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La trappola dell’equazione “grande cervello = intelligenza”
L’idea che un cervello più grande significhi automaticamente più intelligenza e maggiore coscienza di sé è una convinzione diffusa. Eppure, nuove ricerche nel campo delle neuroscienze e dell’etologia mettono in discussione questa equazione.
È davvero il volume a contare, o piuttosto la densità neuronale e l’efficienza dei circuiti?
Un esempio illuminante ci viene dagli uccelli, e in particolare dalle galline. Tradizionalmente considerati animali “stupidi” per via delle dimensioni ridotte del loro cervello, oggi sappiamo che:
- La densità di neuroni nel cervello degli uccelli è quasi doppia rispetto a quella dei mammiferi
- A parità di peso, un cervello di pappagallo o di gallina può contenere più neuroni di quello di una scimmia
In altre parole, l’intelligenza nei piccoli cervelli non solo è possibile, ma è osservabile.
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Quando la grandezza inganna: il caso dei delfini
Al contrario, animali come i delfini, spesso celebrati per la loro presunta intelligenza, ci dimostrano che un cervello grande non significa necessariamente un cervello “intelligente”.
Ricerche recenti hanno scoperto che:
- I cervelli più voluminosi in alcune specie di delfini sono dovuti a un’abbondanza di cellule gliali, non di neuroni
- Questa crescita è legata alla termoregolazione: nei mari più freddi servono più glia per mantenere il cervello alla giusta temperatura, non per pensare meglio
Insetti e intelligenza: le api sorprendono tutti
E poi ci sono loro: le api, con meno di un milione di neuroni, riescono a fare cose sorprendenti:
- Riconoscere volti umani distinti
- Apprendere regole visive
- Discriminare stili artistici (sì, distinguono Picasso da Monet)
- Comprendere concetti astratti come “uguale e diverso”
Tutto questo grazie all’apprendimento associativo, un principio che si basa sull’associare ricompense a stimoli visivi, simile all’addestramento animale ma applicato con metodo scientifico.
Cosa distingue davvero la mente umana?
La vera differenza tra l’intelligenza delle api e la nostra non è la capacità in sé, ma la memoria di massa:
- Le api possono distinguere alcuni volti, ma non ricordarne migliaia
- Gli esseri umani memorizzano fino a 5.000 volti individuali durante la vita
Il nostro vantaggio? Memorizzare esemplari, non solo categorie. Ma paradossalmente, proprio per avere pochi neuroni, un animale è obbligato a formare concetti e generalizzare, il che si traduce in risposte cognitive ottimizzate.
Sensazione vs percezione: quando nasce la coscienza
Un altro nodo cruciale è la distinzione tra:
- Sensazione: ciò che sentiamo in prima persona (dolore, piacere, calore…)
- Percezione: il riconoscimento di qualcosa là fuori (una rosa, una luce, un suono)
Questa distinzione è centrale nel dibattito sulla coscienza animale. E ci sono casi clinici umani che la confermano: pazienti con blind sight (cecità corticale) che non “vedono” ma riescono comunque a reagire correttamente agli stimoli visivi, come se percepissero inconsciamente.
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Il cervello nasce per muovere, non per pensare
Ecco il colpo di scena: il cervello si è evoluto per muovere, non per pensare. Lo dimostra l’esempio dell’ascidia, un piccolo animale marino che:
- Da giovane ha un cervello e nuota
- Appena si fissa su una roccia, digerisce il cervello
- Da quel momento resta immobile… e senza bisogno di pensare
In questo scenario, la coscienza nasce come strumento per distinguere tra stimoli auto-generati (movimento volontario) e stimoli esterni (qualcosa che ti tocca). Un principio che spiega anche perché non possiamo farci solletico da soli: il cervello “sa” che lo stimolo è autoindotto e lo filtra.
Rivalutare l’intelligenza nei piccoli cervelli
Il libro Pensieri della mosca con la testa storta di Giorgio Vallortigara (Adelphi, collana Animalia) è una miniera di spunti per riconsiderare tutto ciò che pensavamo su coscienza, mente e intelligenza.

Psicologo clinico, Guida in pratiche Meditative, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica