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Ecosofia: tra interdipendenza e pratica del limite

Perché ripensare il rapporto tra essere umano e ambiente oggi

Viviamo un’epoca segnata da crisi ecologiche e mutamenti climatici che, pur essendo misurabili su scala globale, si riflettono in gesti quotidiani: come consumiamo, come abitiamo i luoghi, come immaginiamo il futuro.

Questo scenario, spesso catturato dal linguaggio della scienza (necessario e prezioso), non esaurisce però il campo del senso. Abbiamo bisogno di una cornice più ampia, capace di includere storia delle idee, pratiche di vita, saperi religiosi e filosofici.

A rendere fertile il confronto fra Oriente e Occidente è la consapevolezza che non esistono blocchi monolitici: ci sono “molti Orienti” e molti Occidenti, linee di tensione interne, divergenze e feconde convergenze. Eppure, alcune note di fondo permangono:

  • in vaste tradizioni sino-coreane e giapponesi manca l’idea di creazione dal nulla; la natura non è un oggetto esterno, ma un processo in cui l’umano è in-tramato.
  • nell’Occidente euro-mediterraneo, al contrario, l’immaginario della creazione e la progressiva matematizzazione del mondo hanno introdotto metafore (meccanismo, orologio, software) che hanno potentemente guidato la tecnica e l’economia.

Mettere a confronto questi orizzonti non è una gara a somma zero. È, piuttosto, una palestra di esercizi: se cambiamo metafore, cambiamo percezioni; se cambiamo percezioni, cambiamo azioni.

Dal cosmos all’ingranaggio: storia breve di alcune metafore occidentali

Il cosmos come organismo vivente

Nella Grecia antica, cosmos significa ordine e bellezza. La natura è un intero vivente (Olon), non un semplice “tutte-le-cose” (tà pánta). L’umano si riconosce parte di questo intero attraverso il limite: la finitezza non è mancanza, ma condizione di misura e di relazione. È qui che la pratica del limite diventa etica del mondo.

Creazione e creaturalità

Con l’innesto biblico-cristiano, la natura è creatura: “buona” in quanto esito di un gesto creatore. Il dibattito esegetico su Genesi (custodire o dominare?) ha attraversato i secoli e riemerge nel contemporaneo, dove l’accusa di antropocentrismo (Lynn White) incontra la replica che individua radici nell’uso greco della ragione (James Barr). Questo confronto suggerisce che la nostra crisi non ha una sola causa: è l’intreccio di metafore, istituzioni, tecniche, desideri.

Matematizzazione e potenza

Con Galileo, la natura è libro scritto in lingua matematica; con Bacon, il sapere è potenza (scientia propter potentiam). La verità tende a coincidere con l’efficacia: ciò che funziona è reale. Questa svolta ha donato prodigi (medicina, ingegneria, spazio), ma ha anche spostato l’attenzione dal senso all’operabilità.

Ricordarlo non significa rigettare la scienza, ma distinguere scienza e scientismo: la prima misura; il secondo pretende d’esaurire il reale.

Dal meccanismo al codice

Tra Settecento e Novecento, la metafora meccanicistica (orologio, macchina) scivola in quella informazionale (software, codice, programma). L’ambiente diventa flusso di segnali: utile, potente, ma rischioso se dimentichiamo che i segni non coincidono con le cose. Nella risonanza tra materia e senso si gioca la nostra libertà interpretativa.

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https://youtu.be/C9flkpSxppk L’umano senza la tecnica non c’è mai stato! È uno dei titoli che il filosofo Carlo Sini lancia in questo bel contributo video reperibile su youtube che affronta la

Natura come processo: la via sino-giapponese tra shizen e jinen

“Ciò che accade da sé”

Il binomio sino-giapponese 自然 (lettura giapponese shizen o jinen) designa la natura come spontaneità del darsi: ciò-che-sorge-da-sé.

Non una sostanza immobile, ma accadere. Anche ciò che chiamiamo “cose” sono, in realtà, cose-eventi: durate, flussi, composizioni transitorie. 

Le parole che portano oltre le parole

Dōgen (XIII sec.) ricorda che le parole non esauriscono, ma trasmettono la pratica; sono trampolini, non recinti. La lingua, lungi dall’essere un mero involucro, è parte della realtà che crea: in cinese e giapponese, la polifunzionalità dei termini allena l’attenzione alle sfumature e incrina la griglia fissa soggetto/oggetto.

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Shizen e busshō

Nel pensiero buddhista giapponese, shizen / jinen illumina la spontaneità del mondo; busshō (natura-di-Buddha) indica la natura essenziale degli esseri, che attraversa umani, animali, vegetali e persino i mondi “inorganici”. Qui non si tratta di idealizzare, ma di relazionalizzare: è la co-dipendenza (縁起, engi; sanscrito pratītyasamutpāda) a far sussistere gli enti. Nulla “sta sotto” come sostanza autonoma; tutto sorge con.

Per un primo approfondimento accessibile sulla dipendenza condizionata, premi qui.

Pratītyasamutpāda

Esperienza, non teoria: interdipendenza come pratica situata

La rete e i nodi

Immagina una rete: i nodi esistono perché esistono i fili che li intrecciano. La visione oggettivante vede il nodo; la visione relazionale vede l’intreccio. Tradotto: il mio respiro dipende dall’aria, le mie idee da lingue e comunità, la mia salute da acque, insetti, funghi, suoli. Eliminare gli insetti, per esempio, significa interrompere catene impollinative e catene trofiche su cui riposa l’intero sistema vivente.

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Il tempo lungo della responsabilità

La nostra etica è stata a lungo sincronica (responsabilità per i contemporanei). Oggi, invece, agiamo nel futuro: plastica, emissioni, deforestazione, suoli. Ciò che facciamo oggi costruisce o erode i margini degli ancora-non-nati. Pensare in termini di Olon (intero) significa allargare lo spettro temporale della cura.

Equanimità e compassione

Nel pensiero buddhista, le quattro dimore (amore, compassione, gioia compartecipe, equanimità) non invitano all’astrazione, ma a un bilanciamento pratico: agire il possibile senza farsi travolgere dall’impotenza. La metafora della luna riflessa dice che la stessa luce può risplendere nell’oceano o in una goccia di rugiada: non conta l’estensione del raggio d’azione, ma l’intensità limpida del riflesso.

Ecosofia: sapere che si lascia trasformare

Oltre l’ecologia descrittiva

Il termine ecologia (da oikos, casa; e logos, discorso) nasce nell’Ottocento come studio delle interrelazioni ambientali. Nel Novecento, pensatori come Arne Næss hanno parlato di ecologia profonda e di ecosofia: non solo descrivere i sistemi, ma imparare da essi e trasformarsi con essi.

Verità che salva vs verità che funziona

Michel Foucault, rileggendo l’antichità, distingue tra una verità che richiede la trasformazione del soggetto e una verità tecnica che non la richiede. L’ecosofia appartiene al primo tipo: non basta sapere “come funziona” un ciclo biogeochimico; occorre lasciare che tale sapere muti i nostri gesti (cibo, energia, mobilità, cura dei luoghi).

La differenza tra “conoscere” e “diventare capaci di” è il cuore di ogni ascesi laica.

Il posto dell’arte e della poesia

Arte e poesia addestrano uno sguardo non strumentale. Non si dipinge una montagna per usarla, ma per lasciarsi attraversare dalla sua forma. Questo allenamento dello sguardo nutre la pratica: se vedo la montagna come montagna, cioè come più che risorsa, sarò meno incline a ridurla a materiale. È un’etica del non-attaccamento c’è intensità senza predazione.

Tecnologia e la domanda decisiva: perché?

Non demonizzare gli strumenti

La tecnologia non deve essere rifiutata a prescindere, la questione è intenzionale: a che scopo ci potenziamo? Per compassione (protesi, trapianti, tecnologie assistive, neuro-riabilitazioni) o per egocentrismo (superomismo, esclusione, potere)? La stessa pratica vale per scelte bioetiche: non soluzioni facili, ma discernimento caso per caso, orientato a ridurre la sofferenza evitando nuovi squilibri.

Potenziamento e interdipendenza

Un transumanismo compassionevole dovrebbe misurarsi con tre criteri:

  1. Accesso: aumenta o riduce le disuguaglianze?
  2. Relazione: rafforza o erode i legami?
  3. Impermanenza: aiuta ad abitare i limiti o alimenta fantasie d’onnipotenza?
    Se lo scopo è espandere cura, gioia compartecipe ed equanimità, “potenziare” può significare, paradossalmente, imparare a limitarsi.

Due livelli di verità: urgenza e profondità

Emergenze qui e ora

Ondate di calore, incendi, alluvioni, migrazioni climatiche: l’urgenza non consente rinvii. Servono politiche concrete (riduzione emissioni, agricoltura rigenerativa, tutela di suoli e acque, riforestazione, città porose) e norme efficaci. Su questo piano, il linguaggio della misurazione è indispensabile: bilanci energetici, indicatori di impronta, valutazioni d’impatto.

Il carburante profondo

Al tempo stesso, l’azione si sgonfia senza il suo carburante profondo: la contemplazione (nel senso ampio di attenzione al reale) e la formazione del desiderio. L’esperienza meditativa – qualunque sia la forma – non sostituisce l’impegno civico: lo abilita.

Non è fuga dal mondo, è ritorno al mondo decentrati, meno preda dell’ansia di risultati immediati e più capaci di costanza.

Esempi pratici: micro-prassi che cambiano il macro

L’arte delle soglie: dove metti le scarpe

Un classico aneddoto zen chiede: “Quando sei entrato, dove hai messo le scarpe?” Non è un gioco di parole; è un invito a cominciare dal concreto: se curi la soglia (ordine, presenza mentale, rispetto degli oggetti), stai allenando la stessa attenzione che userai per curare un giardino, partecipare a un’assemblea condominiale, progettare un quartiere.

Il giardino come maestro

Prendersi cura di un’aiuola, di un orto condiviso, di un albero di quartiere riconnette con tempi non umani. È un esercizio di non-attaccamento (accettare stagioni, fallimenti, sorprese) e un gesto politico (aumenta biodiversità urbana, infiltrazione delle acque, resilienza termica).

Alimentazione e filiere

Ridurre sprechi, privilegiare stagionalità e prossimità, sostenere pratiche agroecologiche non è un culto identitario: è interdipendenza in atto. Ogni scelta alimentare è messaggio che viaggia lungo filiere di suolo, acqua, lavoro, trasporti.

Energia e mobilità come esercizi di confine

Ristrutturare edifici, coibentare, installare pompe di calore o comunità energetiche è pratica di limite: consumare meno, meglio, insieme. Nella mobilità, la priorità a piedi-bici-transito non è moralismo: è cura del corpo e del respiro collettivo.

Psicoanalisi dell’interdipendenza: dal sintomo al flusso

Blocco, rimozione, aggressività

La psicoanalisi insegna: dove c’è blocco c’è sofferenza; dove c’è scorrimento simbolico, c’è spazio di elaborazione. Il rapporto predatorio con la natura somiglia a una rimozione: non vogliamo sapere il prezzo dei nostri stili di vita (su corpi umani e non umani), e il rimosso ritorna sotto forma di ansia, rabbia, distruttività.

cura, parola, legame

Riaprire la parola (narrare luoghi, nomi, stagioni), condividere riti minimi (passeggiate, feste delle sementi, pranzi di vicinato) ricuce il tessuto. La cura psichica non è alternativa alla cura ecologica: sono due facce della stessa trama. Quando il legame riappare, l’onnipotenza regredisce e il limite torna abitabile.

Lettura consigliata

“Le montagne di nuovo montagne”: la semplicità dall’altra riva

Un detto buddhista recita:

Prima di studiare, le montagne sono montagne e i fiumi sono fiumi. Durante lo studio, non lo sono più. Dopo lo studio, sono di nuovo montagne e fiumi.

La “semplicità” finale non è quella iniziale: è una semplicità abitata dall’esperienza dell’interdipendenza. Vedo la montagna come montagna, e come rete di rocce, licheni, acque, miceli, venti, linguaggi, memorie.

Linea sottile tra azione e non-azione: wu wei e progettazione

Wu wei non significa inerzia, ma azione senza appropriazione: fare la cosa giusta, al momento giusto, senza sovraccaricarla di ego. Può esistere una progettazione wu wei? Sì, quando i progetti apprendono dalla morfologia dei luoghi, riducono gli attriti, valorizzano ciò che già fluisce (ombre, brezze, pendenze, acque alte e basse). L’architettura e l’urbanistica bioclimatiche sono esempi avanzati di questa intelligenza del lasciar essere.

Educazione ecologica come arte del desiderio

Non basta “sapere che si deve”: occorre desiderare il bene condiviso. L’educazione ecologica più efficace non si limita a elenchi di divieti, ma crea esperienze sensibili: ascoltare un bosco all’alba, riconoscere impronte di animali, impastare la terra, osservare una fermentazione. È così che si riattiva il piacere del limite: non una mancanza, ma una forma della libertà.

Un’etica della restituzione

Siamo nati in un mondo non scelto, dentro un dono non meritato

Un’etica adatta al tempo dell’interdipendenza non chiede di “salvare il pianeta” (il pianeta si riorganizzerebbe anche senza di noi), ma di restituire: a chi verrà, a chi c’è ora, a chi non ha voce.

Restituire con gioia compartecipe, è dire, con gesti e istituzioni, che l’Olon ci comprende e che la nostra misura non è rassegnazione ma arte del mondo.

Conclusioni operative: una bussola in sei punti

  1. Vedere: cambiare metafore (da macchina a organismo, da oggetto a processo).
  2. Respirare: coltivare pratiche di attenzione (meditazione, camminate, scritture del luogo).
  3. Ridurre: tagliare sprechi energetici e materiali con progetti comunitari.
  4. Rigenerare: suoli, acque, biodiversità, filiere alimentari; agire localmente con reti globali.
  5. Equilibrare: unire politica del qui-e-ora e carburante contemplativo.
  6. Restituire: trasformare il limite in stile di libertà.

Perché nel tra – tra filosofia e vita, tra Oriente e Occidente, tra misura e desiderio – si apre lo spazio dell’azione sensata.

Pubblicato il
29 Dicembre 2025

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