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La dialettica tra localizzazione e globalismo
Una localizzazione scientificamente fondata per la prima volta con l’opera di Broca localizza il linguaggio motorio nell’emisfero sinistro fu seguita molto rapidamente da tutta una serie di nuove acquisizioni cliniche sperimentali che alla fine del secolo, nei primissimi anni del novecento, hanno prodotto un modello di localizzazione delle funzioni sulla corteccia cerebrale anche troppo rigido, anche troppo schematico, basti pensare che i localizzazionisti venivano anche definiti diagrammisti proprio perché l’idea era quella di localizzare singole funzioni in aree specifiche del cervello per arrivare appunto ad una mappa.
Parliamo oggi di nuovo globalismo quello collocato tra gli anni ’20 e ’50 del 900, perché dopo il primo grande entusiasmo nei confronti dell’effettiva possibilità di localizzare nel cervello le funzioni cognitive, fu proprio la clinica a chiedere un ripensamento del modello di localizzazione delle funzioni.
La clinica mostra una grandissima varietà di casi singoli e rileva margini alle volte anche ampi di recupero funzionale, se fosse tutto veramente strettamente localizzato, nel momento in cui si disattiva un’area, un componente funzionale del nostro sistema cerebrale, non dovrebbe essere possibile recuperare la funzione.
Invece il recupero funzionale avviene, così come avviene anche la vicarianza che è diversa dal recupero funzionale perché il recupero funzionale vuol dire appunto recuperare in qualche misura la funzione disturbata dalla lesione, la vicarianza è proprio direttamente cercare e trovare il modo di svolgere una certa funzione per tutto un altro percorso.
La clinica spinge per problematizzare l’idea della localizzazione cerebrale che aveva evocato come unico modo possibile di spiegare i disturbi altamente selettivi come quello di Tan, il famoso paziente, studiando il quale Broca ha scoperto che abbiamo nell’emisfero sinistro del cervello, nel lobo frontale, un’area proposta al linguaggio motorio.
Nell’ambito neurologico incontriamo la figura di von Monakow.
Von Monakow sulla diaschisi
In questi anni si avvia un processo di emancipazione della psichiatria dalla neurologia e una svolta verso la psicologia. La clinica è un elemento trainante, è portatrice di dubbi e di dati che per essere compresi richiedono evidentemente un ripensamento delle categorie tradizionali, quindi vedremo anche della localizzazione o meno delle diverse funzioni cerebrali e quindi della localizzazione o meno delle diverse funzioni cognitive.
Si verifica una critica all’approccio neurofisiologico (Freud, la psicologia comportamentista…) alimentato da appunto un fiorire numeroso di casi clinici confusi rispetto alla nitidezza del modello localizzazionista che era stato prodotto alla fine del secolo, soprattutto si verifica una sorta di convergenza fra osservazioni diverse fra approcci teorici e anche metodologie diverse che in qualche maniera convergono nel produrre un nuovo allontanamento dello studio del cervello dallo studio della mente.
Si ricrea di nuovo quel divario tra la mente il cervello che molto faticosamente era stato superato appunto nell’800, si ricrea per esempio nel pensiero di Freud, per esempio con la psicologia della Gestalt, quindi dall’interno di movimenti psicologici che fondamentalmente sottolineano e segnalano con enfasi la grande differenza che tuttavia esiste fra il funzionamento del nostro sistema cognitivo e il funzionamento, ma anche l’anatomia e dunque la fisiologia del nostro organo cerebrale.
Si approda a quella che è stata definita una riscoperta della globalità (interpretazione olistica, gerarchica, evolutiva, e dinamica, del rapporto mente-cervello), si torna a guardare l’organo cerebrale, inteso come organo della mente, in termini globali, cioè olistici.
Torna di nuovo l’idea che la mente sia sostanzialmente qualcosa di unitario, di non scomponibile e di fatto non scomposto né sul piano anatomico, né sul piano funzionale perché appunto custodita da un insieme di processi complessi che prevedono che il cervello nella sua interezza assolva alle funzioni specifiche, a qualsiasi funzione specifica.
Si fa strada l’idea che il rapporto mente-cervello debba essere ripensato nei termini di una più grande differenza e anche di una più grande autonomia del funzionamento del sistema mente e quindi delle funzioni cognitive rispetto al funzionamento del sistema cervello, cioè organo, parte del nostro sistema nervoso.
Anche l’afasia viene interpretata in modo diverso, si mette in discussione che l’afasia di Broca, ovvero motoria, sia effettivamente diversa dall’afasia di Wernicke, l’afasia sensoriale, e si ipotizza che invece si possa pensare all’afasia come, ancora una volta come un disturbo unitario, magari con delle differenze funzionali al suo interno ma sostanzialmente un disturbo unitario.
Gli elementi che alimentano questo processo sono diversi, il pensiero di Von Monakow sulla diaschisi – Von Monakow è un neurologo che mette in rilievo come “le connessioni fra una lesione anatomica focale e i disturbi della funzione residua siano simili a quella di una scatola armonica dal cui cilindro è stata tolta una serie circoscritta e raggruppata di perni, quindi, un difetto locale così da rovinare la melodia”, e von Monakow prosegue: “persino per una persona esperta sarà estremamente difficile correlare i toni mancanti al numero e alla posizione dei perni eliminati… certamente nessuno potrà mettere la melodia (o alcune battute di essa)… in parti localmente circoscritte del cilindro” (1911).
Osservazioni che inducono a pensare che possa invece essere necessario considerare la funzione del linguaggio in una maniera più integrata e quindi anche la possibilità che essa venga disturbata o lesa sulla base anche di altre parti del cervello se ammettiamo che queste parti siano elementi costitutivi di un circuito unitario.
Von Monakow in questo caso introduce una metafora, che è quella proprio della melodia per sottolineare l’idea che comunque una melodia ha un carattere unitario e lo mantiene anche quando in una scatola armonica viene a mancare un perno.
La Gestalt e le sue applicazioni alla neurologia
La psicologia della Gestalt scopre e dimostra sperimentalmente che il mondo fenomenico è diverso dalla realtà fisica, quello che ci appare fondamentalmente è il prodotto di un’attività creativa della mente – non si recepisce esattamente quello che accade nel mondo fisico, ma ne costruiamo un’immagine, una percezione globale.
L’essenza dell’esperienza psicologica non è negli elementi specifici di cui si compone, ma nelle relazioni tra di esse.
Lo slogan della Gestalt: il tutto è più della somma delle parti, ogni elemento, ogni parte acquista significato in base al tutto all’interno del quale si trova ad essere inserita.
Secondo la Gestalt l’individuo non reagisce alle lesioni cerebrali specifiche come un mosaico, ma compensa e ad essere penalizzato è il livello funzionale complessivo, perché il cervello è in grado di recuperare, di compensare, di vicariare; una dimensione dinamica e unitaria nel funzionamento e anche nel malfunzionamento.
Freud basando il suo sistema teorico sull’idea di inconscio fondamentalmente segna veramente un fossato fra la mente e il cervello nella misura in cui riconosce quella che egli chiama l’origine ideo-gena di un disturbo psichico. Freud si occupava di nevrosi, possiamo avere sintomi fisici causati esclusivamente dal nostro sistema psichico: la ricerca ha provato in modo incontestabile che l’attività psichica è legata al funzionamento del cervello più che ogni altro organo… ma tutti i tentativi di scoprire su questa base una localizzazione dei processi psichici… sono completamente falliti.
L’organismo come unità di funzioni integrate
Fra gli anni ’20 e ’50 quello che si impone è l’idea dell’organismo come unità di funzioni integrate.
Sherrington, un neurofisiologo inglese è colui che dà il nome alla sinapsi e sviluppa uno schema di evoluzione ed integrazione del sistema nervoso che sottolinea la valenza importante dell’integrazione.
Lashley si affianca a queste intuizioni e parla di campi di attività cerebrale proprio ad indicare questa dimensione di campo, ovvero globale e olistica. All’idea dei campi di attività cerebrale affianca l’idea della equipotenzialità e dell’azione di massa, cioè fondamentalmente questa è la negazione di quello che era stato affermato alla fine dell’800 ovvero della specializzazione funzionale, nella misura in cui si oppone invece l’idea di equipotenzialità e azione di massa.
I cardini teorici di questo nuovo modo di guardare al cervello e alla mente sono appunto:
- equilibrio dinamico
- natura costruttiva variabile
- costitutivamente individuale del nostro sistema psichico
Una convergenza di clinica, fisiologia, psicologia sperimentale, psicoanalisi, verso un approccio olistico, dinamico e integrato.
In copertina Foto diRafael Leão su Unsplash
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo