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La psiche
Anima, psiche, soffio, vento, coscienza, flusso, fiume, sono molti i sostantivi con cui da oltre duemila anni si cerca di rappresentare l’accadere della vita che “anima” l’essere umano, sia in termini di passioni e sentimenti, che in quello di comportamenti.
Dai tanti sostantivi alle tante psicologie, con il celebre Sigmund Freud, a partire dai primi anni del ‘900, ma ancora prima con Wundt e la scuola di Lipsia (1879), nasce la psicologia dal greco ψυχή «anima» (v. psico-) e -λογία «-logia»: Scienza che studia la psiche, che analizza i fenomeni e i processi psichici.
Freud è stato il primo a tentare una rappresentazione scientifica della psiche, prima con il modello topografico (inconscio, preconscio, coscienza), poi con quello strutturale (Es, Io, Super-Io).
Dopo Freud, Carl Gustav Jung ha ampliato il lavoro addentro alla psiche, distaccandosi innanzitutto dall’aspetto relativo alla sessualità proprio della teoria freudiana, sviluppando la “Teoria degli archetipi” e il concetto di inconscio collettivo.
Oltre un secolo ci separa da queste prime illuminanti visioni e nonostante le teorie di Freud, possano risultare superate, rimane assolutamente attuale la visione rappresentativa di una psiche costituita da una parte cosciente e da una non cosciente, di un io centro della coscienza e di un Sé centro dell’inconscio.
All’interno del più vasto campo della psicologia dinamica c’è accordo nel ritenere che Io e Sè rappresentino due polarità, la cui apertura e comunicazione determina la sana esistenza psichica.
Il senso è il Sè
Comunemente sentiamo spesso parlare di “realizzazione di sé”, non di realizzazione dell’io, una forma di saggezza popolare già insita nel nostro linguaggio, a indicare quanto il Sé sia importante per la propria esistenza.
Transitando dalla saggezza popolare verso i primordi della cultura occidentale, scorgiamo in Grecia, sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, la frase “conosci te stesso”, con la quale Apollo, divinità solare, invitava l’uomo a indagare dentro sé.
Non a caso Jung scrive:
«La mia vita è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio.»
Carl Gustav Jung[1]
Il Sè racchiude e custodisce il senso della vita, il senso è raggiungere il Sé, è potersi concedere un momento o più momenti o un’intera esistenza con il Sè, è dunque solo attraverso il senso che si conquista il Sè.
Più siamo a contatto con il Sè più stiamo bene, più ci allontaniamo, più staremo male, più saremo nevrotici.
Nevrosi e Psicosi
La nevrosi è uno squilibrio della psiche, una traiettoria polarizzata, verso uno dei tanti opposti che la costituiscono, è l’unilateralità della coscienza sull’inconscio, l’io che fomenta aspettative, idealismi, attaccamenti, è la coscienza che teme l’inconscio, è l’io che non sa dove andare, cosa fare della propria vita.
Situazione più grave della nevrosi è la psicosi, che si manifesta quando l’inconscio invade la coscienza.
Nevrosi e psicosi sono due estremi patologici che nascono proprio dal quell’atteggiamento psichico all’unilateralità, le nevrosi bloccano la vita, le psicosi la annullano.
La pulsione di morte può essere ciò che le accomuna, una spinta inconscia all’annullamento della vita verso un ritorno illusorio, uroborico, a una condizione di vita prenatale, nel grembo materno, condizione in cui è assente la sofferenza connaturata con lo stare al mondo.
Il Tantra e le strategie per alleggerire la mente
Una metodologia parallela all’aspetto preliminare dei “Tre addestramenti superiori” è quello dei “Tre alleggerimenti”. L’essere ossessivi, compulsivi e afflitti è ciò di cui ci andiamo ad alleggerire, l’alleggerimento avviene realizzando
Gettati dalla vita nella vita, siamo oggi immersi in una società nevrotica che ha perso il contatto con la natura, con il corpo, siamo unilaterali verso scienza, tecnica, tecnologia, unilaterali verso il fare, produrre, consumare, siamo persi e presi da una strenua costruzione di gabbie dorate, matrioske che imprigionano e riducono il nostro spazio vitale purché le variabili siano ridotte e l’ambiente controllato, spiegato, dominato, posseduto.
Mindfulness: - fare + essere
Praticare la Mindfulness riduce lo stress, permette di prendere coscienza degli automatismi inconsci, per fare ritorno ad una dimensione dell’essere che non è quella del fare. La modalità del fare
Per nostra fortuna abbiamo un corpo che ci pone in costante relazione con quel “non perfetto” che esiste e soffre, e noi con lui, quel corpo che è l’accesso, la via regia al mondo sommerso, dentro e fuori noi, che è la psiche inconscia.
Così le nevrosi sono oggi preziose occasioni per rompere la matrioska e allargare lo spazio del vivere, fino a vivere realmente.
Oltre la ferita, quando il ghiaccio si rompe
Le nevrosi sono condizioni che possono aprire e gettare nello sprofondo della vita, sprofondo sul quale inconsapevolmente ci muoviamo come sulla superficie di un lago ghiacciato, ma se il ghiaccio diventa sottile e l’uomo ha la fortuna di caderci, se riesce a sopravvivere al freddo, al buio inconscio, può tornare in superficie consapevole di un mondo altro sotto lo strato di ghiaccio.
«Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.»Dante Alighieri[2]
La nevrosi è questa opportunità di frattura della lastra di ghiaccio che ha congelato la nostra vita pulsionale, istintuale, emotiva, che ha congelato le funzioni irrazionali della psiche quali sentimento e intuizione, che unitamente a quelle razionali pensiero e sensazione ci fanno esistere a pieno.
Opus contra naturam
Così una volta che il ghiaccio si è rotto e il canale aperto, siamo in comunicazione con il mondo sommerso, occorre qui operare sapientemente un “Opus contra naturam”:
«Il luogo della “genesi al di fuori della creazione” (presumibilmente di un opus contra naturam) non è, in questo caso, il Paradiso ma ἡ ἔϱημος, il deserto, la solitudine. Chiunque infatti si appropri anche di un unico frammento dell’inconscio, con il prenderne coscienza esce un po’ fuori del proprio tempo e del proprio strato sociale e finisce nell’eremos, nella solitudine […] Ma soltanto in tale dimensione si ha la possibilità di incontrare il “dio della salvezza”. Infatti la luce diviene evidente nelle tenebre, e ciò che salva si manifesta nel pericolo.» Jung[3]
Fare cultura, forgiare l’opus, la Grande Opera degli alchimisti, il lavoro contro l’ingovernabilità della natura, da cui l’essere umano come prodotto di questo lavoro.
L’opera è ciò che permette di fare di una ferita, di uno strappo, di una spaccatura, un canale di comunicazione sicuro. La cultura permette al ghiaccio di non rompersi totalmente (psicosi), consentendo a noi di “pescare” attraverso il ghiaccio e quindi di nutrirci.
Passa per di qua, tra mente e corpo, la via della cura verso il recupero degli opposti, scissi e in lotta tra loro.
Non siamo un corpo, abbiamo un corpo, un corpo che è il primo elemento con il quale interagiamo, un corpo che abbiamo il dovere di curare, un corpo che è il ponte verso la natura e la psiche inconscia che consente la nostra realizzazione, la realizzazione di Sé e della vita che ci precede e succede.
Il rapporto tra mente e corpo
Il giorno 13 di marzo 2021 ho avuto occasione di partecipare a un webinar, organizzato dall’associazione e centro di meditazione KUSHI LING, condotto da Vincenzo Tallarico, maestro di meditazione e
È sempre possibile e auspicabile (deo concedente) tornare a un sano prendersi cura della propria vita, al desiderio e al piacere del nutrimento psichico (cum grano salis), passando per la via simbolica del mito.
Bibliografia
1 – C.G. Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni, Rizzoli Libri, 1961, p. 17.
2 – D. Alighieri, Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 1-3.
3 – C.G. Jung, Opere, Bollati Boringhieri, 2015, p. 4986.
Dottore in Psicologia, Facilitatore in Mindfulness (ric. IPHM), Master DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), Master in Sessuologia Clinica, Master in Linguaggi della Psiche, Conoscitore in psicosomatica, Poeta, Studioso di filosofia e psicologia del profondo