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I disturbi neurologici funzionali

Diagnosi e clinica dei disturbi neurologici funzionali

Parliamo dei disturbi neurologici funzionali parlandosi della diagnosi e della clinica. Ad ogni neurologo nella pratica clinica capita di imbattersi in pazienti che presentano dei sintomi non chiaramente spiegati da una condizione clinica e incompatibile in qualche modo con gli esami eseguiti. Questi pazienti rappresentano una quota importante dei pazienti che vengono in un ambulatorio di neurologia generale, e questa condizione quindi è una condizione che ha una incidenza, una notevole prevalenza.

I disturbi possono essere di vario tipo possono comprendere i disturbi motori e disturbi non motori.

Questi disturbi hanno avuto nel corso degli anni una denominazione differente:

  • la vecchia denominazione di disturbi isterici non è più utilizzata
  • così come tende a non essere più utilizzato il termine disturbo di conversione
  • sono invece ancora frequentemente identificati come disturbi psicogeni
  • nella più recente classificazione viene introdotto il termine di disturbi funzionali

Il tema del nome della classificazione non è secondario, il problema con questi pazienti e che nel corso degli anni si è creata una divisione fra neurologia e psichiatria e di fatto queste condizioni sono rimaste nel mezzo, di fatto non vi era uno specialista in grado di seguire questi pazienti.

Per la diagnosi di disturbo neurologico funzionale sono richiesti queste caratteristiche:

  • che sia presente uno o più sintomi motori/sensitivi
  • che vi sia evidenza di una incompatibilità con una patologia neurologica o medica
  • questi sintomi siano una causa di una sofferenza clinicamente significativa di deficit nelle attività sociali, nel lavoro e che quindi richiedano valutazione medica

È importante quindi, notare che questi criteri hanno riportato al centro della diagnosi un criterio, quello della variabilità, della distraibilità, e dell’inconsistenza dei segni e dei sintomi clinici rispetto a quella della presenza di una patologia nota, una patologia organica. Questi vengono anche definiti quindi segni clinici positivi.

Quindi, la diagnosi non è più una diagnosi di esclusione, sarà certamente importante escludere altre patologie e quindi svolgere degli esami strumentali per dimostrare questa incongruenza, ma il criterio principale è un criterio positivo, non un criterio di esclusione.

Vediamo alcuni esempi di segni clinici positivi, si tratta di criteri di manifestazioni cliniche che il neurologo può utilizzare per distinguere un disturbo funzionale da un disturbo organico, si basano solitamente su delle informazioni, delle caratteristiche che derivano dalla conoscenza del substrato anatomico o fisiopatologico del sintomo. Vedete in questa diapositiva un esempio di come alcune caratteristiche cliniche dell’episodio possono aiutarci a distinguere una crisi epilettica da una cosiddetta crisi psicogena o crisi funzionale di natura non epilettica.

Queste comprendono:

  • alcune caratteristiche degli occhi, delle pupille, per esempio il fatto che gli occhi durante la crisi siano chiusi o che vi sia una resistenza all’apertura degli occhi, questo è tipico delle crisi funzionali così come la lunga durata
  • la tendenza ad inarcare la schiena
  • a presentare movimenti degli arti asincroni
  • movimenti della testa di fatto uno scuotimento da un lato all’altro

Anche alcune caratteristiche del comportamento subito dopo la crisi possono essere indicative:

  • in pazienti con crisi funzionali o psicogene e più frequente un rapido riorientamento
  • al contrario una prolungata atonia dopo la crisi
  • il parlare sussurrando
  • avere una crisi di pianto dopo l’evento

Tutti questi criteri, ovviamente insieme alla negatività degli esami strumentali come l’elettroencefalogramma, permettono di porre una diagnosi quindi di un disturbo, in questo caso non epilettico ma di natura funzionale.

Lo stesso vale anche per i sintomi motori e i sintomi sensitivi. Parliamo quindi di disturbi funzionali del movimento – abbiamo anche qui una serie di criteri che ci permettono di distinguere ad esempio un deficit di forza organico come possiamo vedere in un paziente con un ictus o in un paziente con sclerosi multipla, è un disturbo per esempi di forza funzionale.

Vediamo ad esempio alcune caratteristiche generali del movimento:

  • un’estrema lentezza
  • un’abnorme sensazione di fatica, sono tipici di un disturbo funzionale
  •  inconsistenza nella performance

Vedete in quest’immagine un esempio di un deficit di forza organico e un deficit di forza funzionale come appaiono alle cosiddette prove di forza – in questo caso prova di Mingazzini – viene chiesto al paziente di stendere le braccia davanti a sé, vediamo che:

  • un deficit di forza organico si ha un sotto livellamento con pronazione
  • la pronazione manca nei casi di disturbo di forza funzionale

Abbiamo anche altri criteri che riguardano:

  • per esempio, l’andatura, la tendenza a camminare piegando le ginocchia o a trascinare il piede con tutta la pianta a contatto col suolo
  • un’eccessiva lentezza come il camminare sul ghiaccio, tutte queste sono caratteristiche più suggestive del disturbo funzionale
  • la variabilità nella postura, un’incongruenza fra un disturbo di equilibrio, e poi di caduta che sono molto scarsi
  • anche caratteristica, ad esempio del linguaggio come per esempio una particolare difficoltà, una necessità di sforzo per parlare o l’esordio rapido per esempio di disfonie, balbuzie alterazioni della prosodia

Un altro aspetto estremamente caratteristico è il fenomeno dell’entreinment – la frequenza del tremore presentata dal paziente e vediamo che quando chiediamo al paziente di compiere con l’altra mano di battere il tempo a una frequenza minore si ottiene un cambio della frequenza del tremore che andrà ad allinearsi, sovrapporsi alla frequenza con cui il soggetto sta compiendo l’altro movimento. Questa caratteristica ancora una volta e tipica di tremori funzionali.

Ma, sono stati recentemente descritti pazienti con disturbi cognitivi funzionali. Questi pazienti sono noti, si sa che ci sono da molti anni, ma mancava fino adesso una definizione di disturbo cognitivo funzionale che seguendo le stesse regole che abbiamo visto per i disturbi funzionali del movimento andasse a definire anche in questo caso dei sintomi positivi.

Ad esempio, questi autori, come vedete nel 2020, hanno pubblicato i criteri diagnostici per i disturbi cognitivi funzionali.

Come per i disturbi del movimento i criteri principali sono:

  • la presenza di un disturbo cognitivo
  • la evidenza di una incongruenza, in questo caso di una inconsistenza interna
  • il fatto che questi disturbi siano causa di un disturbo significativo per il paziente, ovviamente che sia esclusa una causa organica

Una riflessione interessante sul come mai questi disturbi appaiono poco frequenti, sicuramente meno di quanto lo siano in realtà. È stato proposto che questo sia dovuto al fatto che esistono già altre categorie diagnostiche in grado di assorbire in qualche maniera questi pazienti. Ed è infatti proprio la categoria della MCI, cioè del disturbo cognitivo lieve che può di fatto mascherare la diagnosi di questi pazienti. Infatti, molti di questi pazienti potrebbero di fatto rientrare nella categoria di un paziente con un disturbo cognitivo che non influenza in maniera significativa ancora l’indipendenza nelle attività quotidiane ma che tuttavia, a differenza degli MCI dovuti come spia di una patologia neurodegenerativa, avrà la caratteristica di non convertire e di non progredire. 88

Criteri diagnostici – Sono stati proposti dei criteri per distinguere quei disturbi cognitivi funzionali, abbiamo già detto che un criterio importante è l’inconsistenza interna. Con questo si intende un’incongruenza fra le difficoltà soggettive riferite dal paziente o oggettive misurate con una scarsa prestazione ai test, o e invece quello che emerge al colloquio clinico,
o per esempio, le attività che il paziente riferisce di fare

Una caratteristica dell’inconsistenza interna è che almeno in certi casi le prestazioni che ci sembrano compromesse possono invece apparire normali, questo dimostrerebbe fondamentalmente un risparmio della funzione, delle singole funzioni in questi pazienti e semmai un disturbo che ha a che fare con una difficoltà nell’utilizzare le risorse cognitive per il compito in corso.

Non a caso questi pazienti tipicamente mostrano delle difficoltà che sono maggiori quando l’attenzione del paziente e tutta concentrata sul compito da svolgere.

Sono stati proposti dei criteri di possibili segni positivi, alcuni di questi:

  • il fatto che il paziente tende a venire a visita da solo
  • mentre invece sarà in genere accompagnato nel caso di un disturbo organico
  • altri criteri sono ad esempio il fatto che le preoccupazioni siano maggiori nel paziente nel caso di un disturbo funzionale
  • mentre sono comunemente anche più importanti nei familiari e nei congiunti con un disturbo organico

Come vedete i disturbi sono variabili:

  • le caratteristiche dei deficit di memoria, un disturbo funzionale sarà spesso caratterizzato da una perdita di memoria antiche e recenti nella stessa maniera, mentre invece noi sappiamo che nei disturbi organici le memorie più remote sono in qualche maniera preservate
  • la comparsa di buchi di memoria specifici limitati a periodi o a eventi è altamente suggestivo di un disturbo funzionale

Gli studi disponibili sull’incidenza di possibili errori diagnostici ci dicono che questa evidenza è molto rara, non più frequente che per le altre patologie organiche.

Un secondo aspetto e il discorso della simulazione – questo dagli studi disponibili e dalle esperienze di chi si occupa di questi pazienti, sa che è una condizione estremamente rara, sicuramente meno frequente di quanto pensato. I pazienti dei quali è lecito sospettare che vi sia un tentativo in qualche modo fraudolento di simulare un disturbo per una qualche forma di tornaconto sono effettivamente una percentuale molto piccola e alcuni criteri devono fare accendere un campanello d’allarme, queste sono ovviamente la presenza di un evidente tornaconto, ma anche di atteggiamenti sleali verso il gruppo/équipe medica che per esempio comprendono il riferire informazioni sbagliate, ad esempio su precedenti interazioni con altri medici o gli esami svolti.

Detto questo, possiamo dire con ragionevole convinzione che questo nuovo atteggiamento, quindi la possibilità di offrire a questi pazienti una diagnosi e un percorso terapeutico rappresenti un vero punto di svolta per questi pazienti, e applicare semplicemente quanto detto finora in fase di diagnosi è già un primo passo verso una ridefinizione del percorso di questi pazienti.

Modelli fisiopatologici e principi di trattamento

Parliamo adesso dei modelli fisiopatologici e dei principi di trattamento dei disturbi funzionali neurologici. Per spiegare l’insorgenza dei disturbi neurologici funzionali è stato proposto un modello Bio-psico-sociale, questo prevede che fattori di natura differente, ad esempio fattori biologici, fattori psicologici e fattori sociali possono agire in maniera differente ad esempio:

  • fattori predisponenti
  • meccanismi precipitanti
  • fattori perpetulanti

Ovviamente, alcuni fattori possono infine agire a tutti gli stadi di malattia, e quindi con tutti questi meccanismi. Come vediamo in questa tabella entrano fattori molto differenti e ha il vantaggio di fornirci una visione d’insieme molto ampio su quelli che sono i fattori implicati nella genesi, nello sviluppo e nel mantenimento di un sintomo funzionale.

Vediamo ad esempio, che:

  • fra fattori biologici troviamo per esempio la presenza di un disturbo organico, la predisposizione individuale per esempio, lo stress o anche la presenza di traumi fisici
  • fra i fattori psicologici possiamo avere tratti di personalità, tratti emotivi, la capacità per esempio di adattarsi alla malattia
  • infine, tra i fattori sociali sicuramente sono importanti oltre al contesto economico e sociale, da cui la persona viene, l’importanza di eventi stressanti, in particolare eventi traumatici sono effettivamente più frequenti in pazienti con disturbi funzionali che non nella popolazione generale. Questo si vede in molti studi che hanno esaminato questo aspetto, come questi due mostrati qui in basso. È stato chiaramente evidenziato che fattori stressanti, fattori traumatici nella vita infantile o nell’età adulta possono agire come fattori predisponenti, scatenanti e perpetulanti, e soprattutto possono innestarsi o comunque sommarsi con aspetti di personalità nel determinare una maggiore suscettibilità a un disturbo funzionale

Oltre a questo, ribadiamo l’importanza del contesto familiare e sociale

Fra i fattori biologici sicuramente un particolare interesse ha avuto il ruolo dello stress, della risposta allo stress. In questo studio in cui hanno esaminato la risposta allo stress in pazienti affetti da crisi psicogene non epilettiche è stato evidenziato in questo caso un maggiore livello di cortisolo durante tutta la giornata. Un altro studio invece, ha studiato ad esempio la risposta ad un protocollo in grado di indurre stress in pazienti e in soggetti di controllo, ed è stato evidenziato che seppure la risposta allo stress, cioè l’incremento ad esempio del livello di cortisolo indotto da un evento stressante sono gli stessi, questi pazienti ancora una volta dimostrano avere tonicamente più elevato un livello di cortisolo e quindi una maggiore attivazione della risposta allo stress.

Studi funzionali (PET e fMRI) – Ma dei dati ancora più interessanti vengono, soprattutto per i pazienti con disturbi funzionali del movimento dagli studi che hanno utilizzato le tecniche di risonanza magnetica funzionale. Questi studi hanno mostrato 90

– una ridotta attività in aree coinvolte nella preparazione, nella selezione delle azioni e nel monitoraggio dell’esecuzione dei movimenti. Vedete in particolare come mostrato nella figura, queste sono soprattutto o l’area supplementare motoria e la giunzione temporo-parietale.

Gli studi di risonanza funzionale hanno inoltre mostrato:

– un’aumentata attività in aree coinvolte nell’interocezione, nel self-awareness, e nelle emozioni. Ad esempio, un’aumentata attività o nel pre-cuneo, nella corteccia prefrontale ventro-mediale, e in aree sottocorticale come lo striato ma anche dell’amigdala.

La funzione SMA e la giunzione temporo-parietale TPJ.

La SMA – è localizzata nella porzione mediale del lobo frontale davanti alla porzione mediale dell’area motoria primaria – La SMA è attiva nelle fasi preparazione di esecuzione di un movimento, addirittura una serie di esperimenti molto interessanti condotti nel corso degli anni hanno mostrato come l’attività di questi neuroni, pensate ad esempio con la risonanza magnetica funzionale, ma anche con l’elettroencefalogramma, l’attività di questi neuroni segnata diciamo, precede la nostra intenzione di compiere un movimento. Questo è stato evidenziato con dei protocolli a cui al soggetto veniva chiesto di premere un bottone guardando le lancette di un orologio, ed è stato dimostrato che l’attivazione di quest’area precede la sensazione del soggetto di voler premere il bottone.

Pertanto, la SMA appare comunale a implicata nell’esecuzione del movimento, ma anche nel generare l’intenzione di muovere.

Un’altra area importante, abbiamo detto è la giunzione temporo-parietale TPJ che, come la SMA, appare deattivata in pazienti con disturbi funzionali del movimento. La giunzione temporo-parietale è un’area implicata in attività molto diverse, e vedete anche effettivamente molto diverse tra di loro, quindi nel ri-orientamento, ad esempio nell’empatia, nella teoria della mente.

Una funzione che ci interessa particolarmente è il cosiddetto senso of agency – che si riferisce quindi alla sensazione quando compiamo un movimento di essere noi ad averlo eseguito. È stato dimostrato che perché questa sensazione sia intatta, sono necessarie proprio l’attività della corteccia supplementare motoria e della giunzione temporo-parietale. Queste aree non sono soltanto infatti attive prima o nelle fasi iniziale della preparazione del movimento, ma sono attive in particolare la giunzione temporo-parietale anche alla fine – ed ha la funzione quindi di monitorare l’esecuzione del movimento, verificando che il movimento effettivamente compiuto sia in linea con quello che erano le nostre decisioni ed aspettative. Il corretto funzionamento quindi di queste due aree, ma non solo, ma sicuramente queste le più implicate finora potrebbero spiegare come un possibile correlato fisiopatologico dei disturbi del movimento funzionali sia una alterazione del senso della agency.

Vediamo come questi studi possono dirci qualcosa sulla genesi di questi disturbi. In questo studio brillante eseguito nel 2010, un gruppo di pazienti con tremore funzionale sono stati studiati con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale. In questo studio veniva chiesto ai soggetti, una volta messi all’interno dello scanner per la risonanza, venivano registrati in tre condizioni differenti:

– in un caso si registra un tremore funzionale del paziente, quindi il paziente, per esempio presentava un tremore che lui definisce come involontario, ma che secondo i neurologi abbiamo detto appare invece un tremore diverso dei tremori organici, un tremore variabile, un tremore distraibie, un qualcosa che a noi assomiglia molto di più a un tremore volontario, ma che il paziente riferisce come involontario, come disturbante.

– Oltre a registrare il tremore funzionale del paziente, in questo studio veniva chiesto al paziente anche di fare la registrazione in un’altra condizione, ovvero simulando, riproducendo lui stesso con la mano un movimento simile a quello del suo tremore. In questo caso, quindi eseguito volontariamente. Questo studio ha dimostrato che quando confrontiamo l’attivazione cerebrale nella condizione in cui vi è il tremore funzionale e nella condizione in cui il soggetto produce volontariamente il tremore si ha una selettiva deattivazione nella condizione del tremore funzionale della giunzione temporo-parietale di destra (ipoattività TPJ destra).

– Inoltre, quest’area mostra una ridotta connettività con regioni sensori-motorie e regioni limbiche.

Questi dati sono estremamente interessanti e ci possono suggerire, che sono stati del resto confermati da studi successivi che hanno utilizzato oltre che la risonanza anche la stimolazione magnetica transcranica, hanno confermato che queste aree, la giunzione temporo-parietale e la SMA sono importanti nel senso di agency e sono allo stesso tempo alterate nei pazienti con disturbo funzionale, suggerendo che quindi un possibile correlato della involontarietà del sintomo funzionale sia un ridotto senso di agency.

Gli studi di risonanza funzionale hanno però avuto anche il merito di mostrare come dicevamo un secondo pattern di alterazioni: una iperattività di regioni coinvolte nell’analisi di stimoli emotivi, generalmente nel processo delle emozioni o dell’auto percezione e dell’autoconsapevolezza. Per esempio, in questa immagine che vediamo sulla destra è stato evidenziato come pazienti con disturbi funzionali hanno una maggiore attivazione dell’amigdala quando percepiscono degli stimoli con contenuti emotivo.

Ed inoltre, è stato proposto che questi pazienti potrebbero avere una risposta a stimoli emotivi, un’alterata connettività fra aree appunto deputate all’analisi di stimoli emotivi, ancora una volta quindi per esempio l’amigdala, l’insula, e queste aree potrebbero mostrare una sorta di connettività patologica con le aree motorie, ad esempio con la SMA. Questo potrebbe essere, quindi un possibile substrato in grado di spiegare come mai stimoli emotivi, emozioni negative, l’ansia, possono avere un impatto su sintomi motori in questi pazienti.

Quindi, ipotizzato con un’alterata, una patologica iperconnettività fra aree emotive e aree implicate nel controllo dei movimenti.

Vediamo adesso come tutti questi elementi possono essere utilizzati insieme per proporre un approccio terapeutico al paziente. Abbiamo detto sicuramente che un primo ruolo lo ha già la visita neurologica.

  • offrire al paziente una diagnosi
  • enfatizzare che questi disturbi sono genuini e comuni
  • spiegare il modo in cui è stata posta la diagnosi
  • far vedere al paziente i sintomi positivi
  • far vedere quindi che i sintomi hanno una potenzialità di essere reversibili

Tutti questi aspetti sono sicuramente un primo momento terapeutico estremamente importante. È stato proposto di rivolgersi a questi pazienti con un approccio di trattamento a gradini. Se il primo livello è costituito sicuramente dal neurologo, nei livelli successivi possono accompagnarsi figure diverse che avranno un ruolo specifico, andiamo dal fisioterapista che sarà ovviamente importante in caso di pazienti con disturbi fisici, a figure come lo psichiatra, lo psicologo, il terapista occupazionale che possono svolgere dei ruoli specifici nell’ambito di un’équipe.

Alcuni principi del trattamento dei disturbi motori riguardano quindi il lavoro del fisioterapista, il lavoro del fisioterapista sarà quindi volto a fornire una rieducazione mostrare la possibile reversibilità dei sintomi. A proporre un approccio di trattamento che sia, a differenza dei pazienti con disturbo organico, volto a minimizzare l’attenzione del soggetto durante l’esecuzione di un compito. Quindi, si utilizzeranno tecniche di distrazione o diciamo si privilegeranno un approccio globale piuttosto che un approccio focalizzato sul sintomo, proprio per minimizzare la componente attentiva che in questi pazienti ha un effetto drammatico nel far peggiorare i sintomi.

Un’altra possibilità è l’approccio psicologico, quindi la psicoterapia. In quest’immagine vedete due diversi studi, l’immagine è presa dalla primo dei due, quello del 2010 su Neurology mostra come effettivamente la terapia cognitivo-comportamentale ha un effetto migliore della terapia standard nel ridurre la frequenza di crisi funzionali non epilettiche in pazienti che ne soffrono.

Fattori prognostici – In definitiva, gli studi fin qui hanno mostrato che una serie di fattori prognostici sono determinanti nel predire la possibilità di risposta. Sicuramente, la breve durata dei sintomi, una diagnosi precoce sono fra i fattori più associati ad un outocome migliore, sicuramente evitare che il paziente passi molto tempo a girare tra specialisti ha un effetto sicuramente benefico.

Altri fattori, il cui ruolo non è ancora del tutto chiaro, essi comprendono:

  • l’età
  • la compresenza di ansia e depressione
  • disturbi del livello di intelligenza generale
  • in generale gli aspetti socioeconomici compresa la scolarità

Al contrario, aspetti come una diagnosi tardiva la presenza di disturbi di personalità sono dei fattori diagnostici negativi, vedete come questa tabella sia stata ripresa da un lavoro del 2014 che analizza proprio la prognosi e i fattori determinanti nei pazienti con disturbi funzionali.

fonte uninettuno

Pubblicato il
16 Marzo 2023

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