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La sclerosi multipla
La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica che colpisce il sistema nervoso centrale.
Questa malattia si caratterizza dalla presenza, dalla comparsa nella risonanza di lesioni infiammatorie de-mielinizzanti, è caratterizzata inoltre dalla presenza di fenomeni di neuro-degenerazione neuronale che si manifestano come atrofia della corteccia cerebrale o dei nuclei grigi sottocorticali.
La sclerosi multipla ha un’incidenza elevata in Italia, che colpisce 5,6-6 persone su 100.000, e colpisce principalmente l’età giovane-adulta, anche se il range di presentazione può essere molto variabile.
Colpisce principalmente il sesso femminile con una prevalenza di 2 a 1, ha un forte impatto sociale, colpisce soggetti giovani nel pieno delle facoltà lavorative e ha una forte interferenza sull’indipendenza e sulla possibilità di condurre una vita normale.
Patogenesi della sclerosi multipla
Parliamo adesso della patogenesi, un evento fondamentale nello scatenare la patologia è l’ingresso di linfociti T auto-reattivi all’interno del sistema nervoso centrale.
Questi linfociti che provengono dalla periferia attraverso la barrieria ematoencefalica penetrando nel sistema nervoso centrale innescano un processo infiammatorio.
Vengono rilasciate delle citochine, o delle chiemochine, quindi dei mediatori dell’infiammazione che hanno lo scopo di richiamare altre cellule del sistema immunitario e di attivarle.
Vengono reclutate anche le cellule del sistema immunitario residente, come la microglia, l’effetto sarà quindi la produzione di una risposta che avrà come esito il danneggiamento specifico della guaina mielinica degli assoni del sistema nervoso centrale.
La maggior parte dei pazienti in genere presenta all’esordio della malattia un decorso definito recidivante-remittente caratterizzato ovvero dalla comparsa acuta di ricadute cliniche, quindi vuol dire dalla comparsa di un nuovo sintomo o di una disabilità.
In seguito, il paziente potrà presentare dopo queste ricadute un recupero completo, quindi con un ritorno dello stato clinico a quello precedente, un recupero parziale, quindi con comparsa di un certo grado di disabilità che può accumularsi nel corso degli anni di malattia.
Il grado di disabilità è valutato da una scala clinica che è la EDSS (Expanded Disability Status Scale). In molti pazienti dopo un esordio di malattia di tipo recidivante-remittente RR, la malattia può assumere un decorso diverso e presentare invece un peggioramento continuo in assenza, nella maggior parte dei casi, di chiare ricadute cliniche.
Il primo sospetto in genere che porta alla diagnosi di sclerosi multipla e la comparsa come abbiamo detto di un segno o di un sintomo neurologico, si può trattare:
- di disturbi sensitivi
- di disturbi motori
- disturbi del visus
La diagnosi
Per la diagnosi sarà fondamentale sottoporre il paziente a un esame che è la risonanza magnetica dell’encefalo e del midollo spinale, sarà importante eseguire questo esame con mezzo di contrasto.
Quello che vediamo di solito, in un paziente che ha presentato un sintomo suggestivo di sclerosi multipla, quello che possiamo trovare nella risonanza è la presenza di una o più lesioni demielinizzanti che prenderanno contrasto, nel caso si tratti di lesioni recenti, e appariranno prive di potenziamento contrasto-grafico si tratta di lesioni datate, quindi presenti da più tempo.
Un esame fondamentale che in alcuni casi è fondamentale per la diagnosi è la puntura lombare (bande oligoclonali), questa consente il prelievo di piccole quantità di liquido cefalo rachidiano e permette di condurre delle analisi per dimostrare un processo infiammatorio quindi a livello del sistema nervoso centrale, quindi, come dimostrato dalla sintesi intratechale di bande oligoclonali.
Quindi, per la diagnosi di sclerosi multipla appare necessario dimostrare che la malattia ha una disseminazione spaziale e temporale, vuol dire quindi che dobbiamo dimostrare che il paziente ha un processo patologico di tipo recidivante o di tipo cronico quindi.
In tutti quei casi in cui gli elementi non sono ancora in grado di fornire una diagnosi chiara parliamo di forme cliniche isolate o forme radiologiche isolate in cui sostanzialmente mancano ancora degli elementi per definire la diagnosi.
Disturbi cognitivi e i disturbi psichiatrici
I disturbi cognitivi e i disturbi psichiatrici sono stati descritti sin dai primi report della malattia, vediamo in questo caso una descrizione fornita dallo stesso Charcot che menziona fra gli altri sintomi:
- indebolimento della memoria
- rallentamento del pensiero
- indebolimento delle facoltà intellettive
I disturbi cognitivi e psichiatrici nella sclerosi multipla possono essere presenti sin dalle prime fasi di malattia e sono molto frequenti.
In alcuni casi possono essere l’unico sintomo d’esordio anche se questa è un’eventualità piuttosto rara. È importante però dire che i deficit cognitivi e psichiatrici al pari dei deficit motori e sensitivi hanno un forte ruolo nel condizionare negativamente la qualità della vita del paziente.
Inoltre, alcuni studi suggeriscono un ulteriore motivo per valutare e ricercare con attenzione la presenza di deficit cognitivi già alla diagnosi, infatti è stato dimostrato, guardate nello studio a sinistra, come in pazienti con forme iniziali di malattia con forma clinica isolata, in questi pazienti la presenza di disturbi cognitivi già all’esordio si associa a un maggior rischio di conversione alla forma definita di malattia, quindi fondamentalmente descrivano un sottogruppo di pazienti con una malattia più grave che più rapidamente da nuovamente evidenza di se.
Questo dato è stato anche evidenziato in uno studio con un lungo follow-up, in questo caso i pazienti sono stati seguiti dopo 10 anni dopo la diagnosi ed è stato evidenziato ancora una volta come la presenza di deficit cognitivi già alla diagnosi si associ a una progressione di malattia più rapida e a una maggiore probabilità di raggiungere un certo grado di disabilità che qui è stato fissato al grado EDSS 4.
Riguardo l’incidenza e la prevalenza di disturbi cognitivi nella sclerosi multipla abbiamo detto, seppur descritti già dalle prime descrizioni della malattia, per molto tempo sono mancati dei dati chiari rappresentativi per una serie di motivi.
Un motivo è legato certamente alle eterogeneità dei pazienti con sclerosi multipla, abbiamo visto infatti che ci sono diversi fattori che possono condizionare una certa variabilità del risultato in base al campione di pazienti che includiamo:
- pensiamo pazienti con diverso fenotipo di malattia e quindi per esempio o con forme recidivanti-rimettenti, o con forme progressive
- un’altra variabile sarà l’attività di malattia, possiamo avere o pazienti in ricaduta clinica o pazienti in fase stabili
- possono essere fonte di variabilità, inoltre, anche le caratteristiche cliniche dei pazienti come o il grado di disabilità
o o la durata di malattia - un’altra fonte di variabilità fra gli studi è stata l’eterogeneità dei test utilizzati, ed infatti soltanto con gli studi del gruppo di Rau che sia iniziata ad applicare una valutazione standardizzata abbastanza estesa ai pazienti con sclerosi multipla
Questo ha permesso finalmente di avere risposte più chiare, è stato ad esempio evidenziato che, seppur presenti già all’esordio, i disturbi tendono ad aumentare nettamente con la durata di malattia e possono sicuramente essere più frequenti nelle forme progressive di sclerosi multipla come riassunto in questa immagine, molti studi indicano una prevalenza del 30-40% nelle forme recidivanti-rimettenti e fino al 70% nelle forme progressive.
Profilo dei deficit cognitivo
Per quanto riguarda il profilo dei deficit cognitivo anche qui gli studi hanno evidenziato una notevole variabilità:
tra le funzioni più frequentemente interessate è la velocità di elaborazione delle informazioni
oltre a questo, sono molto frequenti i disturbi dell’attenzione sostenuta, quindi della capacità di mantenere l’attenzione per un periodo duraturo durante, ad esempio l’esecuzione di un test, o l’attenzione selettiva intesa come la capacità di focalizzare l’attenzione su una fonte ignorando le altre
- disturbi della memoria di lavoro e delle funzioni esecutive
- disturbi di apprendimento e di memoria a lungo termine
- disturbi delle funzioni visuo-spaziali, anche se sicuramente meno frequenti degli altri
- come del resto sono poco frequenti i disturbi ad esempio del linguaggio
Vediamo per esempio in queste diapositive alcuni dei test più frequentemente utilizzati:
- un test, per esempio il Symbol Digit Modality Test SDMT
- altro test è il PASAT – in questo test al soggetto viene letto dall’esaminatore una serie di numeri e il soggetto dovrà sommarli a due a due
Entrambi questi test sono molto sensibili all’attenzione, alla velocità di elaborazione, ma richiedono molte altre funzioni come, ad esempio la memoria di lavoro, la capacità di programmazione, di flessibilità e di monitorare la performance per evitare errori.
Per quanto riguarda i deficit di memoria di lavoro e deficit delle funzioni esecutive, sono stati questi attribuiti soprattutto considerati secondari ai deficit di velocità di elaborazione.
In particolare, è stato dimostrato come i deficit della velocità di elaborazione possono predire lo sviluppi di deficit esecutivi e lo sviluppo di deficit della memoria di lavoro. Quando valutiamo le funzioni esecutive troviamo difficoltà soprattutto in quei test che valutano funzioni come la flessibilità, la capacità di programmazione e di inibizione. Per citare alcuni test più frequentemente utilizzati ricordiamo per esempio lo Stroop Test, la valutazione delle fluenze soprattutto su un criterio fonemico o il test TMT (Trail Making Test).
Per quanto riguarda la memoria a lungo termine e l’apprendimento questa viene comunemente valutata nei pazienti:
- sia con test che valutano la memoria visuo-spaziale: 10/36 spatial recall test – Brief visuospatial memory test
- sia con test che valutano invece la memoria verbale: Selective teminding test – California verbal learning test
Questi sono quindi test che valutano ad esempio l’apprendimento di liste di parole.
Si è dibattuto sul significato e sull’interpretazione dei disturbi di memoria in pazienti con sclerosi multipla, in particolare una prima interpretazione è che i disturbi siano principalmente conseguenti a un deficit di richiamo. Tuttavia, dati più recenti sembrano indicare come svolga un ruolo predominante in questi pazienti un deficit della fase di acquisizione, infatti è stato dimostrato che se controlliamo attentamente questa fase, ad esempio dando più tempo i soggetti nella fase di acquisizione del materiale si normalizza di molto la prestazione nella fase di richiamo.
Strumenti di valutazione – Pertanto, le principali batterie validate per valutare i pazienti con sclerosi multipla tendono ad includere test soprattutto che valutino oltre all’attenzione, alla velocità dell’elaborazione delle informazioni e le funzioni esecutive, anche test che valutino l’apprendimento e la memoria. Risulta evidente come i test più sensibili e che quindi vengono inclusi in tutte le batterie sono proprio: il Symbol Digit Modality Test e il PASAT.
Questi test sono sensibili in fase precoce proprio perché abbiamo detto indagano tra le funzioni più frequentemente alterate nei pazienti con sclerosi multipla proprio come la velocità di elaborazione, la memoria di lavoro, l’attenzione.
Questi test inoltre non richiedono un tempo di somministrazione abbastanza rapido, possono essere utilizzati come test di screening, sono anche recentemente inseriti come misure di outcome in molti trail clinici, questo anche perché è stato dimostrato che questi test mostrano un buon grado di correlazione con le misure cliniche e radiologiche.
I disturbi psichiatrici
La depressione rappresenta di sicuro uno dei sintomi più frequenti in pazienti con sclerosi multipla, l’incidenza è maggiore che non la popolazione generale e in maniera interessante vedremo che la depressione è anche più frequente, come l’ansia in pazienti con la sclerosi multipla se li confrontiamo anche con altri pazienti con altre malattie neurologiche, quindi appare chiaro come i disturbi dell’umore e in generale anche i disturbi psichiatrici abbiano un’incidenza maggiore in questa patologia e non siano quindi ascrivibile soltanto a una reazione alla patologia, sembrerebbe che facciano quindi parte in qualche modo della patogenesi stessa di questa condizione.
Abbiamo detto che la depressione è molto frequente e fino al 50% dei pazienti può avere un episodio di depressione maggiore nel corso della malattia.
Abbiano detto che in genere la presenza di depressione è largamente sotto diagnosticata e sotto trattata in questi pazienti e pertanto è una condizione che andrebbe continuamente e sistematicamente indagata.
Un motivo di questa sottostima è un possibile overlap fra sintomi della depressione e sintomi della malattia: pensiamo alla fatica, i disturbi del sonno e alle difficoltà cognitive come quelle di concentrazione e di memoria. È importante riconoscere questa condizione perché nei pazienti con sclerosi multipla abbiamo un aumentato rischio di suicidio.
Fattori di rischio per la depressione sembrano essere: il sesso maschile, la giovane età e un esordio di malattia precoce.
Anche l’ansia è estremamente frequente nei pazienti con sclerosi multipla e presente in maniera maggiore rispetto ai controlli sani. Può assumere varie forme come un disturbo d’ansia generalizzato, o attacchi di panico. Ha un’alta prevalenza, l’incidenza è maggiore nel sesso femminile, e sembra correlata alla maggiore attività di malattia, quindi ad un maggior numero di ricadute cliniche. Un tipo particolare di ansia è l’ansia da auto-iniezione che possono presentare con i pazienti che assumono per la sclerosi multipla terapie auto-iniettive in cui devono fondamentalmente quindi praticare da soli una puntura con una cadenza regolare.
Frequenti sono anche:
- il disturbo bipolare con una frequenza doppia rispetto alla popolazione generale
- gli episodi di psicosi, è importante dire che non è infrequente in questi pazienti avere degli episodi un po’ maniacali, scatenati dal trattamento con terapia cortisonica
Fisiopatologia dei disturbi cognitivi e psichiatrici
Vari studi hanno cercato di esaminare quindi il correlato dei disturbi cognitivi e dei disturbi dell’umore nella sclerosi multipla. La risonanza ci viene ancora una volta in aiuto e risulta uno strumento non solo utile dal punto di vista diagnostico ma anche utile per indagare le possibili basi anatomiche delle disfunzioni cognitive che osserviamo nei pazienti.
Patogenesi dei deficit cognitivi
Considerando la fisiopatologia della malattia e quindi l’importanza delle lesioni demielinizzanti, molti studi si sono focalizzati sul ruolo della disconnessione, quindi quella prodotta soprattutto dall’accumularsi di lesioni a livello della sostanza bianca, pensiamo al corpo calloso, una dei principali fasci di fibre che unisce i due emisferi che è frequentemente interessato dalle lesioni nei pazienti con sclerosi multipla.
Altri studi hanno esaminato il ruolo di meccanismi diversi e in particolare quello dell’importanza della neuro-degenerazione e quindi hanno cercato correlazioni fra la prestazione cognitiva e misure come l’atrofia corticale, l’atrofia di regioni particolari come l’ippocampo o di regioni sottocorticali, ad esempio il talamo e dei gangli della base.
Per quanto riguarda il ruolo della demielinizzazione questo è stato oggetto soprattutto di una prima serie di studi.
Questi studi hanno correlato per esempio il carico lesionale totale, cioè quindi il volume totale di sostanza bianca interessata da lesioni, e in particolare oltre al volume globulare anche il carico lesionale in alcuni tratti specifici, abbiamo detto come il corpo calloso o ad esempio la sostanza bianca dei lobi frontali. Questi studi hanno evidenziato delle correlazioni fra il carico lesionale in queste aree e i deficit mostrati ad esempio nelle prove esecutive e nei test che misurano la velocità di elaborazione.
È stato evidenziato tuttavia, che può essere presente un danno microstrutturale diffuso anche nella cosiddetta Normal Appearing White Matter – cioè in quei tratti di sostanza bianca che appaiono nelle risonanze convenzionali non interessati da lesioni. È possibile quindi evidenziare con delle determinate tecniche una disorganizzazione e un danno anche a livello di tratti di sostanza bianca che appaiono normali ed è stato evidenziato come queste misure possono fornire delle correlazioni ancora più interessanti di quanto ci forniscono l’esame delle lesioni macroscopiche.
Altri studi hanno invece esaminato il ruolo dell’atrofia e hanno dimostrato che in un certo senso l’esame dell’atrofia corticale soprattutto sottocorticale sembra fornire delle correlazioni ancora migliori con test cognitivi. Vediamo in questo studio come, ad esempio è stato dimostrato nella sclerosi multipla una riduzione del volume di molti nuclei sottocorticali come del talamo, dei gangli della base, come questi mostrino delle correlazioni con la performance cognitiva.
È stato anche evidenziato che l’atrofia di alcune strutture come particolarmente le cortecce temporali e il talamo e le cortecce prefrontali possono associarsi a un maggior rischio di progressione e di sviluppo di disturbi cognitivi. Questo è stato ben evidenziato in questo lavoro uscito su Brain nel 2018 che ha analizzato l’importanza di una serie di marcatori di danno e la loro possibilità, capacità di predire lo sviluppo di deficit cognitivi.
Sono state recentemente proposti di meccanismi aggiuntivi, ad esempio con delle risonanze magnetiche con risoluzione maggiore sono state evidenziate in una forma di danno prima scarsamente identificate, ovvero la presenza di lesioni a livello della corteccia, come mostrato in queste immagini, alcuni studi indicherebbero che questo tipo di lesioni mostrano un’associazione, una correlazione con i deficit cognitivi ancora migliore delle misure globali di atrofia o delle lesioni della sostanza bianca.
Inoltre, recentemente molti studi hanno esaminato il ruolo dell’ippocampo nella sclerosi multipla, considerando infatti, l’importanza non solo della demielinizzazione ma anche della neurodegenerazione, è stato evidenziato in una serie di lesioni possibili a livello dell’ippocampo, vedete in questo caso delle immagini istologiche in cui vediamo lesioni demielinizzanti e lesioni a livello della corteccia ippocampale.
È anche inoltre possibile dimostrare nei pazienti con sclerosi multipla una atrofia dell’ippocampo che inizia già nelle primissime fasi di malattia e che è già evidente, ad esempio nei pazienti con forma clinicamente isolata.
Il paradosso clinico radiologico
Un fenomeno descritto frequentemente nei pazienti con sclerosi multipla è il cosiddetto paradosso clinico radiologico, o cognitivo radiologico.
Si intende con questo che la nostra capacità di tracciare una corrispondenza fra il danno strutturale come ad esempio le lesioni demielinizzanti, l’atrofia corticale e sottocorticale, o l’atrofia e l’interessamento ippocampale, mostrano una scarsa corrispondenza con il dato clinico.
Questo si evidenzia, ed è stato proposto che questo sia dovuto al fatto che i network cerebrali sono in grado di mantenere un’elevata efficienza nonostante il progredire del danno strutturale, mantenendo quindi una prestazione normale e ritardando l’inizio dei sintomi cognitivi.
In alcuni pazienti sono state descritte delle ricadute cognitive isolate, definite come la comparsa di un deficit cognitivo isolato e appunto transitorio associato o meno alla comparsa di nuove lesioni demielinizzanti alla risonanza.
È stato proposto anche per spiegare le ricadute cliniche isolate che l’infiammazione possa avere un ruolo diretto nei deficit è che osserviamo nei pazienti con sclerosi multipla.
Secondo una visione classica l’infiammazione abbiamo detto innesca i fenomeni di demielinizzazione che provocano disconnessione e alla lunga possono determinare atrofia e quindi degenerazione neuronale. È stato tuttavia proposto che l’infiammazione possa svolgere un ruolo diretto agendo direttamente ed essendo causa di alterazioni sinaptiche.
Questo da un lato può spiegare il come mai i fenomeni neurodegenerativi possono essere presenti già dalle prime fasi di malattia, un esempio è stato evidenziato da alcuni studi condotti nell’animale e nell’uomo utilizzando la stimolazione magnetica transcranica e hanno dimostrato come molecole infiammatorie sono in grado di indurre ipereccitabilità sinaptica e promuovere quindi il danno eccito-tossico, dimostrando che l’infiammazione è una causa indipendente di neurodegenerazione.
Ma questi studi hanno un interesse ancora maggiore dal punto di vista dell’interpretazione dei deficit cognitivi è stato chiaramente dimostrato che nei modelli animali di malattia, per esempio negli studi in topi con encefalite autoimmune sperimentale, ma anche in studi condotti in pazienti con forme recidivante-remittente (relapse-remitting) di nuovo utilizzando la stimolazione magnetica transcranica, è stato evidenziato che l’infiammazione ha un effetto nell’alterare i meccanismi della plasticità sinaptica.
I meccanismi della plasticità sinaptica sono indispensabili per i fenomeni di memoria e di apprendimento e abbiamo detto anche per il compenso di nuove lesioni cliniche. I potenziamento a lungo termine studiato nell’ippocampo, indotto da una stimolazione ad alta frequenza, vedete qui in alto la risposta negli animali di controllo, questo effetto viene significativamente ridotto nei topi con encefalite autoimmune sperimentale, indicando che già nelle prime fasi di malattia l’azione isolata delle molecole infiammatorie può avere un effetto di abolire la plasticità.
Una possibile causa dei disturbi cognitivi si riscontra nell’alterazione del funzionamento sinaptico e in particolare i meccanismi della plasticità a lungo termine.
Vediamo però come l’infiammazione può avere un ruolo anche nella genesi dei sintomi psichiatrici. I disturbi psichiatrici nella sclerosi multipla possono avere sicuramente una patogenesi multifattoriale, pesano sicuramente:
- fattori sociodemografici
- può avere un ruolo il danno strutturale
- così come l’atrofia di determinate strutture come l’ippocampo, il talamo e i gangli della base
Quello che ci interessa sono una serie di studi condotti nell’animale ma anche in pazienti con sclerosi multipla che indicano come l’infiammazione può avere un ruolo determinante nell’indurre modificazioni dell’umore. È stato utilizzato il termine di “Sickness behavior” per indicare una serie di alterazioni comportamentali che compaiano associate a stati di infiammazione anche sistemica.
È stato dimostrato che le citochine infiammatorie possono alterare la trasmissione sinaptica in aree chiave per la regolazione non solo delle emozioni ma anche del comportamento, pensiamo ad aree come lo striato, l’amigdala e l’ippocampo.
Possono associarsi quindi ed essere la causa di modificazioni comportamentali che per esempio prendono la forma di un ritiro sociale, di un’anedonia, mancanza di interesse, aumento della fatica, riduzione dell’iniziativa per esempio delle attività sociali, sono manifestazioni che vediamo comunemente nei soggetti che hanno appunto un Sickness Behavior e che quindi dimostra le alterazioni comportamentali tipiche legate a uno stato infiammatorio generale.
È stato ipotizzato che questo sia dovuto abbiamo detto ancora una volta la capacità delle citochine infiammatorie di influenzare l’attività sinaptica in aree chiave per la regolazione del comportamento e dell’umore.
In copertina Foto di Priscilla Du Preez su Unsplash
fonte uninettuno
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo