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KUM! Festival 2020: La Cura, del Trauma
Un personale resconto di ciò che è stato
KUM! La Cura del Trauma

KUM! La Cura

KUM! Festival dedicato a La Cura, andato in scena dal 16 al 18 ottobre 2020 presso La Mole (Ancona), ci ha lasciato una serie di spunti che permettono di ripensare il concetto di trauma, e di come sia possibile un cambiamento di prospettiva rispetto alla condizione che la pandemia COVID19 ha imposto a tutti noi.

Imparare a sostare nel trauma

Una parola risuona tra i vari interventi, una parola avvolte detta, altre volte taciuta, eppure sempre presente: davanti al trauma occorre “sostare”, non fuggirlo, tanto meno negarlo.
KUM! Festival 2020 ci insegna a stare nel trauma, qualunque esso sia.

Rocco Ronchi: ripensare il trauma

Rocco Ronchi (filosofo) avvia l’intervento con uno slogan: “Ama il tuo destino”, dal quale prende avvio una riflessione su come l’evento del trauma costringa al risveglio della coscienza, il pensiero a emergere.

Senza il trauma per Ronchi, non ci potrebbe essere pensiero, il pensiero non inizia con il pensiero, senza il fuori che incide non si comincia a pensare.

Il trauma come liquido amniotico del pensiero

La coscienza nasce al posto di una traccia mnestica

S.Freud (Al di là del principio di piacere, 1920)

La coscienza si genera in risposta all’evento traumatico fondante, il trauma è il brusco risveglio che può essere interrogato solo attraverso una sospensione di giudizio (epochè).
Ricondotto alla luce dal trauma, colui che è risvegliato nasce nel mondo comune.

Il trauma risveglia al mondo che è di tutti

Eraclito

 

Il trauma inaugura possibilità operative, il trauma crea il mondo, ogni evento traumatico genera futuro, il trauma genera meraviglie rispetto all’ordinario.

Il trauma per eccellenza? La morte o la nascita?

Pensare alla morte come evento traumatico per eccellenza, produce una precisa visione dell’uomo e del proprio progetto di vita; la morte è sempre davanti come imminenza possibile e il progetto va realizzato nel futuro prima che sopraggiunga la fine.

Questa concezione del trauma, spiega Ronchi, ha guidato tutto il ‘900, tuttavia il filosofo esorta a cambiare prospettiva, sostituendo la nascita, alla morte, come evento traumatico per eccellenza.

La morte rimane sempre una possibilità, dal momento che non possiamo dire “io muoio”, al massimo qualcuno  lo dirà per noi. Invece l’esser nati, lo possiamo dire, e dunque proprio per il semplice fatto che ci siamo: non possiamo che incarnare la nostra nascita.

L’esser nati è certo, non c’è traccia di possibilità; quel “non poter non” al quale siamo assegnati.

Daniele Poccia: nel segno di Epimeteo

Il secondo video, di questa personale top-list degli eventi di KUM! 2020, presenta l’intervento di Daniele Poccia (dottore di ricerca in filosofia).
Poccia introduce la sua tesi partendo dal mito di Epimeteo e Prometeo, i due fratelli Titani simbolo il primo della “dimenticanza”, il secondo del “furto”.

Il mito Epimeteo e Prometeo

Epimeteo riceve da Atena e dagli altri dei un numero limitato di “buone qualità” da distribuire a tutti gli esseri viventi. Epimeteo le distribuisce a tutti gli animali, ma si dimentica degli essere umani. Sarà Prometeo ad andare in soccorso all’essere umano rubando a Zeus il fuoco per donarlo alla stirpe umana. Con questo mito prende simbolicamente il via l’era della tecnica.

Secondo una dinamica che non giunge mai a compimento, da sempre l’uomo si riflette negli strumenti che va creando; strumenti che sono sempre al di fuori dell’essere umano.
Il filosofo B. Stiegler (scomparso di recente) ricorda Poccia, nella teorie della tecnogenesi (L. Gourman, Il gesto e la parola) dichiara che la “protesi tecnica” è una secrezione dello scheletro, lo stare eretti, prima ancora del cervello ha a che fare con lo scheletro.

Secondo questa teoria, il cervello si è sviluppato parallelamente allo sviluppo della tecnica e degli artefatti.

L’uomo si inventa, inventando i propri strumenti

Per Stiegler, nel corso dell’evoluzione si è andata a costituire una dialettica tra l’esteriorizzazione della tecnica e l’interiorizzazione di ritorno, riflessiva, per l’essere umano.

La tecnica è vettore di memoria, ogni artefatto porta in sé le memorie delle tecniche che lo hanno costituito; è fondamentale che ogni passo in avanti della tecnica sia successivamente interiorizzato dall’essere umano.
Oggi l’automatizzazione digitale si serve di una mediazione tra tecnologie, la macchina parla alla macchina estromettendo l’essere umano.

L’uomo contemporaneo non può più interiorizzare la tecnica, non è più padrone del sapere, i mestieri stanno scomparendo, il saper fare è trasferito alla macchina e l’uomo ne diventa un servo.
In ultima istanza anche l’esperienza del consumo culturale viene sincronizzata, tutti guardano e consumano le stesse cose, il tempo dell’interiorizzazione, dell’errore foriero di nuovi utilizzi, è annichilito.

Occorre imparare a governare l’andamento tecnico con filosofia, soprattutto dobbiamo imparare a governare la non anticipabilità della tecnica.

Federico Leoni: pandemia

La morte per Federico Leoni (filosofo) non è che un punto di vista della vita, uno specchio attraverso il quale la vita si guarda.
Non c’è punto di vista più potente dal quale la vita prende distanza da sé stessa per riflettere e sviluppare pensiero, attraverso il linguaggio che oggettiva la vita.

L’essere umano è un animale che ha la ventura di mettere le cose in parola, di dare nomi alle cose del mondo e a se stesso.
Nel compiere quest’atto, l’uomo, fa una singolare esperienza che gli altri animali non fanno. Quando il compagno muore, il nome del compagno resta.
Questo bizzarro animale fa esperienza dell’impermanenza dei corpi.

Lettura consigliata

I corpi se ne vanno, il nome resta

La morte come possibilità data dalla potenza del nome, specchio della vita, è stata quella prospettiva da Hegel a Heidegger, che ha attraversato tutto il ‘900.
La vita diventa vita sapiente imparando a guardarsi nello specchio, il futuro è il luogo del valore, del tirare le somme.

Verso una fine avvenire, già avvenuta.

Hegel

A differenza di questo sapere che ha il suo operatore fondamentale nel “nome“, i saperi scientifici hanno l’operatore fondamentale nel “numero” come unità di ogni funzione (variabili collegate da un nesso costante).
Il numero è sapere muto e calcolante, non c’è un punto di vista, il numero produce equilibrio statistico secondo una logica funzionale (Bigdata).

L’arte delle piccole differenze

In questo contesto la morte non è più il valore più alto, il termine ultimo entro il quale realizzare la propria chiamata alla vita, ma una variabile poco interessante dell’equilibrio collettivo che ne diventa valore centrale.
Il nuovo soggetto disegnato dal numero, non può più pensare nei modi del vecchio, non può più separare, decidere. L’unica cosa che può fare è inflettere.

Per risollevarsi occorre allearsi con l’impersonale per personalizzarlo, ricavando aree singolari emergenti.

Serve un lessico di nuovi gesti:

  • non decidere, ma regolare
  • non giudicare, ma comporre
  • non risolvere, ma accompagnare
  • non uscire, ma sostare

Una nuova etica, per dirla con Leibniz: l’arte delle piccole differenze.

Riccardo Panattoni: superfici

Riccardo Panattoni (insegnante di filosofia) racconta di un tempo non tempo, il tempo del “tra”: spazio che tra il percepire e l’essere cosciente.

È nel “tra” che si situa il sogno, quel tutt’uno con il principio di realtà che ne consente l’etica.
Il sogno non è fuga, ma l’unico modo per rimanere annodati alla realtà stessa.

La realtà del sogno è realtà autentica, spazio atemporale nella struttura del tempo.
Tra passato e futuro sta un presente immaginario, il divenire di una memoria.

Dunque il virtuale di oggi non è realtà aumentata, ma una realtà che si fissa su se stessa e si disperde, che increspa il presente.

Per un’etica del vivere è per noi fondamentale conquistare lo spazio del “tra” o lacuna del tempo (Arendt).

I due modi di stare nel trauma per Massimo Recalcati

Massimo Recalcati chiude l’edizione del festival con la lectio: “Cosa non possiamo dimenticare? a lezione dal COVID19”. Dopo un excursus degli insegnamenti impartiti dall’evento COVID19, il celebre psicoanalista ci suggerisce due immagini, due modalità, per sostare nel trauma.

Il pensiero artistico come risposta al trauma

La prima modalità è il pensiero artistico, lavorare con i resti, lavorando con la ferita, non cancellando la ferita, mostrando la ferita, trattando la ferita, come fanno i grandi artisti.

guernica picasso

Bombardamento di Guernica, Picasso 1937

Ruderi di Gibellina

Terremoto di Gibellina, poi Cretto, Burri 1984-1989

Il pensiero artistico riesce a trasformare la ferita in poesia, qualcosa di generativo in un modo inaudito, inimmaginabile, come risposta a un trauma.

Noè, l’uomo del diluvio

La seconda modalità suggerita da Massimo Recalcati per stare nel trauma è la figura di Noè.
Dopo una distruzione ecologica senza precedenti, Noè sopravvissuto al diluvio pianta una vigna, introduce la dimensione dell’impresa, fa esistere una prospettiva, un avvenire, un progetto.

Secondo la parabola, Noè ubriaco si mostra nudo ai figli. Cam, suo figlio, lo schernisce, lo umilia, il padre nudo, va smascherato denunciato.
Gli altri figli invece coprono il suo corpo, introducono un nuovo velo di rispetto.

Il trauma espone al padre nudo, non esiste nessun padre che ci possa salvare.
Di fronte al trauma possiamo o compiere il parricidio come vorrebbe Cam, oppure assumere l’eredità del padre come uomo dell’arca.

Piantare la vigna diventa un gesto collettivo, non una proprietà del padre, bensì un destino dei fratelli.

Pubblicato il
31 Ottobre 2020
Ultima modifica
13 Novembre 2020 - ora: 22:26

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