auto-governarsi.

Possiamo parlare di “mente sistemica” come unità sovraindividuale che si può esprimere attraverso gli stili di relazione e della comunicazione.

Una porzione di questa mente si ipotizza occupata da un’area mitica, ovvero da una dimensione autonoma, acritica e atemporale. Il mito rappresenta, nell’epistemologia sistemica, il concetto forse più vicino all’idea di inconscio della psicologia dinamica.

Ogni processo di vita si traduce in uno scambio di  energia e informazioni, tra esseri umani il processo di vita si regge su componenti cognitive, emozionali, relazioni e comportamentali. Queste componenti devono rispondere a un processo di integrazione con la realtà, nel mentre subiscono azioni consce e inconsce.

Alla nascita il neonato si trova già all’interno di una trama scritta, la sua inclusione, la sua accettazione, integrazione, all’interno della tessitura transgenerazionale non è scontata. Ci sono aspetti mitici che sono palesi, altri rimangono nell’oscurità. Nel presente vive il passato, trasferito da modelli famigliari e interazioni precoci per natura implicita e acritica.

Accesso al mito transgenerazionale nella famiglia anoressica

Il sintomo deve essere quindi inteso come un possibile distrattore che protegge il mito transgenerazionale.

La dimensione mentale diacronica della famiglia anoressica permea il mondo e include altri membri della famiglia anche appartenenti ad altre generazioni.

Lettura consigliata

Per accedere al mito di famiglia occorre creare un giusto setting di fiducia tra terapeuta e paziente, avulso da giudizio e critiche verso il paziente, e la sua famiglia, proprio il paziente è anzi tutto un designato, inconscio, protettore della famiglia.

Un buon intervento porta in luce i significati della struttura sommersa che si presenta con il sintomo.

A livello generale il terapeuta si muove all’interno di un campo d’azione delimitato da:

  • terrore del cambiamento
  • la famiglia è vista come unità di sicurezza e sopravvivenza
  • il sacrificio di sé per salvare l’unità famigliare

Il sentimento di lealtà, l’orgoglio di appartenenza, i sensi di colpa e di esclusione che accompagnano comportamenti e scelte, costituiscono il substrato emozionale su cui poggia la trasmissione dei modelli di relazione, degli stili di funzionamento e dei miti famigliari, che transitano da una famiglia all’altra.

Il linguaggio simbolico del mito esprime la disfunzione e la dinamica criptata del trama famigliare. Il mito non va ostracizzato, deve essere fatto emergere al fine di rivelarne le trame nascoste che lo tengono in vita, annullandone la distruttività di cui è carico, portando il paziente a superare la condizione del proprio sacrificio.

Ringrazio Antonio Puleggio, psicologo psicologo, psicoterapeuta, dirigente sanitario ASL6 di Livorno, per queste preziose informazioni trasmesse durante il Master DCA del giorno 20 marzo 2021.

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Pubblicato il
24 Marzo 2021
Ultima modifica
23 Dicembre 2021 - ora: 18:12

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