Sviluppa consapevolezza
esercitazioni pratiche di mindfulness
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Mindfulness come sviluppare consapevolezza: 7 esercizi pratici

Ho letto e ri-letto questo testo del monaco Thich Nhat Hanh che, insieme a John cabazin, è conosciuto in Occidente per aver contribuito a diffondere i principi del buddhismo cui si basa la mindfulness.

In questo articolo riporto alcuni estratti di questo formidabile testo, ideale per coloro che si trovano agli esordi del Sentiero del Dharma.

“Trasformarsi e Guarire” è una traduzione con commento del famoso Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza, Satipatthana sutta (scuola Theravada).

Lettura consigliata

La consapevolezza come base indispensabile

Il testo raccoglie 20 esercizi sulla pratica dell’osservazione consapevole, perché la consapevolezza è la porta principale verso il risveglio di:

  • quattro fondamenti (satipatthana): consapevolezza del corpo nel corpo, consapevolezza delle sensazioni nelle sensazioni, consapevolezza della mente nella mente, consapevolezza degli oggetti mentali negli oggetti mentali
  • cinque facoltà (indriyana): fiducia, energia, stabilità meditativa, concentrazione meditativa, vera comprensione
  • cinque poteri (bala): le 5 capacità trasformate in forze, poteri
  • sette fattori di risveglio (bojjhanga): consapevolezza, investigazione dei fenomeni, energia, gioia, calma, concentrazione, lasciar andare
  • nobile ottuplice sentiero (atthangika-magga): retta comprensione, retta motivazione, retta parola, retta azione, retti di mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione meditativa

7 esercizi tratti dal Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza

Esercizio 8: interdipendenza di corpo e universo

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Photo by Greg Rakozy on Unsplash

“In questo corpo è l’elemento terra, l’elemento acqua, l’elemento fuoco e l’elemento aria.”

Il praticante osserva consapevolmente il corpo per vedere tutto ciò che contiene, e per vedere la natura interdipendente di se stesso e dell’universo. Comprende che la propria vita non è presente solo nel suo corpo e trascende l’errata concezione di identificarsi con esso.

Osservando consapevolmente la natura interdipendente del corpo vediamo la nostra vita al di fuori del corpo, e trascendiamo i confini tra l’io e il non-io.

La pratica dell’osservazione consapevole ci aiuta a superare i concetti limitanti di nascita e morte.[1]

Esercizio 11: riconoscere le sensazioni

“Ogni volta che il praticante prova una sensazione piacevole, è consapevole: ‘Sto provando una sensazione piacevole’. Ogni volta che prova una sensazione dolorosa, è consapevole: ‘Sto provando una sensazione dolorosa’. Ogni volta che prova una sensazione né piacevole né dolorosa, è consapevole: ‘Sto provando una sensazione neutra’”.

Ci sono tre tipi di sensazioni: piacevoli, spiacevoli e neutre. Questo esercizio insegna a riconoscere le varie sensazioni e a entrare in contatto con loro man mano che sorgono, perdurano e scompaiono. Quando c’è una sensazione spiacevole, il praticante non ha fretta di sbarazzarsene. Ogni volta che c’è una sensazione piacevole, spiacevole o neutra pratica l’osservazione consapevole adattandola al tipo di sensazione. Sa che in quel momento egli è quella sensazione, e che quella sensazione è lui. Non si lascia sommergere dalla sensazione, non ne è terrorizzato né la respinge.

L’atteggiamento mentale di non attaccarci alle sensazioni e di non respingerle è l’atteggiamento mentale del lasciar andare (in sanscrito upeksa).

Il lasciar andare è una delle quattro menti illimitate (brahmavihara):

  • amore
  • compassione
  • gioia
  • lasciar andare[2]

Esercizio 12: vedere le radici delle sensazioni

Le sensazioni piacevoli, spiacevoli o neutre possono avere una radice fisica, fisiologica o psicologica. Osservando consapevolmente, scopriremo queste radici. Per esempio, se provate una sensazione spiacevole perché ieri vi siete coricati tardi, la vostra sensazione spiacevole ha una radice fisiologica. Ma essere capaci di riconoscere le radici delle sensazioni non è sufficiente; dobbiamo spingerci più in profondità per vedere come si manifestano, e comprendere la loro vera essenza.

Conoscere una sensazione non è solo vederne le radici, ma vedere anche la sua fioritura e i suoi frutti. Ad esempio, alcuni bevendo whisky o fumando una sigaretta, provano una sensazione piacevole. Se l’osservassero con consapevolezza, potrebbero vedere che ha radici fisiologiche e psicologiche. Ma sappiamo che non tutti condividono la stessa sensazione piacevole bevendo whisky o fumando sigarette: altri magari tossiscono o si sentono soffocare, provando una sensazione spiacevole.

Esaminando qualsiasi cosa con gli occhi dell’osservazione consapevole ne vediamo le radici e i risultati; osservando consapevolmente una sensazione vediamo le sue radici e i probabili risultati.

L’osservazione consapevole conduce a una profonda comprensione della natura della vita.

Quando le sensazioni spiacevoli scompaiono, possono emergere sensazioni piacevoli di altro tipo, come la consapevolezza che ora stiamo vivendo in un modo che conduce alla salute e alla comprensione risvegliata.
Le sensazioni piacevoli del secondo tipo sono salutari, perché nutrono noi e gli altri e non causano danni.

Il lavoro dell’osservazione consapevole ci aiuta a evitare l’orgoglio e l’arroganza, che sono i due fattori che maggiormente ostruiscono il progresso lungo il sentiero.[3]

Esercizio 14: osservare la rabbia

“Quando in lui è presente la rabbia, è consapevole: ‘In me è presente la rabbia’. Quando la rabbia non è presente, è consapevole: ‘In me non è presente la rabbia’. Quando la rabbia incomincia a sorgere, egli ne è consapevole. Quando la rabbia già sorta viene abbandonata, egli ne è consapevole. Quando la rabbia già abbandonata non sorgerà nuovamente in futuro, egli ne è consapevole”.

L’esercizio consiste nell’osservare la rabbia con consapevolezza. Nel Buddhismo impariamo che una persona è costituita dai cinque aggregati di:

  • forma
  • sensazioni
  • percezioni
  • formazioni mentali
  • coscienza

La rabbia appartiene all’aggregato delle formazioni mentali, e la sensazione spiacevole che l’accompagna appartiene all’aggregato delle sensazioni. Padroneggiare la rabbia rappresenta un passo importante nel sentiero della pratica. Riconoscere la sua presenza o assenza in noi è fonte di molti benefici. Per svolgere con tutto il nostro essere questa osservazione consapevole, vi uniamo la respirazione cosciente.

La mente priva di rabbia, fresca, calma e sana, è elencata tra le undici formazioni mentali salutari. L’assenza di rabbia è la base della vera felicità, la base dell’amore e della compassione.

Il secondo beneficio ottenuto osservando con consapevolezza la presenza o l’assenza della rabbia è che il solo fatto di riconoscerla le fa perdere un po’ della sua natura distruttiva. La rabbia diventa distruttiva solo quando ci abbandoniamo a essa senza osservarla consapevolmente. Quando è presente, dovremmo seguire da vicino il respiro, e allo stesso tempo, riconoscerla e osservarla consapevolmente. Se lo facciamo in noi è già sbocciata la consapevolezza, e la rabbia non può più monopolizzare la coscienza. La consapevolezza si mette al fianco della rabbia, ne diviene compagna: “So che sono arrabbiato”.

Osservazione consapevole non significa soffocare o scacciare la rabbia, ma prendercene cura.

L’osservazione consapevole è come una lanterna che diffonde luce; non è un giudice. Rischiara la nostra rabbia, la protegge prendendosene cura in modo attento e amorevole, come una sorella maggiore si prende cura dei fratellini e delle sorelline minori.

Quando siamo arrabbiati, la rabbia è il nostro sé. Soffocare o respingere la rabbia, è soffocare o respingere noi stessi. Quando gioiamo, siamo la gioia; quando siamo arrabbiati, siamo la rabbia; quando amiamo, siamo l’amore e, quando odiamo, siamo l’odio.

Quando sorge la rabbia, possiamo essere consapevoli che si tratta di un’energia dentro di noi, e che possiamo trasformarla in un’energia diversa.

Non dobbiamo rifiutare o avere paura della rabbia, sappiamo che la rabbia è una specie di spazzatura, ma è in nostro potere trasformarla. Ne abbiamo bisogno come il giardiniere ha bisogno del concime. Se sappiamo accettarla, avremo già un certo grado di pace e di gioia. A poco, a poco, la potremo trasformare completamente.

Quando nasce la rabbia, le altre formazioni mentali rimangono latenti nelle profondità della coscienza. Nella scuola Vijñanavada questa coscienza profonda è chiamata alaya. Per esempio, gioia, tristezza, amore e odio sono presenti nell’alaya quando siamo arrabbiati ma rimangono al di sotto della soglia, senza manifestarsi come semi (bija) nel terreno. Se lasciamo che si esprima senza prendercene cura, la rabbia può causare molti danni dentro e fuori di noi. Allorché la formazione mentale della consapevolezza (sanscrito smrti, pali sati) sorge dall’alaya, può diventare l’amico spirituale della formazione mentale della rabbia. Suggerendo il respiro e proteggendo la rabbia con la consapevolezza, la situazione diventa sempre meno pericolosa. La rabbia c’è sempre, ma perde gradualmente forza e incomincia a trasformarsi in un altro tipo di energia, come amore e comprensione.

La consapevolezza è come una lampada che ci illumina. Quando portiamo una lampada in una stanza, la stanza si trasforma. Quando sorge il sole, la sua luce non deve far altro che splendere sulle piante perché queste si trasformino, crescano e si sviluppino. Sembra che la luce del sole non stia facendo nulla, ma in verità sta facendo molto. Sotto la sua influenza le piante producono clorofilla e diventano verdi.

La consapevolezza ha la stessa funzione della luce del sole. Allorché facciamo splendere assiduamente la luce piena della consapevolezza sul nostro stato mentale, questo si trasformerà e migliorerà.

Grazie alla chiara luce della consapevolezza possiamo vedere le radici della rabbia. Lo scopo della meditazione è esaminare in profondità le cose per comprenderne la natura. La loro natura è l’originazione interdipendente, la vera fonte di ogni fenomeno. Esaminando la rabbia in profondità possiamo vedere che le radici sono:

  • l’incomprensione (o ignoranza)
  • la mancanza di tatto (o mancanza di abilità)
  • l’ambiente sociale
  • i risentimenti nascosti
  • le abitudini (cioè i nostri condizionamenti)

La visione e la comprensione sono i due fattori di liberazione che ci consentono di essere liberi dalla sofferenza che accompagna sempre la rabbia. Esse generano amore e compassione: sono il balsamo della compassione del bodhisattva che rinfresca il cuore e la mente.

Attraverso l’osservazione consapevole e la visione profonda delle sue radici, possiamo trasformare questa energia costruttiva e salutare di amore e compassione. Di fatto, la radice del problema è la rabbia dentro di noi, e per prima cosa dobbiamo tornare a essa e prendercene cura.

Dobbiamo fare come il pompiere che getta immediatamente acqua sulla fiamma, e non perde tempo a cercare chi ha incendiato la casa.
“Inspirando so che sono arrabbiato. Espirando, so che devo prendermi cura della mia rabbia”.

La rabbia dipende dalla mancanza di comprensione di noi stessi e delle cause, profondamente radicate così come immediate, che hanno provocato quella spiacevole situazione. Le sue radici si trovano anche nel desiderio, nell’orgoglio, nell’agitazione e nel sospetto. Il modo in cui affrontiamo gli eventi al loro sorgere riflette il nostro grado di comprensione o di ignoranza.

Le radici principali della rabbia sono dentro di noi. Gli altri e l’ambiente sono soltanto radici secondarie.

Così come sappiamo che terremoti e inondazioni hanno cause precise, dovremmo comprendere che anche il male che ci fanno gli altri ha cause profondamente radicate o immediate, cause che occorre vedere e capire pienamente.
Dobbiamo considerare le difficoltà che ci procurano gli altri come una sorta di calamità naturale: ci rendono difficile la vita perché sono vittime dell’ignoranza e prigionieri dei loro odi e desideri. Se li aggrediamo con rabbia, trattandoli come nemici, ci comportiamo esattamente allo stesso modo e non siamo diversi da loro. Per realizzare lo stato di non rabbia nella mente conscia e subconscia, dobbiamo praticare la meditazione di amore e compassione.[4]

Esercizio 15: la meditazione di amore

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L’amore (pali metta, sanscrito maitri) è una mente che desidera portare pace, gioia e felicità a tutti gli esseri.
La compassione (karuna) è una mente che desidera liberare gli altri dalla sofferenza.

Lettura consigliata

Questo è il significato della frase “L’amore è la capacità di donare la gioia. La compassione è il potere di liberare dalla sofferenza”.

Quando amore e compassione sono fonti di energia in noi, recano pace, gioia e felicità ai nostri cari e insieme a tutti gli altri. La maitri e la karuna non sono l’amore possessivo che cerca approvazione e impone le sue condizioni causando sofferenza a noi stessi e a coloro che amiamo. Sono l’amore incondizionato che non si aspetta nulla in cambio, e di conseguenza non genera ansia, noia e tristezza.

L’essenza dell’amore e della compassione è la comprensione, la capacità di riconoscere la sofferenza negli altri. Dobbiamo entrare in contatto con la sofferenza fisica, materiale e psicologica degli altri; per poterlo fare ci dobbiamo mettere nella pelle degli altri, entrare nei loro corpi, sentimenti e formazioni mentali, e sperimentare la loro sofferenza.
Una semplice osservazione superficiale, mantenendo un atteggiamento estraneo, non ci aiuterà a percepirla.

Quando siamo in contatto con la sofferenza dell’altro, in noi nasce immediatamente un sentimento di compassione.
Non diremo soltanto: “Lo amo moltissimo”, ma piuttosto: “Devo fare qualcosa per attenuare la sua sofferenza”.

La mente di compassione è realmente presente solo quando è in grado di rimuovere la sofferenza. Solo nel mezzo della vita quotidiana, nell’effettivo contatto con le altre persone e tutte le specie viventi, compreso l’oggetto della meditazione, possiamo sapere se la mente d’amore e compassione è davvero presente e se è stabile.

Se amore e compassione sono reali, si manifesteranno nella nostra vita quotidiana, nel modo di parlare con la gente e di agire nel mondo. Una parola può dare conforto e fiducia, eliminare un dubbio, aiutare a evitare un errore, sanare un conflitto, aprire la porta alla liberazione, o indicare la via della felicità e della realizzazione.

Dobbiamo sempre ricordare che l’amore non è altro che comprensione.[5]

Esercizio 16: investigazione discriminante

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L’ignoranza, o illusione, è la percezione erronea della cose. Per poter correggere le nostre percezioni sbagliate, il Buddha ci insegna il metodo dell’investigazione discriminante, che si riferisce sia al fondamento della mente sia al fondamento degli oggetti mentali.

Gli oggetti mentali sono anche chiamati dharma (tutto ciò che può essere concepito come esistente). La caratteristica basilare di tutti i dharma è l’originazione interdipendente. Tutti i dharma sorgono, perdurano e scompaiono secondo la legge dell’interdipendenza.

Secondo questo insegnamento, nessun dharma può sorgere, durare e scomparire da solo.
La nascita di un dharma dipende dalla nascita, dalla durata e dalla distruzione di un altro dharma, anzi, di tutti gli altri dharma.

I dharma non hanno un esistenza propria, sono vuoti di un’esistenza separata e indipendente. Le cose non esistono le une al di fuori delle altre. Le cose esistono le une dentro le altre, le une con le altre.

Per questa ragione il Buddha disse. “Questo è, perché quello é”.

Con il potere della concentrazione, possiamo osservare tutto ciò che esiste alla luce di questo principio. Tutti i fenomeni dell’universo sono da osservare alla luce dell’interdipendenza: i pensieri, le parole, le sensazioni, nostre e altrui.

Qui vacuità significa interdipendenza. Tutti i dharma, per poter sorgere e perdurare, dipendono reciprocamente l’uno dall’altro. Nessun dharma può esistere separatamente da tutti gli altri, perciò diciamo che la vacuità è la vera natura dei dharma.

La visione profonda nella vacuità ci consente di superare i concetti di “essere” e “non essere”, nascita e morte, uno e molti, andare e venire, trascendendo così la paura di nascita e morte.

I concetti di essere/non essere, nascita/morte, uno/molti, andare/venire ecc., si dissolveranno quando saremo testimoni della natura interdipendente di tutto ciò che è.

Lo scopo fondamentale dell’investigazione discriminante è porre fine al concetto di nascita e morte. Nei giorni precedenti la more del laico Anathapindika, il Buddha mandò il venerabile Sariputra e il venerabile Ananda a trovarlo per istruirlo nella pratica.
Seduto al suo capezzale, il venerabile Sariputra incominciò con le istruzioni: “Laico Anathapindika, pensa e osserva così: ‘Io non sono questi occhi, non sono intrappolato in questi occhi”. Anathapindika respirò e meditò secondo le istruzioni. Sariputra continuò: “Io non sono queste orecchie, questo naso, questa lingua, corpo e mente. Non sono intrappolato dalle forme, suoni, odori, sapori, contatti o pensieri che sperimento”. Anathapindika osservò in questo modo per vedere la natura interdipendente di tutti i fenomeni, per comprendere che lui stesso non era limitato ai diciotto reami (i sei organi, oggetti e coscienze dei sensi), e che non c’è né una nascita che introduce nell’esistenza, né una morte che ci conduce dall’esistenza alla non-esistenza.

Il Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza descrive la mente libera da ignoranza e confusione anche come lo stato in cui siamo consci dell’impermanenza, interdipendenza e assenza di un sé, quando la mente riposa nella retta comprensione.

La retta comprensione è uno degli otto fattori del nobile ottuplice sentiero.

L’investigazione dei dharma è menzionata nella sezione che tratta la consapevolezza degli oggetti mentali, tra i sette fattori di risveglio (saptabodhyanga). Per investigazione dei dharma si intende l’esame dettagliato dell’origine e della natura dei fenomeni, sia fisici sia psicologici.

L’investigazione dei dharma ha un significato analogo all’investigazione discriminante e si propone anch’essa di comprendere l’origine e la natura dei dharma.

Se comprendiamo l’origine e la natura dei dharma in tutta la loro profondità, la nostra mente non è più in uno stato di ignoranza o illusione.[6]

Esercizio 17: osservare le formazioni interne

Egli è consapevole degli occhi (orecchie, naso, lingua, corpo e mente) e della forma (suono, odore, sapore, contatto e oggetti mentali), ed è consapevole delle formazioni interne prodotte in dipendenza di queste due cose. È consapevole della nascita di una nuova formazione interna, è consapevole dell’abbandono di una formazione interna già prodotta, ed è consapevole quando una formazione interna già prodotta non sorgerà di nuovo.”

Le formazioni interne si dividono in due categorie:

  1. Cinque nodi ottusi: confusione, desiderio, rabbia, orgoglio e dubbio
  2. Cinque nodi acuti: visione che considera il corpo come il sé, visioni estremistiche, visioni errate, visioni falsate e visioni superstiziose (o proibizioni rituali non necessarie)

Quando travisiamo le parole o il comportamento di qualcuno, si forma il nodo della confusione, che spesso produce irritazione, orgoglio, attaccamento e dubbio. Il nodo della confusione, la mancanza di una chiara visione delle cose o ignoranza (avidya), è la base di tutti gli altri.

Quando ci attacchiamo a una forma, a un suono, un profumo, un sapore, un contatto o a un oggetto mentale, si crea una formazione interna del desiderio. All’inizio la sensazione associata può essere piacevole ma, poiché ci attacchiamo a essa, ne siamo imprigionati e, quando le richieste del nostro attaccamento non vengono soddisfatte, la sensazione diventa spiacevole. Poi, una volta che il nodo si è formato, ci incatena strettamente e ci spinge a ricercare ancora lo stesso oggetto sensoriale per procurarci di nuovo quella piacevole sensazione.

Lettura consigliata

Tutto dipende da come recepiamo ciò che ci accade quotidianamente. Se siamo stabili, rilassati, comprensivi, se in noi non c’è egoismo ma amore e compassione, quello che gli altri fanno e dicono non avrà la forza di produrre formazioni interne.

Quando sorge per la prima volta, il nodo è ancora molto ‘lento’ e il lavoro di ‘scioglimento’ è facile. Come abbiamo già visto, la materia prima di ogni formazione interna è l’ignoranza o confusione.

Se scorgiamo l’ignoranza presente nella formazione di un nodo, lo possiamo facilmente sciogliere. Osservazione consapevole è esaminare la natura dei dharma e riuscire a comprenderla. La trasformazione di una formazione interna è il risultato di questa visione profonda.[7]

Esercizio 20: seminare semi di pace

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Quando in lui è presente il fattore di risveglio della gioia (calma, lasciar andare), egli è consapevole: ‘In me è presente la gioia’. Quando la gioia non è presente, è consapevole: ‘In me non è presente la gioia’. Egli è consapevole quando la gioia non ancora sorta sorge e quando la gioia già sorta si è perfettamente sviluppata.”

Secondo il principio dell’orinazione interdipendente, i semi non hanno una natura stabile.
L’esistenza di ciascun seme dipende da ogni altro, così come in ogni seme sono presenti tutti gli altri. Ogni seme non salutare racchiude in sé i germi di semi salutari, e ogni seme salutare contiene i germi di semi non salutari.

Proprio come deve essere la notte affinché ci sia il giorno, la morte per avere la nascita, così un seme non salutare può essere trasformato in un seme salutare, e un seme salutare in uno non salutare.

Questo fatto ci dice che, anche nei momenti più bui, quando la sofferenza è più intensa, in noi sono ancora presenti i semi di pace, gioia e felicità.

Se sappiamo metterci in contatto con questi semi di pace, gioia e felicità, se sappiamo annaffiarli e prendercene cura, allora germoglieranno e ci poteranno i frutti della pace, della gioia e della liberazione.
Lo stato mentale in cui non c’è desiderio, è uno stato mentale chiamato ‘assenza di desiderio’. Lo stato mentale in cui non c’è rabbia, è uno stato mentale salutare, chiamato ‘assenza di rabbia’. L’assenza di desiderio, l’assenza di rabbia e la libertà, sono semi salutari che hanno bisogno di essere annaffiati e protetti.

I sutra si riferiscono spesso alla mente come a un campo in cui sono piantate tutte le varietà di semi. Per questo abbiamo il termine cittabhumi, il ‘campo della mente’.

Praticando la consapevolezza, non dobbiamo soltanto osservare i fenomeni di nascita, vecchiaia, malattia, morte, odio, avversione, ignoranza, errata opinione e dubbio; dobbiamo anche prenderci il tempo di osservare gli oggetti mentali che portano salute, gioia e liberazione per permettere ai semi salutari di germinare e fiorire nel campo della mente.

Il Buddhismo ci incoraggia costantemente a osservare il Buddha, Il Dharma e il Sangha, e le qualità di amore, compassione, gioia, lasciar andare, consapevolezza, investigazione dei dharma, tranquillità, felicità ed equanimità.

La gioia (mudita), per esempio, non è solo la gioia che deriva dalla gioia degli altri, ma anche una sensazione di benessere che sorge dentro di noi. La mudita è una delle quattro menti illimitate, le altre sono l’amore, la compassione e il lasciar andare.

I semi della mudita sono in tutti noi. Solo quando la nostra vita è colma di gioia possiamo veramente essere felici e condividere con gli altri la nostra felicità. La vita è piena di sofferenza, ma anche piena di cose meravigliose.
C’è la primavera e c’è l’inverno, la luce e il buio, la salute e la malattia; ci sono brezze gentili e pioggerelline, così come ci sono tempeste e inondazioni. I nostri occhi, orecchie, cuori, sorrisi e respiri sono eventi meravigliosi.

Dobbiamo solo aprire gli occhi per poter vedere il cielo azzurro, le nuove bianche, la rosa, il fiume limpido, i campi dorati di grano, gli occhi lucenti un bimbo.

I semi di compassione, amore, pace, gioia e liberazione hanno bisogno di essere costantemente piantati e innaffiati con una vita quotidiana vissuta in consapevolezza.

I reami di amore, compassione, gioia e lasciar andare, sono i reami della gioia vera, della vera felicità.

È con la gioia e il lasciar andare che possiamo veramente far partecipi gli altri della nostra felicità, attenuando le loro ansie e le loro tristezze.[8]

Bibliografia

1 – T. Nhat Hanh, Trasformarsi & Guarire, Ubaldini Editore, 1990, pp. 44-46.
2 – Ibidem, pp. 55-56.
3 – Ibidem, pp. 57-58.
4 – Ibidem, pp. 65-68, 70.
5 – Ibidem, pp. 71-75.
6 – Ibidem, pp. 76-81.
7 – Ibidem, pp. 81-84.
8 – Ibidem, pp. 91-84.
Immagine di copertina Joshua Woroniecki on Unsplash

Pubblicato il
31 Gennaio 2021
Ultima modifica
14 Dicembre 2023 - ora: 13:24

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