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La natura interdisciplinare della neuropsicologia
La neuropsicologia nasce come ambito di ricerca costitutivamente interdisciplinare proprio dal convergere dei risultati e delle acquisizioni di ambiti teorici, approcci e metodologie anche molto differenti, ma tutte convergenti nello studio della mente, del comportamento e delle basi biologiche, nel caso specifico delle basi cerebrali nelle nostre capacità cognitive e comportamentali. Naturalmente una fonte primaria è la neurologia, lo studio del sistema nervoso e dei modi in cui esso si inceppa.
Neurologia che si abbina allo studio del sistema nervoso sia sul piano funzionale e quindi la neurofisiologia, sia sul piano anatomico la neuroanatomia, proprio per vedere le strutture del nostro organo cerebrale e soprattutto i percorsi funzionali che in esso si attivano quando svolgiamo delle funzioni cognitive o in generale quando mettiamo in atto dei comportamenti.
L’altro fronte, la seconda fonte, è sul piano della psicologia cognitiva, ovvero sulle conoscenze attuali e i modelli oggi in vigore relativi a come funzionano le nostre funzioni cognitive, quali ne sono i meccanismi di base e come si dispieghino nella vita effettiva della persona nella sua completa interazione con l’ambiente. Quindi, sul versante teorico abbiamo in primo luogo naturalmente la psicologia cognitiva.
Abbiamo anche l’intelligenza artificiale, l’idea che la mente possa essere simile ad un computer sul piano delle metafore euristiche e come in un computer esistono specifici componenti funzionali, così nel nostro cervello si possono individuare dei moduli funzionali ovvero luoghi dotati di una funzione specifica più o meno collegati fra di loro.
È comunque importante considerare anche altri ambiti di ricerca:
- in primo luogo, la filosofia della mente evidentemente con i suoi diversi modelli prodotti nel corso del tempo,
- la linguistica intesa come neurolinguistica, cioè basi nervose del linguaggio verbale che è fra le funzioni cognitive quella che tradizionalmente ci caratterizza nel confronto con le altre specie animali
Questa è l’articolazione della neuropsicologia, necessariamente ricca considerata la natura dell’oggetto di studio ovvero il fondamento biologico delle nostre capacità cognitive nel loro svolgersi ma anche, nella prima fase soprattutto nel loro incepparsi, nell’incontrare ostacoli allo svolgimento di comportamenti adattativi nella nostra interazione quotidiana con l’ambiente.
La nascita storica di questa disciplina
Una disciplina che si articola nella metà dell’Ottocento e che assume una fisionomia così ricca, soltanto dopo la sua metà, ed è recente rispetto al fatto che comunque la scienza moderna è nata nel ‘600, pur avendo una breve storia, ha un lungo passato perché sono argomenti che la riflessione in primo luogo filosofica ha svolto nei secoli da tantissimo tempo, probabilmente dall’inizio della riflessione filosofica occidentale.
La svolta scientifica avviene solo nel secondo ottocento, e molto dopo la nascita della scienza moderna proprio per la complessità dell’argomento: la mente, studiare la mente vuol dire intersecare l’identità individuale, la concezione che l’uomo ha di se stesso, del rapporto con gli altri animali, della sua posizione nella società, come è possibile immaginare nei secoli precedenti questo ha comportato anche momenti di aspro conflitto con per esempio concezioni ideologiche molto forti o metafisiche, o religiose.
Obiettivo, procedura e fonti
L’obiettivo è quello di comprendere quali siano le basi neurobiologiche dei processi cognitive, ovvero le basi cerebrali delle funzioni mentali.
Come comprendere le basi neurali dei processi cognitivi?
Naturalmente esplorando le relazioni fra specifiche funzioni cognitive e il funzionamento di strutture nervose che abbiamo scoperto essere altrettanto specifiche all’interno del cervello, vere e proprie, in alcuni casi moduli, nella maggioranza dei casi, considerato che stiamo trattando funzioni cognitive superiori si tratterà come vedremo di sistemi funzionali, cioè di circuiti che mettono insieme più moduli, quindi si esplorano i rapporti fra le funzioni mentali e le strutture nervose.
Con quale procedura?
L’inizio della disciplina, nel secondo ottocento è strettamente legato alla patologia, ovvero la procedura che ha dato l’avvio a questo nuovo ambito di ricerca e lo ha reso autonomo sul piano scientifico a partire dagli anni ’60 dell’800 è quella di combinare lo studio di aspetti specifici del comportamento, o funzioni cognitive specifiche che si dimostrano lese, deteriorate o in alcuni casi completamente disattivate e distrutte, in relazione a molte patologie.
Combinare aspetti lesi, modificati o drasticamente deteriorati, con i dati forniti dall’anatomia e dalla fisiologia del sistema nervoso.
Nel secondo ottocento questo comportava un forte radicamento della ricerca nel metodo anatomo-clinico:
- cioè si osservavano i disturbi cognitivi e comportamentali durante la vita di una persona
- si raccoglievano i sintomi nella maniera più dettagliata possibile e poi post-mortem, nel momento in cui si andava a vedere concretamente in che condizioni si trovasse il cervello di questa persona
- si ipotizzava il collegamento fra luoghi deteriorati specifici e altrettanto specifici e selettivi deficit cognitivi.
Dati anatomici e fisiologici sul sistema nervoso raccolti in sede di patologia e di anatomo-patologia.
Questo è stato il primo start della metodologia neuro psicologica: attenzione sull’importanza dell’indagine clinica e sulla valenza euristica della patologia. C’è tutta una scuola di pensiero su questo argomento che possiamo far risalire all’inizio dell’800 in Francia, con la scuola francese, per esempio, con Claude Bernard (il padre della fisiologia) e poi percorrendo il secolo lo troviamo in moltissimi altri studiosi e scienziati, l’idea che la patologia possa essere una miniera di dati, in questo senso abbia una valenza euristica, una miniera di dati che possono fungere da elemento trainante, propulsivo per la ricerca che a questo punto non si limiti soltanto a capire la situazione patologica, ma sulla base dello studio della patologia deduca delle informazioni sulla strutturazione e sul funzionamento del sistema “sano”.
Freud, nella metà del secolo, formula una metafora molto interessante che è la metafora del cristallo: così come quando buttiamo a terra un cristallo non si frantuma mai in minuscole parti casuali, ma si spacca lungo le linee interne che ne definiscono la struttura, così la mente quando si rompe, quando si ammala, quando si spacca, lascia vedere l’articolazione interna, cioè le strutture portanti che la reggono in quanto sistema complessivo.
Una metafora molto efficace perché ci dà l’idea di quanto sia utile studiare come le funzioni si inceppano e individuare i luoghi responsabili di questo malfunzionamento, questa disfunzione per poi tirarne fuori dei dati funzionali allo sviluppo di un modello complesso e articolato del sistema sano, cioè di come funzionerebbe il sistema senza la lesione quindi, questa è la valenza dell’indagine clinica.
La dimensione sperimentale
Con lo sviluppo della disciplina si è aggiunta la dimensione sperimentale, inventando una serie di metodologie che hanno consentito, in questo caso a partire dalla metà del ‘900 di sviluppare le indagini psicologiche anche su un piano propriamente sperimentale.
La salute non ci dice nulla e le malattie si pongono molte domande.
Thomas Mann – La montagna incantata
In copertina Foto di Stefano Bucciarelli su Unsplash
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo