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Eziologia e patogenesi
La malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente forma degenerativa primaria associata ad uno sviluppo di deterioramento cognitivo.
È una patologia estremamente diffusa, in aumento nei paesi industrializzati. Come vedete in questa immagine si caratterizza per lo sviluppo di un’atrofia cerebrale molto marcata e diffusaì, uno slargamento dei solchi corticali e un allargamento dei ventricoli.
Le alterazioni caratteristiche della malattia di Alzheimer dal punto di vista patologico sono tre:
- le placche amiloidee
- la degenerazione neurofibrillare
- l’angiopatia amiloidea dei piccoli vasi
Le placche amiloidee sono costituite da una porzione centrale in cui vi è accumulo di amiloide è una porzione periferica in cui abbiamo dei detriti cellulari e frammenti assonali. La proteina che si accumula nella porzione centrale delle placche è un frammento di betamiloide 1.42, questo è prodotto a partire dalla degradazione della proteina precursore dell’amiloide, che può essere degradata secondo due diverse vie:
- una via non amiloidogenica
- una via amiloidigenica
che produce questo frammento solubile che tende a formare oligomeri e poi a depositarsi.
Nelle aree del cervello in cui compaiono queste alterazioni, compaiono successivamente:
- delle alterazioni neuronali
- alterazioni della trasmissione della plasticità sinaptica
- alterazioni delle spine dendritiche dei dendriti
- perdita di neuroni ed atrofia
Nella malattia di Alzheimer abbiamo inoltre un’alterazione di alcuni sistemi neurotrasmettitoriali, e in particolare del sistema colinergico.
Comunque, abbiamo un’atrofia di perdita di neuroni a livello del nucleo basale di Mainert che ha un’importante proiezione sia all’ippocampo e sia alle aree associative corticali e quindi sono stati i deficit colinergici particolarmente associati ai disturbi mnesici nella malattia di Alzheimer.
Progressione della patologia
La distribuzione delle alterazioni patologiche segue una distribuzione precisa, se vedete nell’immagine a sinistra la distribuzione dei grovigli neurofibrillare, questi iniziano a depositarsi nel tronco encefalico, poi nell’area della corteccia entorinale dell’ippocampo e quindi il lobo temporale mesiale, diffondono poi alla corteccia temporo-limbica e infine alleare associative neocorticali.
L’amiloide segue una distribuzione caratteristica, iniziando la sua deposizione a livello frontobasale e a livello delle aree temporali mesiale poi diffondendo anche questa ad interessare le cortecce temporo-limbiche e la neocortex.
Stadiazione clinica
Questa particolare distribuzione delle alterazioni fa sì che possiamo distinguere diverse fasi anche dal punto di vista clinico:
in una prima fase vi è un interessamento selettivo della corteccia entorinale, dell’ippocampo e quindi delle strutture del lobo temporale mesiale. o In questa fase il correlato principale sono i disturbi della memoria episodica
col proseguire dell’atrofia con l’interessamento delle strutture della convessità del lobo temporale, delle aree prefrontali, della corteccia cingolata posteriore o delle aree parietali, avremo la comparsa di altri sintomi come o di deficit semantico-lessicali, o deficit esecutivi o deficit visuo-spaziali.
Fattori di rischio
La eziopatologia non è conosciuta, tuttavia abbiamo negli anni abbiamo imparato una serie di concetti importanti riguardo alla patogenesi di questa malattia. In particolare, un’informazione ce la danno le forme ereditarie familiari di Alzheimer che tuttavia rappresentano una frazione molto piccola, 1-2% dei pazienti, queste sono associati a mutazioni:
- del gene della proteina precursore dell’amiloide (APP)
- geni della presenilina 1-2
Fanno parte di quel complesso di enzimi che degradano la proteina del precursore dell’amiloide, quindi in queste forme familiari appare chiaro come uno sbilanciamento nella produzione di amiloide e la sua degradazione può determinare una condizione che promuove l’insorgenza della patologia.
Tuttavia, è importante appunto dire che la maggior parte dei casi sono casi sporadici. Anche però, in questi casi abbiamo un ruolo della predisposizione individuale:
- il rischio aumenta infatti di cinque volte per i familiari di un malato di Alzheimer
- rischio associato a diversi geni
- fattori individuali sicuramente più importante ovviamente sono: l’età che è un fattore di rischio principale non modificabile della malattia è stato anche però implicato il sesso, con prevalenza del genere femminile, è stata attribuita al ruolo del calo degli estrogeni che potrebbe avere un ruolo nell’innescare i fenomeni neurodegenerative.
Quello che però è molto interessante e il ruolo che è emerso negli ultimi anni da molti studi di fattori di rischio modificabili, come ad esempio i fattori di rischio cardiovascolari e metabolici.
Recentemente è stato evidenziato come l’obesità, il diabete e l’insulino resistenza rappresentino un fattore di rischio per la malattia di Alzheimer.
Parlando dell’obesità il ruolo del tessuto adiposo è stato particolarmente rivisto negli ultimi anni, è stato dimostrato che il tessuto adiposo non svolge funzione solo di immagazzinamento ma ha una funzione attiva e si comporta di fatto come un organo endocrino.
È stato dimostrato che diversi mediatori rilasciati dal tessuto adiposo vanno a regolare una vasta gamma di funzioni biologiche, non soltanto legate strettamente al metabolismo energetico ma che hanno a che fare per esempio nel cervello con la plasticità sinaptica, con i meccanismi dell’infiammazione, dello stress ossidativo e hanno un’influenza sulla deposizione beta-amiloide
Anche per quanto riguarda il ruolo del diabete e dell’insulino resistenza, gli studi hanno fornito degli spunti molto interessanti per cercare di capire come mai un dato epidemiologico che evidenzia un maggior rischio di disturbi cognitivi e di sviluppo di Alzheimer nei pazienti con diabete.
È stato anche qui evidenziato che l’insulina non ha soltanto le funzioni che noi conosciamo, ma ha una serie di funzioni specifiche all’interno del sistema nervoso centrale che ancora una volta comprendono l’influenza sulla plasticità sinaptica, sul rilascio di neurotrasmettitori di catecolamine sull’espressione di canali ionici, quindi va ad influenzare i meccanismi della trasmissione neuronale e ha inoltre un ruolo nel promuovere la neurogenesi ed inibire la poptosi.
Per tutti questi motivi lo sviluppo di un’insulino-resistenza e di una resistenza all’azione dell’insulina all’interno del cervello è stato chiamato in causa come un possibile fattore di rischio per l’Alzheimer.
Fattori protettivi
Nell’attuale mancanza di strumenti terapeutici per trattare le forme neurodegenerative, la principale speranza risulta nell’adozione e nel potere che hanno lo stile di vita del controllare alcuni dei fattori di rischio.
Infatti, lo stile di vita:
- da un lato può agire controllando i fattori di rischio vascolari e metabolici
- ha un effetto specifico, per esempio quello dell’esercizio fisico nel promuovere la plasticità sinaptica, l’espressione di nerotrofine, la neurogenesi e nel contrastare la neuro infiammazione
- la cosiddetta riserva cognitiva, cioè è stato evidenziato che scolarità, il lavoro, l’avere un tempo libero pieno di attività sociali, interessi garantisce una sorta di protezione rispetto allo sviluppo di deficit cognitivi ed è quindi un aspetto estremamente interessante da valutare
Disturbi cognitivi e psichiatrici
Abbiamo detto che il ruolo della valutazione neuropsicologica è, una volta che il paziente si rivolge al medico nel sospetto, con il timore di un disturbo cognitivo, lo scopo dei test è quello di
- confermare il deficit o escluderlo
- inquadrare il disturbo, quindi effettuando una diagnosi differenziale dalle altre condizioni che potrebbero in qualche modo essere confondenti
- i test serviranno anche per il controllo dell’evoluzione in questi pazienti
- possiamo ricorrere a strumenti diversi utilizzando quindi strumenti di screening come dei test rapidi, batterie di test o dei test specifici che andranno ad esaminare funzioni particolari
I disturbi della memoria episodica sono senza dubbio un aspetto fondamentale, rappresentano nella stragrande maggioranza dei casi il motivo della prima visita.
Pazienti che quindi si presentano dal medico con un disturbo cognitivo con disturbo mnesico isolato che non interferisce ancora sull’indipendenza nell’attività quotidiana vengono definiti come pazienti con un MCI amnesico, quindi con un disturbo cognitivo lieve, con prevalente interessamento delle funzioni di memoria.
Questi pazienti sono ad alto rischio di sviluppare nel giro di pochi anni una malattia di Alzheimer clinicamente definita. In questi pazienti, quindi avrà particolare importanza valutare i deficit di apprendimento di materiale nuovo come, per esempio i test di apprendimento di liste di parole. In questi test vedremo un deficit della rievocazione immediata in questi pazienti con appiattimento della curva di apprendimento, ma anche deficit nella rievocazione differita e nel riconoscimento.
Sarà importante in questi pazienti, per dar forza al nostro sospetto diagnostico, quindi di un processo patologico che inizia interessando le porzioni temporo-mesiali, sarà quello di dimostrare un deficit di memoria tipico con le caratteristiche di un deficit che ha principalmente un’alterazione delle fasi di consolidamento. Dovremo quindi distinguerlo dai deficit di memoria, del cosiddetto tipo frontale associato a disfunzione dei circuiti del lobo frontale in cui i meccanismi più compromessi sono quelli della codifica e della rievocazione. Pertanto, in questi pazienti sarà importante dimostrare che il deficit mnesico non beneficia di facilitazioni in fase di codifica e in fase di richiamo, a differenza, come abbiamo detto da pazienti con deficit di memoria di altro tipo, cosiddetta amnesia frontale in cui fornire degli aiuti nella fase di recupero ha un effetto ovviamente di grande facilitazione.
Deficit di memoria di tipo ippocampale viene definito proprio un deficit di questo tipo, e ci sono dei paradigmi specifici per studiarlo, un esempio il paradigma di Groeber e Buschke che è poi codificato nel Free cued and selective reminding test – fondamentalmente in questo test si utilizzano delle strategie per manipolare la fase di acquisizione e la fase di richiamo (free call) – la fase di richiamo avviene tramite una fase di richiamo libero e una fase di richiamo con dei suggerimenti (cued recall). In questa fase vengono proposti gli stessi suggerimenti che sono stati dati al paziente anche in fase di codifica, quindi un suggerimento semantico. Lo scopo di questo test, quindi è di controllare con attenzione la fase di codifica, di controllare la fase di rievocazione con i suggerimenti, e andare ad identificare quei pazienti che non traggono vantaggio da questi suggerimenti forniti.
I pazienti con deficit di memoria definito di tipo ippocampale
I disturbi della memoria, abbiamo detto sono prevalenti all’inizio, tuttavia possono avere con il proseguire della patologia disturbi in altri ambiti. La memoria semantica e il linguaggio possono essere interessati quando vi è una estensione del processo patologico alla convessità del lobo temporale, alle strutture temporali inferiori, al polo temporale ma anche alle cortecce prefrontali. Questi pazienti abbiamo dei disturbi della memoria semantica e del sistema semantico lessicale che si manifesteranno come:
- un deficit nella generazione di liste di parole, per esempio quando il soggetto deve riferire tutte le parole di una determinata categoria
- in disturbi della denominazione con anomie, circonlocuzione e parafasia
- in disturbi nella comprensione di frasi complesse, che dipenderanno sia dal deficit di memoria di lavoro sia dai deficit semantici
Disturbi delle funzioni esecutive sono anche questi:
- frequenti con il progressivo interessamento delle strutture prefrontali
- sono caratterizzate da una ridotta capacità di prendere decisioni
- con deficit di flessibilità, di pianificazione
- deficit di organizzazione e di strategie
- di controllo inibitorio
Questi possiamo valutarli in classici test come, ad esempio il Trail Making Test, il test di Stroop, il test come Wisconsin Card Sorting Test che valuta abbiamo detto astrazione, flessibilità, pianificazione ma anche test come IGT – Iowa Gambling Test che valutano ad esempio il decision making.
Per quanto riguarda le funzioni visuo-spaziale l’interessamento può essere anche in questi casi abbastanza variegato, possiamo avere disturbi visuo-percettivi, visuo-spaziale che possono anche essere responsabili del disorientamento topografico in questi pazienti.
Ma possiamo avere disturbi nel riconoscimento di volti o di oggetti, ma quello che forse è più caratteristico è la aprassia costruttiva (closing in), questa viene valutata con test, ad esempio, di copie di figure come la figura complessa mostrata qui in basso, o come ad esempio la figura di un cubo come mostrato nell’esempio a destra. Vedete come nella copia di una figura tridimensionale il disturbo aprassico costruttivo si manifesti con una perdita delle proporzioni spaziali, dei rapporti fra gli elementi della figura, è un fenomeno tipico nei pazienti con malattie di Alzheimer è il fenomeno del closing in, cioè dell’accollamento al modello.
Importanti sono però, da valutare i disturbi dell’umore, la presenza di apatia e i disturbi psichiatrici in questa patologia.
Per quanto riguarda l’apatia, questa può essere molto frequente e la prevalenza aumenta con la durata della malattia, ma può essere già presente sin dalle prime fasi. I pazienti possono mostrare un ridotto coinvolgimento emotivo e una riduzione dell’iniziativa e delle attività finalizzate.
Oltre all’appiattimento emotivo e ai disturbi apatici abbiamo anche frequentemente disturbi dell’umore, la depressione in particolare è un sintomo estremamente frequente nelle fasi iniziali di malattia e può essere anche un sintomo prodromico, cioè precedere lo sviluppo dei sintomi cognitivi.
La genesi della depressione nella malattia di Alzheimer è considerata multifattoriale e sicuramente nelle prime fasi ha anche una componente reattiva alle difficoltà. Tuttavia, è estremamente interessante notare come la depressione e la malattia di Alzheimer abbiano nell’ippocampo, nell’alterazione della plasticità sinaptica, nella risposta allo stress un importante punto di incontro.
Parlando dei sintomi psichiatrici, quelli più frequenti riguardano le alterazioni del contenuto del pensiero, quindi deliri in genere a sfondo persecutorio, deliri di riferimento, di furto, di nocumento, di gelosia, di abbandono.
Un’altra caratteristica frequente nella malattia di Alzheimer sono le false percezioni e i cosiddetti falsi riconoscimenti deliranti. Queste sono idee, convinzioni deliranti che però traggono spunto da un’errata interpretazione di dati di realtà, di dati sensoriali. Sono tipiche nella malattia di Alzheimer e possono avere tipi di manifestazione come la sindrome di Capgras in cui il soggetto paziente pensa che uno o più congiunti, in genere il caregiver, o il familiare siano stati sostituiti da degli impostori.
Altri però fenomeni possono comprendere come il falso riconoscimento di immagine visive, ad esempio come quelle della televisione o il falso riconoscimento dell’abitazione.
È importante identificare tutti questi sintomi oltre alle alterazioni comportamentali che adesso vedremo perché hanno l’effetto di aggiungere un carico estremamente pesante al ruolo del caregiver.
Per quanto riguarda i disturbi del comportamento questi possono comprendere un sintomo frequente che è l’aggressività. L’aggressività tende a correlare con la gravità dei disturbi cognitivi, quindi con la durata della malattia, è importante, tuttavia escludere nei pazienti con forte aggressività alcuni fattori scatenanti che possono essere ad esempio le difficoltà comunicative o la presenza di dolore.
Altri disturbi comportamentali possono essere i disturbi dell’alimentazione, la disinibizione, i disturbi del sonno, i disturbi dell’attività che comprende un’attività motoria anomala, questi possono essere frequenti soprattutto in pazienti in fase un po’ più avanzata, possono manifestarsi come tentativo di abbandono dell’abitazione, tuttavia importante dire che questi disturbi comportamentali soprattutto quando molto evidenti nelle prime fasi di malattia devono far pensare a una diagnosi diversa. I disturbi comportamentali sono estremamente più frequenti nelle forme comportamentali di demenza frontotemporale.
Criteri diagnostici e forme cliniche
La diagnosi di malattia di Alzheimer ha visto dei cambiamenti nel corso degli anni con la definizione del concetto Mild Cognitive Impairment MCI – cioè declino cognitivo lieve e che può essere amnesico o multidominio.
I criteri per la definizione di un declino cognitivo lieve sono cambiati nel corso degli anni e che sostanzialmente attualmente si identificano con la presenza di un disturbo cognitivo non ancora in grado di interferire sulle abilità della vita quotidiana.
Ci interessa, nella ricerca sulla malattia di Alzheimer, quindi particolarmente l’interesse è stato volto sulle forme di MCI amnesico, cioè quei pazienti che presentano un disturbo mnesico isolato di memoria episodica e che presentano un rischio aumentato rispetto alla popolazione generale di convertire, di trasformarsi in malattia di Alzheimer definita.
Vediamo però, che l’approccio alla diagnosi e radicalmente cambiato con il ruolo dei biomarcatori. Per i criteri attuali di diagnosi di malattia di Alzheimer quindi, il ruolo predominante sarà:
- da un lato degli aspetti clinici
- dall’altro degli aspetti patologici della malattia
così come mostrato dall’alterazione di specifici biomarcatori.
Per la diagnosi della malattia di Alzheimer è richiesto, per la forma tipica della malattia di Alzheimer, è richiesto innanzitutto un fenotipo clinico specifico, che, come abbiamo detto, comprende un precoce e significativo deficit di memoria episodica. Questi deficit devono essere graduali e progressivi, da più di sei mesi, e deve esserci evidenza di una sindrome amnesica di tipo ippocampale.
Oltre a questo, però è importante la evidenza in vivo di una patologia di tipo Alzheimer. Questo sarà possibile in che modo? Ad esempio, valutando con la puntura lombare i livelli di amiloide Aβ1-42 o di TAU nel liquor. Modificazioni di questi livelli possono essere spia di un fenomeno patologico in atto. Possiamo dimostrare l’alterazione di questi biomarcatori anche con altre tecniche, ad esempio con la PET cerebrale utilizzando traccianti specifici per l’amiloide.
Infine, la presenza di una malattia patologica tipo AD (autosomico dominante) può essere anche dimostrata in quei pazienti che hanno una mutazione per le forme familiari.
Detto questo, quindi, emerge il fatto che la diagnosi a questo punto, la concezione dell’Alzheimer è cambiata ed è definita attualmente come un’entità chimico-biologica.
È fondamentale quindi la dimostrazione di un’alterazione dei biomarcatori specifici, e accanto a questi avremo la possibile presenza di una clinica, così avremo in presenza di marcatori alterati delle forme, dei fenotipi clinici specifici, e quindi delle forme sintomatiche, oppure delle forme precliniche, quindi pazienti che presentano un’alterazione del biomarker ma in questo caso non mostrano ancora le alterazioni cognitive.
Detto questo, detto quindi che la malattia di Alzheimer può essere definita come un’entità clinico-biologica, dalla clinica e dei marker, fa sì che possiamo anche identificare, sono state identificate e proposti dei criteri delle forme di malattia di Alzheimer atipica, o quelle forme in cui dimostriamo una tipica patologia con alterazione dell’amiloide, della TAU, quindi in linea con l’ipotesi della malattia di Alzheimer, tuttavia, la clinica come vedremo può avere delle presentazioni diverse dalla classica forma amnesica.
Queste forme non esordiscono con disturbi mnesici, presentano quindi un riscontro neuro patologico tipico di AD (autosomico dominante) e comprendono: o forme esordio-linguistico come l’afasia primaria progressiva nella variante logopenica,
oppure:
- forme ad esordio visuo-spaziale, come l’atrofia corticale posteriore
- forme ad esordio comportamentale, appunto la variante frontale
- sindrome cortico-basale
- presentazione con disfunzione focale del lobo temporale
nella forma cosiddetta nella variante logopenica dell’afasia primaria progressiva, la clinica si manifesta con disturbi del linguaggio, soprattutto i pazienti presentano: o pause anomiche, utilizzo di parole passepartout, circonlocuzione
o conservata la comprensione in questi pazienti ma può essere difficoltosa la ripetizione di frasi.
o In questi pazienti un’alterazione caratteristica consiste nel dànno del circuito fonologico (phonological Loop).
È importante tenere a mente che questa forma è attualmente classificata insieme alle afasie primarie progressive e alle forme quindi di degenerazione del lobo frontotemporale. Tuttavia, è stato evidenziato da studi con riscontro autoptico che in questi pazienti il fenotipo di patologia più frequente è proprio quello di tipo AD.
Altre forme possono essere l’atrofia corticale posteriore, in questa distinguiamo o una variante occipitotemporale con marcati disturbi visuo-percettivi e di riconoscimento
o e una variante biparietale con marcati disturbi visuo-spaziali, sindrome di Gerstmann, sindrome di Balint, aprassia e Neglet.
o Con il primo caso nella variante occipito-temporale, come un’alterazione della via dorsale
o nella forma bi-parietale e un’alterazione della via ventrale.
Queste due forme sono quindi dovute ad alterazioni di un pattern di atrofia prevalentemente posteriore che riguarda i lobi occipitali e parietali o anche temporali e può manifestarsi quindi
Vedete inoltre in queste immagini come la gamma di sintomi che possono presentare i pazienti sono estremamente variabili.
Le altre forme atipiche:
- una variante frontale che si manifesta con prevalenza di disturbi comportamentali,
- una forma di sindrome corticobasale che potrà manifestarsi anche qui con una gamma di sintomi molto vari che comprendono un parkinsonismo, disturbi del movimento e cognitivi insieme.
- la forma cosiddetta di disfunzione focale del lobo temporale. Questi pazienti mostrano un decorso con prevalenza dei disturbi di memoria episodica e di memoria semantica che tuttavia tendono a rimanere isolati per molti anni e intendono a non associarsi i disturbi esecutivi e i disturbi visuo-spaziali.
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo