Come padre di due bambine di 4 e 2 anni non mi sono potuto perdere l’evento Frozen e ringrazio Alma e Rita per avermi concesso un momento di riflessione sulla storia d’animazione ideata da Chris Buck e Jennifer Lee divenuta in così poco tempo un fenomeno socio-culturale di ampia risonanza.
Le fiabe sono racconti che ci tramandiamo di generazione in generazione, attraverso il supporto orale, quello scritto e oggi anche digitale.
In questo articolo
Una lettura psicologica di Frozen, la favola tanto amata da grandi e piccini
Frozen forse ci vuole parlare di una scissione psichica del sé in età evolutiva. Arendelle simbolicamente potrebbe rappresentare la psiche individuale, un regno fatto di tanti personaggi diversi.
La psiche non è un’unità, ma una contraddittoria molteplicità di complessi per cui è possibile teorizzare, come dato di fondo, una “dissociabilità della psiche”.[1]
C.G. Jung
Il termine stesso personalità deriva dal termine latino persona, che si riferisce alle maschere indossate dagli attori e dalle attrici nelle rappresentazioni teatrali.
In psicologia della personalità la teoria dei costrutti personali di Kelly[2] e la teoria-social cognitiva[3] di A.Bandura e W.Mischel convergono sul fatto che la personalità sia un’architettura costituita da sistema psicologici composti a loro volta da credenze, strutture conoscitive, o costrutti che si sono sviluppati nel corso della nostra interazione con il mondo sociale: famiglia, scuola, lavoro, media.
Queste strutture sono considerate elementi stabili della personalità; componenti, parti, personaggi della nostra storia.
Senza addentrarci oltre, possiamo cogliere come in queste teorie sia condivisa la concezione di una psiche non come una monade, ma come una pluralità organizzata tendente alla coerenza.
Un altro celebre psicologo come C. Rogers[4] basa lo sviluppo della personalità sull’asse sè ideale, sè reale.
Il sè reale è il me che attualmente sono, Il sè ideale è il me a cui tendo o vorrei tendere.
Per Rogers l’individuo tende sempre alla realizzazione del proprio sé ideale, realizzare la personalità permette all’individuo di risultare ben adattato all’ambiente, integrato nel contesto sociale, con buoni livelli di autostima, dotato di agency (Bandura).
C. Rogers individua nella fase dello sviluppo un momento estremamente importante per la tendenza dell’individuo al sè ideale, tensione a divenire ciò che siamo.
Il naturale bisogno di accettazione positiva che il bambino nutre verso gli altri significativi, in primis madre e padre, è ciò che può giocare a sfavore di questo processo verso il sé ideale.
Se il bambino viene accettato dai genitori, viene lasciato esistere, la sua personalità potrà svilupparsi in modo integro e differenziato. Viceversa se l’educazione del bambino è improntata su sistemi di valori: “questo è giusto”, “questo è sbagliato” il bambino proprio per il bisogno fondamentale di accettazione tenderà ad assumere la prospettiva dell’altro e recidere aspetti della propria personalità ritenuti “non buoni”.
E. T. Higgins[5] coglie nella fascia di età 6-12 un periodo critico in cui il bambino può assumere la prospettiva dell’altro e introiettare una tendenza a compiacere piuttosto che a divenire, senza rispettare chi è veramente.
Il cronicizzarsi di questo comportamento può portare l’individuo a non integrarsi con il mondo sociale, a sviluppare comportamenti irresponsabili, asociali, psicotici.
L’adulto resta in parte quel bambino al quale non è stata data la fondamentale possibilità di esistere
Psicologia Frozen: Elsa e Anna due volti della stessa persona
A seguito di questa breve introduzione non ci resta difficile vedere Elsa e Anna come due volti di una stessa personalità scissa da quello che potrebbe essere stato un evento traumatico del passato.
Una doppia personalità dunque, Elsa (Personalità A), Anna (Personalità B), Elsa è più grande di Anna, potremmo pensare che Elsa sia più vicina agli eventi del passato rispetto ad Anna che infatti nella vicenda ha dimenticato, rimosso l’evento del trauma.
Potremmo anche ipotizzare che Elsa sia più vicina al sé di quanto non lo sia Anna, infatti i bambini quando vengono al mondo, nascono con il proprio sé, l’Io (Anna, Personalità B) si forma più avanti nel corso dello sviluppo[6].
L’immagine della personalità scissa diventa evidente nella fase finale del primo capitolo di Frozen, quando Anna nonostante il ripudio di Elsa si sacrifica per lei diventando una statua di ghiaccio, l’Io è sceso a patti con la parte sabotante di sé, scissa, lasciandosi investire dalla sua forza.
L’amore di Anna verso Elsa, la parole della personalità B verso la personalità A, il desiderio di ricongiungimento porta Elsa a tornare verso Anna.
Il trauma nell’età evolutiva
Sia per quanto riguarda la teoria rogersiana della personalità che per la favola di Frozen Il trauma e la scissione avvengono in età infantile.
Chi gioca con un bambino gioca con qualcosa di vicino e misterioso.
J. L. Borges [7]
«Se si permette al bambino di esprimere, senza limitazioni, le proprie idee si stabiliscono le condizioni di libertà psicologica. […] Le condizioni di sicurezza psicologica esistono se il genitore ha la capacità di esprimere nei confronti del bambino accettazione incondizionata e comprensione empatica». [8]
“É così! Punto e basta!”
Elsa è magica, possiede in altri termini un talento che va fuori dagli schemi, che non sa controllare e per questo viene chiusa in una stanza e allontana dalla sorella Anna. I genitori non sono in grado di aiutare la figlia e preferiscono separarla dal mondo (il Super-io di Freud nella diade genitoriale).
Le bambine divenute adulte si separano nuovamente, nel giorno dell’incoronazione Elsa fugge dopo aver gettato l’intero regno, ignaro dei poteri di Elsa, nel panico più totale (shock psicologico).
La neve e il freddo calano su Arendelle, la scissione irrompe sulla scena bloccando la psiche, ghiacciandola.
Sul piano simbolico possiamo ritenere che l’acqua rappresenta l’emozione, quindi il ghiaccio è l’emozione bloccata; “Hai il cuore di ghiaccio”, “Sei fredda come il ghiaccio”.
Anna cercherà di riportare la sorella a casa, cercherà di far rientrare quella parte di sé nella personalità, nel regno psichico, e dopo tante peripezie alla fine ci riuscirà, ma Elsa continuerà comunque a non sentirsi completamente a casa e nel secondo capitolo della storia scenderà in quello che potrebbe sembrare l’inconscio personale del soggetto Anna-Elsa, chiamato “Ahtohallan” scoprendo che le sue origini appartengono ad un popolo antico e magico (inconscio collettivo?).
Senza rivelare il finale siamo certi di poter dire che il secondo capitolo si conclude con un bilanciamento degli opposti. Elsa torna nel mondo inconscio della pre-civiltà e Anna nel mondo sociale, la scissione sembra superata, le due rimangono in fertile relazione grazie al messaggero Zefiro (Mercurio).
I nostri bambini amano questa storia perchè si identificano nella vicenda, anche i più grandi forse la amano perchè in qualche modo ricordano.
Bibliografia
1 – U. Galimberti, Nuovo Dizionario di Psicologia, Feltrinelli, 2018, p. 1150.
2 – G. V. Caprara, Personalità, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 49, 52, 294-295.
3 – G. V. Caprara, Personalità, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 20, 39, 57, 70, 120-121, 207, 220, 294-295, 448-450.
4 – G. V. Caprara, Personalità, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 310.
5 – G. V. Caprara, Personalità, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 314.
6 – M. Capobianco, Il linguaggio nei primi 3 anni di vita, FrancoAngeli , 2015, p. 60.
7 – J. L. Borges, Elogio dell’Ombra, Adelphi, 1969, p. 19.
8 – J. D. Cervone e L.P. Pervin, La Scienza della Personalità, Raffaello Cortina Editore, 2009, p. 215.
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo