In questo articolo
Le “Quattro E” – Embedded, Embodied, Enacted, Extended cognition
Embedded
Una cognizione incorporata all’interno di un ambiente, all’interno della prospettiva della mente Embedded il focus riposa sull’interazione dell’agente con il suo ambiente, da intendersi in senso lato, come ambiente fisico, ambiente sociale, ma anche ambiente culturale.
La mente Embedded postula l’impossibilità di staccare l’operato della cognizione dall’oggetto della operazione che è coinvolto dalle nostre capacità cognitive.
In qualche modo “pensare” significa sempre pensare ad un oggetto, pensare ad un ambiente, pensare a una specifica azione da svolgersi all’interno del contesto, all’interno del quale la mente opera.
Rimane tuttavia il fatto che all’interno di questa prospettiva, il soggetto e l’ambiente sono comunque separati da un punto di vista ontologico, non vi è una unità ma una profonda e diffusa interazione tra il soggetto portatore della cognizione, emettitore della cognizione, e l’ambiente in cui opera.
Da un punto di vista storico e filosofico la mente Embedded recupera le intuizioni che furono portate avanti all’inizio del Novecento dalla scuola da Franz Brentano da cui presero le mosse tutti gli approcci fenomenologici alla psicologia e alla psichiatria, tra cui ad esempio il lavoro della psicologia della forma, la psicologia della Gestalt o scuola di Berlino.
Embodied
L’approccio Embodied alla cognizione pone come centrale le strutture corporee che in qualche modo non vengono viste semplicemente come una condizione necessaria per poter esprimere una cognizione a tutto tondo, ma sono considerate dei veri e propri capisaldi, degli elementi costitutivi per comprendere la specificità della cognizione di una specie proprio a partire dalle sue strutture corporee dal punto di vista morfologico, strutturale, ma soprattutto funzionale.
La mente Embodied si prefigge l’obiettivo di superare uno iato classico all’interno dell’epistemologia della psicologia e delle neuroscienze, cioè quel famoso Mind Bodied Problem, il problema mente-corpo originariamente lanciato nell’orizzonte della filosofia, delle neuroscienze, della psicologia, delle proto-neuroscienze, delle proto-psicologie, da Cartesio a metà del XVII secolo. Un problema che poneva su due distinti piani di realtà: il soggetto pensante e il corpo attraverso cui questa cognizione, questo pensiero agivano effettivamente nel mondo.
L’approccio Embodied alla cognizione ha avuto dei risvolti importanti per quanto riguarda le neuroscienze uma, il paradigma Embodied ha per esempio informato teoricamente le ricerche sul sistema dei neuroni specchio, ma anche ha dato una fortissima accelerazione a quelle ricerche nelle neuroscienze comparate che cercavano di comprendere le specificità della cognizione animale proprio a partire dalle strutture corporee, strutture fisiologiche che soggiacciono alla cognizione negli animali non umani.
La mente Embodied si colloca al termine di una lunga riflessione che nella scienza e nella filosofia occidentale ha sempre dominato, quanto meno come problematica, il rapporto che sussiste tra il corpo e la mente, e nello specifico la possibilità che sia proprio la presenza di specifiche strutture del corpo a dotarci di una certa intelligenza.
Rovesciando un assunto aristotelico o di Leibniz in cui noi abbiamo la bocca, perché siamo animali in grado di parlare, cambia la prospettiva, per esempio una capacità, una capacità cognitiva strettamente umana come quella del linguaggio, perché l’essere umano diventa un animale capace di cognizione linguistica perché ha la bocca.
Quindi, è a partire da una conoscenza, una comprensione del ruolo delle strutture e delle funzioni corporee che è possibile andare a definire l’orizzonte di possibilità di quella che sarà la cognizione di una specifica specie.
Enacted
Nella cognizione enattiva (emanata) sono aboliti i confini tra cognizione e azione.
In qualche modo vi è la volontà di superare quella separazione che pure rimaneva nella prospettiva per molti aspetti rivoluzionaria della cognizione Embedded, al fine di andare a sottolineare l’importanza dell’unità globale dei meccanismi sensori-motori da un lato e cognitivi nel senso di finalizzazione di una certa azione all’interno dell’ambiente.
L’enfasi è anche in questo caso posta sulla dimensione sensori-motori, ma non esclusivamente su una dimensione sensori-motoria che riposa su una comprensione delle strutture morfologiche e delle funzioni collegate a specifiche parti del corpo, vi è in qualche modo la volontà di porre l’accento su una unità e un continuo della dimensione sensori-motoria nell’interazione con l’ambiente.
Extended
Cognizione estesa, vi è al cuore di questo approccio la convinzione che l’interazione tra organismo e mondo sia qualcosa di più di una semplice realizzazione delle capacità sensori-motorie dell’uomo nell’ambiente. Ma all’interno di questo approccio si dà un grandissimo risalto alle capacità che la nostra specie, anche se non esclusivamente homo sapiens, è in grado di mettere in atto nel momento in cui va in qualche modo ad antropizzare l’ambiente intorno a sé per potenziare le sue capacità cognitive.
Esempio classico che viene utilizzato per spiegare l’approccio dell’extended cognition è quella del diario, del taccuino che noi utilizziamo come banco di riserva delle nostre capacità mnestiche, ad esempio, o la capacità che abbiamo di realizzare mappe dell’ambiente per poter supportare le funzioni che normalmente sono svolte dalle nostre strutture ippocampali per aiutarci nell’orientamento spaziale.
Ovviamente all’interno della prospettiva extended cognition ogni tipo di interazione con oggetti anche artificiali nell’ambiente diventa un elemento da considerare per poter comprendere la reale portata di una cognizione che sia una cognizione ecologicamente valida in grado di rispondere realmente a quelle che sono le applicazioni, i fenomeni, le possibilità della mente degli animali all’interno del loro ambiente, della loro nicchia ecologica.
La scoperta dei neuroni specchio
Questa storia inizia con il cosiddetto lavoro del gruppo di Parma che negli anni ’80 del XX secolo fu guidata da un grande neurofisiologico Giacomo Rizzolatti, allievo della scuola di Moruzzi a Pisa, è considerato oggi uno dei più importanti neuroscienziati del panorama internazionale contemporaneo.
Insieme a diversi suoi collaboratori, tra cui Leonardo Fogazzi, il gruppo di Rizzolatti negli anni ’80, nei laboratori di neurofisiologia di Parma stava dedicandosi allo studio della corteccia motoria di alcuni primati non umani, in particolare del macaco.
Quando si lavora con delle tecniche di elettrico-cortico-grafia con dei primati non umani c’è una cosa che non manca mai all’interno di un laboratorio, cioè delle noccioline, e in uno di questi di momenti di pausa per quello che si suole stesso chiamare serendipità della ricerca scientifica, un collaboratore di Rizzolatti per puro caso, per un po’ di noia aprì davanti a una delle scimmie che erano in quel momento sottoposte all’analisi elettrocorticografica, non ancora tutti quanti gli elettrodi sulla corteccia nell’area premotoria, lo sperimentatore aprì una nocciolina per mangiarla e sentì il tipico rumore che si accompagna all’attivazione di un’area della corteccia quando essa è registrata da un elettrocortigografo. Un piccolo suono di rumore che indicava l’attivazione di quell’area, indicava l’attività elettrica nell’area indagata.
Ripetendo questo tipo di piccolo esperimento naturale, quasi casuale, ci si rese conto che non si trattava di un rumore di fondo, ma che si stava attivando un neurone tecnicamente motorio nel momento in cui la scimmia osservava un’azione che non stava compiendo ma che era in grado di compiere, attivando proprio quell’area premotoria ventrale che è l’analoga di una delle aree del sistema dei neuroni specchio dell’essere umano.
I neuroni specchio, o mirror neurons, sono delle cellule nervose che si attivano sia quando il soggetto esegue uno specifico atto motorio, sia quando osserva eseguire da altri un atto motorio identico o simile. Questi neuroni furono scoperti nella corteccia premotoria ventrale del macaco e in qualche modo rappresentarono un punto di svolta all’interno di un modo di pensare l’attività neuronale che dominava le ricerche neuroscientifiche all’inizio del Novecento fino agli anni ’80, cioè la convinzione che i neuroni potessero essere classificati essenzialmente in due categorie:
- i neuroni sensoriali che avevano come compito quello di portare al sistema nervoso centrale le informazioni provenienti dalla periferia;
- i neuroni motori cioè quelli che erano in grado di operare un’azione efferente che dal centro conducesse agli organi effettori, cioè muscoli e ghiandole, specifiche informazioni di azione.
In qualche modo i neuroni specchio rappresentano una terza classe di neuroni, neuroni sensori-motori che sono in grado di rispondere a delle stimolazioni di tipo visivo tanto quanto era la stessa maniera dell’attivazione che si hanno nel momento in cui sono coinvolte nell’esecuzione di un certo tipo di atto.
I neuroni specchio hanno essenzialmente due funzioni:
- da un lato permettono un passaggio attivo dell’informazione dal sistema sensoriale al sistema motorio;
- dall’altro lato svolgono una funzione di vero e proprio simulatore delle azioni degli altri, azioni che molto importante ricordarlo, devono essere finalizzate, cioè devono avere un fine, un obiettivo all’interno dell’ambiente, e devono essere ovviamente simulabili a partire da una comune o analoga anche struttura corporea.
Interessante notare che nonostante diverse obiezioni che sono state portate da alcuni anche autorevoli esponenti della comunità scientifica, il sistema dei neuroni specchio nell’essere umano è stato ormai ampiamente dimostrato e convalidato da diverse ricerche cliniche e sperimentali e in particolare nella nostra specie coinvolgono senza dubbio la corteccia premotoria dorsale e la premotoria ventrale anche in prossimità di aree estremamente importanti per alcune funzioni specie-specifiche come ad esempio l’area di Broca che regola il movimento fine delle mani e della struttura della bocca, quindi dell’articolazione del linguaggio in ultima istanza – Il lobulo parietale superiore e la corteccia somato-sensoriale secondaria, tutte queste aree sembrano essere coinvolte in questo grande sistema, il sistema dei neuroni specchio in grado di consentirci di simulare le azioni degli altri e garantire un efficace, efficiente passaggio non ridondante ma più performante dell’informazione tra sistema sensoriale e sistema motorio del sistema nervoso.
I neuroni specchio soprattutto per quanto riguarda il loro coinvolgimento dell’area di Broca sembrano essere particolarmente implicati in quella che è stata definita la teoria motoria del linguaggio, che vorrebbe per l’appunto che le nostre capacità linguistiche siano sorte essenzialmente da una cooptazione dei sistemi motori che vengono utilizzati non soltanto all’interno dell’articolazione del linguaggio stesso ma anche ad esempio nella nostra capacità di utilizzare le mani come organo, come strumento principale della nostra interazione con il mondo, non soltanto in senso manipolatoria ma anche per esempio nel senso di orientamento, indicazione, funzione fatica, funzione comunicativa.
I neuroni specchio sembrano essere profondamente coinvolti in tutti quei processi cognitivi che noi definiamo cognizione sociale o pro-sociale, cioè capacità psicologiche che ci permettono di stabilire relazioni con altri membri della nostra specie, ma anche e soprattutto di procacciarci, di cercare, di costruire relazioni tra gli individui.
I neuroni specchio sembrano essere fortemente coinvolti nella nostra capacità di sviluppare una teoria della mente, cioè la capacità di attribuire ad altre persone, non al soggetto che pensa, credenze, valori, cognizioni e opinioni diverse dalle nostre, la capacità che ci permette di comprendere che anche un altro essere vivente ha una mente tanto quanto l’abbiamo noi.
Vi sono inoltre altre importanti connessioni con altre aree della ricerca neuroscientifica, in particolare lo stesso Rizzolatti insieme a Gallese e Sinigallia hanno contribuito molto allo sviluppo delle cosiddette neuroscienze affettive e in particolare concentrandosi su quella capacità propriamente squisitamente umana nota come empatia, la capacità di sentire quello che provano gli altri, che sembrerebbe essere per l’appunto alla base, il motore, il vero cuore della nostra cognizione sociale, delle nostre capacità per esempio di sviluppare un pensiero altruistico o un pensiero cooperativo.
Infine, non meno importante i neuroni specchio sono stati messi in correlazione con alcune teorie che riguardano i disturbi del neuro-sviluppo, e in particolare per quanto riguarda lo sviluppo dei disturbi che vengono classificati come appartenenti allo spettro autistico: l’autismo. In particolare, il fatto che i soggetti con disturbi dello spettro autistico non sembrino in grado di sviluppare una corretta teoria della mente e quindi di sviluppare quella utile distanza che permette lo stabilirsi di una relazione sociale pienamente detta, in questi soggetti sembrano essersi delle alterazioni funzionali particolarmente marcate proprio per quanto riguarda il sistema dei neuroni specchio.
La Connettomica
Una delle più importanti e promettenti frontiere della ricerca neuroscientifica di questi anni. Con il termine Connettoma si indica la mappatura delle connessioni globali del cervello.
Il fatto che esista e che sia presente proprio questo suffisso a “-omics” indica che la Connettomica si vuole fin da subito come una scienza Big Data-Driven, cioè una scienza che è informata ed orientata proprio dall’acquisizione di una grandissima mole di dati sperimentali di cui si cerca di operare un’integrazione ai fini di poter gestire la complessità del fenomeno indagato.
La Connettomica cerca per l’appunto di costruire delle mappe, delle connessioni del cervello su diversi livelli di descrizione:
- Connettomica della microscala, delle connessioni cerebrali, quindi connessioni tra i singoli neuroni in aree molto ristrette
- mesoscala che normalmente coinvolge una specifica regione, una specifica area della corteccia
- macro-scala cioè una descrizione delle connessioni a livello dell’intero sistema nervoso centrale
È molto importante sottolineare come la Connettomica superi la tradizionale impostazione di ricerca che voleva il neurone come luogo privilegiato di indagine, andando per l’appunto non tanto a considerare le capacità di calcolo della singola cellula pur vista in un’ottica di insieme, ma andando a spostare l’enfasi sulle capacità di connessione e quindi di forte e complessa comunicazione tra i differenti neuroni.
La Connettomica cerca di integrare in un’unica mappa gerarchica diversi livelli di descrizione e opera costruendo dei grafi-neurali, per costruire dei set di nodi, che rappresentano le diverse regioni anatomiche indagate e dei percorsi di inter-connettività che rappresentano dunque le connessioni strutturali e quelle funzionali.
L’obiettivo della Connettomica è senza dubbio quello di riuscire in qualche modo a operare una mappatura globale delle connessioni, oggi già sappiamo che proprio attraverso la connessione tra i differenti neuroni, attraverso il complesso e delicato gioco delle sinapsi che si viene a realizzare quella operatività neurobiologica che ci permette di svolgere compiti complessi, ad esempio, il modo attraverso cui noi cerchiamo non soltanto di vedere un oggetto nell’ambiente, ma anche di collocarlo da un punto di vista spaziale e anche di interazione motoria nell’ambiente, allo stesso tempo in cui cerchiamo di comprendere il significato specifico di un certo oggetto, riconoscendone la forma e l’uso.
Questo tipo di impostazione, comunemente chiamata la teoria delle due vie nella visione, riposa tantissimo su una convalida che può arrivare dalla Connettomica.
Attraverso la Connettomica che possiamo trovare finalmente un’evidenza definitiva su come nella comunicazione tra diverse aree di un’informazione sensoriale e motoria il cervello arriva a sviluppare un’unica percezione fenomenica, ma anche un’unica unità d’azione, nel manifestarsi delle sue capacità.
In copertina Foto di Marek Okon su Unsplash
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo